La terra più contesa del mondo? Un orribile scoglio in mezzo all’Atlantico

Vi dico subito che non ci sono mai stato, ma la cosa non mi turba particolarmente. Il posticino protagonista di questa storia si chiama Rockall. Oppure Rocabarraigh in irlandese. O ancora Sgeir Rocail in gaelico scozzese. E dove la mettiamo la carezzevole versione islandese Rockalldrangur? Nonché il faroese (che sarebbe la lingua delle remote isole Fær Øer) Rockall o Rokkurin. Insomma, una simile sequela di nomi calzerebbe a pennello sul passaporto di qualche pingue sovrano. In realtà stiamo parlando di un assai meno regale scoglio, tra l’altro coperto di cacca d’uccelli.

Questo poco appetibile sassone alto dai 20 ai 30 metri, a seconda delle condizioni del mare, sorge come un’anima in pena nel mezzo dell’Atlantico del Nord, dove la nebbia è fitta, l’onda alta e la solitudine totale. Ecco le coordinate, se uno desidera fargli una visitina virtuale: 57°35′48″N 13°41′19″W. Ebbene, il nostro amico Rockall, che in realtà è la cima di un vulcano, è conteso all’arma bianca da ben quattro Paesi, ognuno dei quali appunto l’ha ribattezzato nella propria lingua. Il quartetto a briscola è composto, in ordine sparso, da Islanda, Regno Unito, Irlanda e Danimarca. Che poi quest’ultima disti dallo scoglio più che la Francia o il Belgio poco importa, poiché fortuna vuole che lo Jutland possa partecipare alla diatriba marinara grazie alle patrie isole Fær Øer, in effetti assai prossime all’oggetto del contendere.

Naturalmente questi Paesi non si stanno dando battaglia con l’intento di impiantare una colonia sull’isola che non c’è, o al minimo un penitenziario di massima sicurezza. L’interesse in gioco è più concretamente legato al petrolio che si nasconderebbe nei fondali circostanti e, in parte minore, alla volontà di sfruttare in via esclusiva le risorse ittiche locali. In effetti, l’eventuale proprietario di Rockall vedrebbe espandersi le proprie acque territoriali. Parentesi: su tali acque aleggiano tetre maledizioni, visto i tanti naufragi in zona fin dal tardo ‘600, che farebbero del posto la più grande lapide sulla faccia del Pianeta.

Il problema, al di là degli atti parlamentari della varie Maestà, è che secondo la Convenzione delle Nazioni Unite per il diritto internazionale marittimo, si definisce “isola” qualunque terra, per brutta che sia, in grado di assicurare la vita degli ipotetici colonizzatori. Diversamente, si tratta appunto di uno scoglio e come tale è Patrimonio dell’Umanità, ivi compresi i tesori in termini di forzieri affondati, idrocarburi e guano per impiego nel campo dei fertilizzanti. La scappatoia è dunque legata alla possibilità di occupare la roccia in pianta più o meno stabile, magari con faro simbolico.

Ebbene, hanno fatto pure questo. Non il faro, ma l’invasione. Ci provarono, ad esempio, nel 1955, quando un naturalista e tre militari della Royal Navy vennero spediti da Londra a conquistare Rockall. La colonia ebbe tuttavia vita breve e il mare tornò presto a regnare in casa propria. L’occupazione più scenografica è stata quella di Greenpeace, che nel ’97 mandò sul sassone un manipolo di attivisti che fondarono lo Stato libero di Waveland, o «terra delle onde», per protestare contro lo sfruttamento dei giacimenti petroliferi sommersi. Come ben sappiamo, è la finanza che governa la vita delle Nazioni: Waveland, pertanto, ebbe vita breve (42 giorni). Giusto il tempo di veder fallire la società che aveva sponsorizzato la colonizzazione.

Oggi l’isolotto fantasma continua la sua lotta con le onde, ignaro di essere un pezzo di mondo tanto desiderato. Una leggenda vuole che Rockall sia l’ultimo frammento del fiabesco Regno di Brazil, la terra dell’eterna giovinezza. Who wants to live forever? Cantavano gli indimenticabili Queen. Fate voi se vivere a Rockall vale il prezzo dell’immortalità.

Foto di copertina: commons.wikimedia.org

©DEVISBELLUCCI Se copiate il testo senza chiedere subirete l’ira mia e di Quelo, a cui sono assai devoto dagli anni ’90.

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