“Al gà al mel dal lumagot”, ossia amore, letto e dintorni nel dialetto modenese (I)

Dove si rivela lo spirito più autentico della Modenesità? Forse ammirando una tavola imbandita, tra zampone, carne lessa con le sue salse, crescentine, salumi, borlenghi e tortellini nel brodo grasso? No, miei cari. Allora passeggiando di sera sotto i suoi portici, quando i lampioni scintillano gialli nella nebbia, che regala a tutti noi uno struggente senso di appartenenza. No, neppure qui. Magari nella musica? Vasco, Guccini, l’indimenticabile Pierangelo Bertoli? Acqua, ragazzi. Acqua.

La verità è nella lingua. Non quella con la salsa verde. Intendo il nostro dialetto, che con immensa costernazione del sottoscritto va scomparendo. Io lo parlo ancora, mentre mia sorella, di soli 9 anni più giovane di me, già lo capisce senza parlarlo d’abitudine. I miei poveri figli cresceranno come randagi senza il dialetto in bocca. Forse finiranno in purgatorio solo grazie ai nonni: loro ancora si esprimono nella lingua dei nostri padri – cioè dei nonni, appunto – preziosa, prodiga di iperboli, favolosamente complicata. Naturalmente, simile al francese: basta mettere “avec” invece di “con”, unica sostanziale differenza, e a Parigi otterrai quello che vuoi parlando in modenese. Ad esempio: Camarèr, am purtarèv un pistunzèin d’acqua AVEC al giàz?, che vuol dire, per chi non sa il francese Cameriere, potrei avere una bottiglietta d’acqua CON del ghiaccio?

Avete un bel daffare a scrivere vocabolari Modenese-Italiano. Se non lo parli il dialetto muore, perché quel che è nato tra sudore, preghiere, bestemmie e rughe profonde mezzo metro non è imprigionabile sulla carta. La gente non sapeva scrivere: com’è giusto, la loro lingua non vuole lasciarsi scrivere.

Ecco allora alcuni dei nostri detti, impastati di passione amorosa, vita contadina, un grano di religione e un pizzico di Partito. E mi scuso con i puristi se li ho trascritti male (ossia, andè a ferèv der).

Al gà al mel dal lumagot = “Ha la malattia del lumacotto”. Lumagot, intraducibile, sarebbe il maschietto adolescente della lumaca. Il detto si riferisce a quando, sul più bello dell’amplesso, l’aitante giovane vede crollare la propria virilità di botto.

Barzòt-Meza Chèrna-Dur-Diamant = “Barzotto – Mezza carne – Sodo – Diamante”. È una serie di aggettivi che ben descrive il livello virilità dell’uomo. Si tratta di una sorta di Scala di Mohs della durezza, per gli amici ingegneri.

Na dàna o le bouna da lèt o ch’le bouna da cà = “Una donna o è brava a fare l’amore, o è una brava donna di casa”. Fu uno dei primi slogan femministi, nel tardo ‘400.

Roba nana, tòta tana = Lett. “Roba nana, tutta tana”. Un detto sgradevole, che suona come bieco tentativo di ridurre la femminilità – in questo caso di una donna di bassa statura – alla sola componente erotico/riproduttiva. L’autore del presente blog si dissocia fermamente.

Ogni badilaz al trova al so mandgaz = “Ogni badile trova il proprio manico”. Suona come un inno alla speranza: l’amore c’è per tutti e per tutte, basta aspettare e cercare.

Quand la berba la ciapa al bianchèin, mola lè la dàna e tachet al vein = “Quando la barba imbianchisce, con l’andare dell’età, è tempo di lasciare perdere le donne e attaccarsi alla bottiglia”. È un severo monito a dare il doveroso peso al tempo che passa, abbandonando con la maturità quella continua ricerca dell’appagamento fisico – che com’è noto non porta alla felicità – in virtù di un ‘esistenza più matura, saggia e temperata.

Le boun ed fèr a malapeina so e zò = “Fa a malapena su e giù”. Dicesi di colui che a letto non brilla di fantasia.

Le un ùsel vulot = “È un uccello che spicca i primi voli”. Dicesi dell’adolescente maschio che, seppur inesperto, già si dà da fare rendendosi pericoloso.

La mitrev l’ùsel anch in al cafelat = “Metterebbe **** anche nel caffelatte”. Si riferisce a colei che soffre per una continua necessità di compagnia maschile. Il detto compare anche in Amarcord di Federico Fellini.

La vèd paser più ùsee le, che le Valli di Comacchio = “Vede passare più volatili lei che le Valli di Comacchio”. Inteso di una donna con molte frequentazioni (le Valli di Comacchio sono una vasta zona umida tra le provincie di Ravenna e Ferrara, n.d.r.).

Quand i sudèn i trèv, te prounta da fèr = “Quando sudano le travi, sei pronta per partorire”. Dicesi di una partoriente che ha raggiunto il culmine del travaglio ed è quindi sul punto di partorire. Notate la finezza retorica, pura poesia: sudano le travi del soffitto sopra il letto della partoriente stessa. Insomma, la donna è vittima di una terribile allucinazione, tanto il suo dolore. Oppure, secondo altri, si riferirebbe la fiato della partoriente che condensa sulle travi e le ripiove addosso. Questa frase venne detta a mia madre da mia nonna, quando stavo per nascere, in risposta alla domanda: “Quanto devo ancora patire prima che nasca?” E io, a mia volta, l’ho ripetuta orgoglioso a mia moglie, durante la nascita di nostra figlia, ricevendo uno sguardo di serena approvazione.

[CONTINUA…]

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