In interrail coi miei bimbi (5 e 7 anni)

Pronti con lo zaino in spalla per riassaporare tutto il fascino del treno

Quello che vedete nella foto sono io. Zaino Gold Cup 80 blu, Adidas Gazelle ai piedi, una notte insonne alle spalle insieme alla celebre segnaletica di Narvik, in Norvegia. Dimentico qualcosa? Ah, sì, un dettaglio. L’età. Avevo 22 anni, perché era il 1999. Da allora ho cambiato le scarpe, che mi servono un po’ più solide per compiere lunghi cammini senza rimetterci schiena e talloni, e mio malgrado pure lo zaino. Cioè, mi sono arreso a comprarne uno nuovo – odio la roba nuova – solo l’altro giorno, quando passando in rassegna tela e cuciture del fido compagno di viaggio ho trovato l’ennesimo strappo e la cerniera mi è rimasta in mano. Lo usavo appena dal 1995 e mi non aspettavo che sarebbe durato così poco.

Quel giorno di agosto a Narvik stavo nel mezzo di un interrail. Per noi che siamo diventati maggiorenni negli anni ’90, l’interrail era tra le esperienze più eccitanti che si potessero sognare (rimanendo nelle cose legali e che non lasciano incinta, ovviamente). Con un bel biglietto unico ti giravi l’Europa per un mese, salendo a tuo piacimento su ogni treno di seconda classe nonché sui traghetti. Se ben ricordo, il mitico ticket che mi regalarono per la maturità costava 256.000 lire. Nella mia vita ne ho fatti quattro, attraversando gran parte dei paesi europei, tra gente strampalata che ha riempito i miei ricordi di nostalgie.

Ognuno ha il modo di viaggiare che gli somiglia. Per me il viaggio è via terra coi mezzi pubblici oppure a piedi, se c’è più tempo. Odio l’automobile, tranne negli Stati Uniti dove sembra di guidare in paradiso, e mi stanno sulle scatole anche l’aereo, la barca perché non so nuotare (ma la nave va da Dio) e la bici perché mi sa fatica. Da quando sono diventato papà, per un po’ di anni mi sono dovuto arrendere all’automobile, visto la mole di bagaglio necessaria a garantire un seppur minimo confort a neonati e pargoli che stanno a malapena in piedi. È infatti complicato far stare in treno o nell’autobus per la Turchia due passeggini, due lettini da viaggio, un borsone di omogeneizzati, la piastra elettrica per preparare i pasti, il Parmigiano, l’olio d’oliva, i farmaci, un paccone di pannolini, Elmo, la Pimpa, Orsino, il T-Rex e il suo micidiale avversario: il diplodoco. Quindi: o vai a Cesenatico in hotel/campeggio/appartamento, oppure in Turchia ci arrivi in auto, soprattutto se te la vuoi girare. E non parlatemi di imbarcare in aereo tutta ‘sta roba e noleggiare una macchina là.

Una settimana fa io e mia moglie, guardando i nostri bimbi, abbiamo avuto come una rivelazione. Sono diventati grandi. Indipendenti. Sicuri di sé. Hanno ben 5 e 7 anni. Gli abbiamo provato a mettere sulle spalle uno zaino, poi uno un po’ più piccolo, poi uno medio… Finché… Ecco, ci siamo. Lo riuscivano a portare, a parte la pesantezza del loro muso tutt’altro che entusiasta, ma è sempre un’espressione temporanea. Ognuno ha così preparato il proprio bagaglio. Chi con Elmo, chi con Orsino. Colori, macchinine, bolle di sapone. E gli abbiamo detto: “Siate essenziali”. Hanno capito e sono andati in salotto a vedere i Simpson.

Quindi partiamo per un bel interrail in direzione Europa dell’Est, poi si vedrà a seconda del tiraggio. Questa sì che è libertà. Sapete? Sono felice. Non per l’interrail, figuriamoci: è un viaggetto come un altro. Il motivo è più sostanzioso. Ricordo che proprio durante quel viaggio in Scandinavia, quando avevo 22 anni, mi ritrovai a parlare del futuro con gli amici, come tutti abbiamo fatto diventando adulti. E si diceva, con malinconia, che queste cose vanno fatte adesso, perché poi quando hai dei figli te le scordi.

Paragrafo figli.

Allora erano per me lontani come la galassia di Andromeda, che comunque nel cielo la distingui a occhio nudo, se la serata è abbastanza limpida. Io e mia moglie siamo diventati una famiglia 7 anni fa, con la prima bimba. Coi figli ho fatto tra i viaggi più belli della mia vita, spendendo poco, divertendomi moltissimo e stancandomi come una bestia, cosa che tuttavia eleva spiritualmente.

Si dice che i figli ti tolgono qualcosa. Non è vero. I bambini invece rendono liberi, perché portano mamma e papà davanti a uno specchio che svela loro ciò che sono realmente e quello che davvero li lega l’uno all’altra. Sono come un setaccio per la coppia, quei terribili marmocchi. Dalle maglie del setaccio scivolano via la sabbia, la polvere, le piccolezze, mentre restano in bella vista le pietre preziose. Te le ritrovi ogni giorno lì davanti, grazie a loro, e scintillano alla luce del sole. Così passando da coppia a famiglia siamo diventati più leggeri, senza tutta quella sabbia addosso che si infila nelle cuciture e brucia, soprattutto d’estate. E in uno zaino a testa di dimensioni adeguate, finalmente, ci sta tutto quel che serve.

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