5 Luoghi Geniali dove ammirare i fossili

Un viaggio all’indietro nel tempo a caccia di conchiglie, foreste pietrificate e dinosauri, per la gioia dei più piccoli e non solo

Si sa, la preistoria, col suo esercito di dinosauri inghiottiti dal tempo, esercita un fascino incredibile sui bambini (e su tanti adulti). Da questo punto di vista in Italia siamo molto fortunati, dato che esistono un’infinità di luoghi dove scoprire le vestigia di quel lontano passato, quando l’uomo doveva ancora muovere i primi passi sulla Terra. Per scrivere il mio ultimo libro “Guida ai luoghi geniali” (Ediciclo Editore), ho avuto la fortuna di visitarne tantissimi da nord a sud, naturalmente insieme ai miei figli di 9 e 7 anni. Vi riporto qui sotto un elenco di questi luoghi, rimandando al libro chi desidera saperne di più.

Il giacimento fossilifero del fiume Panaro – Vignola (Modena)

Questo sito è vicinissimo a casa mia e si tratta di uno dei giacimenti più accessibili d’Italia. Non lontano dalla Rocca di Vignola, sulla riva del fiume c’è un affioramento di argille azzurre plio-pleistoceniche: granuli finissimi di sedimento color piombo che inglobano una fauna ricchissima, costituita per lo più da conchiglie. Le vedi sbucare, imbrigliate nella polvere, come perle luccicanti. Sono la suggestiva testimonianza di un antichissimo fondale sabbioso, quando gli Appennini non erano altro che anonimi rilievi montuosi in mezzo al mare

Il Museo dei Fossili e la Pesciara di Bolca – Vestenanova (Verona)

Questo è uno dei giacimenti fossiliferi più importanti del mondo per estensione. I fossili sono costituiti, per lo più, da pesci, compresi oltre 150 specie di squali. Nel parco attorno alla Pesciara, è possibile fare delle bellissime passeggiate paleontologiche coi bambini, guidati da alcuni operatori. Infine, si va tutti insieme al Museo.

Foresta fossile di Dunarobba Avigliano Umbro (Terni)

Pochi sanno che in Umbria c’è un’intera foresta fossile, che venne alla luce alla fine degli anni ’70 in una cava d’argilla. Potrete ammirare decine di trochi fossili, ossia quel che resta di un bosco di conifere del Pliocene, inghiottito da una palude qualche milione di anni fa, quando qui c’era un vasto lago.

Paleolab – Parco Geopaleontologico di Pietraroja (Benevento)

Forse non lo sapete, ma è italiano uno dei fossili di dinosauro più preziosi mai ritrovati. L’hanno battezzato “Ciro” ed è tornato alla luce nel 1998. Allora ne parlarono tutti i giornali perché il dinosauro Ciro, oltre alle ossa, presentava anche gli organi interni fossilizzati. Al Palolab, oltre a scoprire tutto su Ciro, si possono ammirare tanti fossili di notevole importanza.

Orme dei Dinosauri – Rovereto (Trento)

All’interno dell’area protetta dei Lavini di Marco, una grande distesa di roccia che è quanto resta di antichissime frane, nel 1990 sono state scoperte le tracce di un mondo perduto: centinaia di impronte di forme e dimensioni differenti, che gli scienziati hanno identificato come orme di dinosauri. Parliamo di rettili di almeno tre tipi: carnivori come i ceratosauri, giganteschi erbivori (vulcanodontidi) e animali più piccoli come gli ornitischi. Per saperne di più si può visitare il Museo Civico di Rovereto (Trento).

Parco Archeominerario di San Silvestro: tutto il fascino delle miniere

In Toscana, tra le colline di Campiglia Marittima, a esplorare antiche miniere e borghi fantasma

Avete con voi dei piccoli cacciatori di minerali, alla ricerca di rarità? Oppure dei ghostbusters in erba che amano i luoghi abbandonati, carichi di leggende? Allora questo splendido Parco di Campiglia Marittima, in provincia di Livorno, fa davvero al caso vostro, poiché unisce in un colpo solo il fascino del borgo fantasma all’emozione di esplorare ben due miniere, una a piedi e l’altra col classico trenino. Vi anticipo che i miei figli di 7 e 9 anni sono rimasti incantati, al di là della fatica dovuta al sole inclemente.

Andiamo con ordine. Ci troviamo appunto nel territorio di Campiglia Marittima, che a dispetto del nome non è sul mare bensì poco lontano (Marittima significa “della Maremma”). Tutta la zona, abitata fin dall’antichità, è ricca di giacimenti minerari di calcopirite, da cui si estrae il rame, e di galena argentifera, utili per ricavarne argento. C’è anche qualche miniera di limonite, che mescolata con l’ematite proveniente dall’Elba permetteva di ottenere il ferro.

Tutta l’area di Campiglia è ricca di antiche vestigia legate alla tradizione mineraria e, per nostra fortuna, è stato realizzato un Parco che cinge alcune delle testimonianze più importanti, prima fra tutte le rovine di Rocca San Silvestro, un villaggio fantasma sorto fra il X e l’XI secolo e abbandonato pochi secoli dopo. Le rovine del villaggio si ergono sulla cima di un colle, tra gli ulivi, e si possono raggiungere e visitare con una piacevole passeggiata. Pensate che fino agli anni ’80 l’intero complesso era sepolto dalla vegetazione ed è tornato alla luce grazie a recenti campagne di scavo. Nella Rocca ci sono i resti della chiesa, delle mura, il minuscolo cimitero, le rovine di alcune abitazioni e opifici.

La Rocca di San Silvestro è solo il cuore del Parco, che si estende per circa 450 ettari. Chi è più in forma e ha al seguito bambini grandicelli, può dedicarsi all’esplorazione dell’area seguendo uno dei tanti sentieri, riportati sulla mappa disponibile in biglietteria. Lungo il percorso si incontrano impressionanti cave di calcare a cielo aperto, pozzi di estrazione, gallerie e impianti dismessi che faranno la gioia degli amanti dell’archeologia industriale.

Da non perdere la visita alla miniera del Temperino, dove si entra a piedi con caschetto e guida (nonché una felpetta se no il colpo d’aria è assicurato e in questi tempi di Covid meglio evitare); qui potrete esplorare le gallerie realizzate da minatori e ammirare minerali e concrezioni alle pareti. I più piccoli si divertiranno molto visitando la miniera adiacente, in cui si entra con un caratteristico trenino tutto giallo che ne percorre un tratto, mentre scorrono davanti agli occhi vari reperti legati all’attività mineraria, dismessa a fine anni ’70: martelli pneumatici, carrellini arrugginiti, cumuli di materiale. Infine, prima di tornare a casa o fare una puntatina al mare che è lì a due passi, si può visitare il museo e acquistare qualche minerale per la nostra collezione (i miei figli mi hanno dilapidato il portafogli). All’ingresso c’è un ampio parcheggio dove, al momento della mia visita, erano presenti anche alcuni camper; immagino quindi che non ci siano problemi a raggiungere il Parco se siete in viaggio con questi mezzi.

Info qui.

7000 km in Europa via terra e via mare

Interrail in famiglia: chi l’ha detto che non si può?

Che cosa posso dire di uno dei viaggi più belli che abbia fatto? Come sempre, che il valore aggiunto sono stati loro: i miei bambini. Già l’anno scorso gli avevamo messo addosso uno zainetto ed eravamo partiti, lasciando finalmente a casa la tanto odiata auto. Siamo arrivati fino a Tallinn in treno e in autobus, e abbiamo potuto apprezzare i mitici Flixbus, economici e puntuali.

Quest’anno, visto che erano grandi (6 anni e 8 anni), abbiamo realizzato un piccolo sogno, ossia quello di fare un interrail in famiglia. In passato questa modalità di viaggio, che mi ha permesso di esplorare tutta l’Europa – ne ho fatti cinque – era rivolta più che altro ai giovani, mentre adesso mi sento di consigliarla a tutti, in primo luogo da un punto di vista economico. Io e mia moglie abbiamo optato per la modalità “15 giorni di viaggio in due mesi”, che significa viaggiare appunto per 15 giorni a tua scelta in un periodo di due mesi, in tutta Europa, Turchia inclusa. Trovate qui tutte le info. Il bello è che i bambini sotto i 12 anni viaggiano sempre gratis. Ogni adulto pagante può portarsi due pargoli al seguito, quindi se siete una famiglia numerosa – tipo mamma, papà e quattro figli – pagano solo i genitori per sei posti su treni, autobus e compagnie di navigazione convenzionate. Noi abbiamo speso 980 Euro in quattro per il ticket.

Ci sono varie modalità di biglietto per venire incontro a tutte le esigenze: ticket validi solo dieci giorni, altri solo all’interno di una nazione, etc. Non è quindi obbligatorio avere a disposizione dei mesi per viaggiare. Molto dipende dalle destinazioni che scegliete: chi ha meno tempo opterà per paesi vicini all’Italia e ben serviti dalla rete ferroviaria, come la Francia, la Germania o la Polonia; paradossalmente, la Spagna non è l’opzione migliore, dato che nella penisola iberica i binari hanno uno scartamento diverso rispetto al resto d’Europa, quindi non ci sono praticamente treni diretti, soprattutto dall’Italia. Arrivare anche solo a Barcellona rischia di farvi perdere 24 ore! In più, il sistema ferroviario spagnolo è fatto a raggiera, come la ruota di una bici con al centro Madrid, pertanto per raggiungere in treno due città vicine vi occorrerà passare per la capitale spagnola.

Il biglietto interrail non comprende i treni veloci, che richiedono un supplemento a parte (ad esempio i TGV, mentre sulle nostre Frecce c’è un supplemento fisso di 10 Euro a persona), e le cuccette per i notturni.

Noi, visto che avevamo tempo, abbiamo scelto di ripercorrere parte della tratta del mitico Orient Express, che collegava Parigi a Istanbul, passando per Francia, Germania, Austria, Ungheria, Romania e Bulgaria. Purtroppo non è stato possibile seguire il percorso “originale”, poiché tutta la linea serba che collega Budapest a Belgrado e Belgrado a Sofia era chiusa a causa di lavori. Infine, il treno oggi non raggiunge più Istanbul, sempre per questioni di lavori sui binari, ma si ferma prima, in una remota cittadina turca, e da qui bisogna procedere in autobus. A questo viaggio già di per sé straordinario, abbiamo aggiunto l’attraversata della Grecia e una settimana alle isole cicladi. Contate che con l’interrail avete uno sconto minimo del 60% per tornare in Italia via nave dalla Grecia, nonché altri sconticini per visitare le isole stesse.

Finito il viaggio, mi sento di sconsigliare paesi come la Romania o la Bulgaria a chi non abbia davvero tanto tempo. Qui i treni sono lenti al di là di ogni immaginazione, oltre che rari e con orari scomodissimi. Abbiamo impiegato anche 12 ore per fare 200 km: mille fermate, ritardi, rotture… Certo, c’è modo di perdersi nel paesaggio remoto, leggere, conoscere persone, fare davvero un passo indietro nel tempo. I miei bambini sono praticamente nati in viaggio e non si lamentano mai (e anche se lo fanno, già sanno che papà non può fare andare più veloce il treno). Hanno inventato giochi, mangiato, dormito, riso, conosciuto altri piccoli viaggiatori, etc. Contate che è rigorosamente vietato, nei nostri viaggi così come nelle nostre uscite, avere lettori DVD o apparati elettronici. Credo molto che tutti noi, bambini inclusi, dobbiamo imparare a gestire la noia senza scappare nel mondo virtuale, ma questa è solo la mia opinione.

Premesso ciò, i paesi dell’est hanno un grande fascino, nonostante non ci siano i classici luoghi “mozzafiato”, spettacolari, supermegagalattici (almeno per i miei gusti), e vale anche per le città. Con due eccezioni: Cracovia e Tallinn, che ritengo invece straordinarie. Solo che spesso è proprio quello che chiamiamo fascino a fare la differenza. Bulgaria e Romania vogliono dire chiese ricolme d’oro, monasteri abbarbicati fra le montagne, il nulla in ogni direzione coperto di fiori di girasole, cicogne che si alzano in volo e tante, tante fattorie di legno con muli e cavalli. Certo, sarebbe comoda un’auto, non lo nego.

Ora che sono qui, e fuori dalla finestra si prepara l’autunno, mi accorgo con un po’ di meraviglia che le mie nostalgie da rientro volano proprio là, dove non ti aspetti. Non ai colori abbacinanti di Santorini, all’acropoli di Atene o alle atmosfere parigine, bensì ai profumi acri che aleggiano per le vie di Budapest, ai vicoli pittoreschi della rumena Brasov, dove aleggia la leggenda di Dracula, o a quella libreria di Bucarest, una fra le più belle che abbia mai visto, che pare una chiesa dedicata al sapere, bianca, piena di bambini. E ripenso alle loro mamme, dai visi lontani e tristi.

 

La magia dell’interrail che si rinnova!

Dai 19 ai 27 anni mi feci 5 interrail. Per me quella era “la vacanza”. Il primo fu dopo la maturità, quando con gli amici di allora…

Dai 19 ai 27 anni mi feci 5 interrail. Per me quella era “la vacanza”. Il primo fu dopo la maturità, quando con gli amici di allora – che in buona parte sono pure quelli di adesso – partimmo per Parigi e da qui verso il Belgio, l’Olanda, l’Inghilterra e l’Irlanda. Ero letteralmente ebbro e bulimico: di incontri, di luoghi, di parole scambiate, di giuramenti in buona parte mancati e soprattutto incredulo davanti alla bellezza dell’Europa che per la prima volta si schiudeva fra le mie mani.

Ricordo che allora sognavo, un giorno “da adulto”, di farmi l’interrail con la mia famiglia e i miei figli. Mi prendevano un po’ in giro. Che ne sapevo io di figli, di mogli petulanti per cui l’estate è sinonimo di abbronzatura (se no sembra che non siamo neanche stati in vacanza), di lavoro, stanchezza e del fatto che i bambini sono deboli, si ammalano, si possono perdere e il mondo è truce, violento, pieno di terroristi? Da “grande” avrei cambiato idea.

In questi giorni si rinnova l’epopea della maturità e sono passati 20 anni da allora. Sono diventato un insegnante, come mi avevano raccomandato alcuni insegnanti di allora e soprattutto il mio esaminatore, il prof. B., che disse “Studia fisica, dammi questa soddisfazione”. E davanti a me c’è un nuovo ticket interrail, appena arrivato. Non un solo biglietto, ma 4: per me, mia moglie e i nostri bambini. Il più piccolo inizierà le elementari in settembre.

Si rinnova la magia della carta: mappa dei treni cartacea, biglietto cartaceo – non esiste il formato elettronico – istruzioni cartacee, diario di viaggio con le tappe da compilare rigorosamente a penna e “con penna non cancellabile”. Come allora.

A differenza di allora, tuttavia, il costo è molto più basso e c’è stata una precisa volontà “politica” di aprire l’interrail alle famiglie. Pensate: i bambini sotto i 12 anni non pagano. Abbiamo speso circa 960 Euro per 4 biglietti e potremo viaggiare, in un periodo di due mesi, per 15 giorni anche non continuativi in 31 Paesi dal Portogallo alla Turchia, più una serie di sconti per traghetti e altro. Ogni adulto pagante può portare con sé fino a due bambini non paganti: questo vuol dire che se fossimo stati io, mia moglie e 4 figli, avremmo speso la stessa cifra. È compreso anche un viaggio AR per il confine di Stato, anche se vivete a Palermo, quindi lontanissimi.

Noi partiamo nella seconda metà di luglio e ripercorriamo il tragitto storico dell’Orient Express da Parigi a Istanbul passando per Austria, Ungheria, Serbia e Bulgaria, col ritorno via terra per Atene. Spero che ci salti fuori un altro bel libro di viaggio, per il quale sto già studiando…

Per info: sito ufficiale interrail

Lunghi viaggi on the road con neonati e piccolissimi? Si può!

Descriviamo lo scenario. Avete sempre amato i viaggi itineranti e non importa come: in auto, in treno, in autobus… Purché ci si sposti. Poi sono arrivati i bambini. Fine dei giochi?

Descriviamo lo scenario. Avete sempre amato i viaggi itineranti e non importa come: in auto, in treno, in autobus… Purché ci si sposti. Chi ha raggiunto in interail Capo Nord, chi se n’è andato via terra in Cappadocia, chi con quell’autobus scassato ha macinato migliaia di km lungo la Panamericana. Solo che adesso c’è un’immensa gioia in più: il piccolino di casa (o la piccola, è uguale). Che sì, ti riempie il cuore, l’orizzonte e pure ahimè le notti, ma come un dogma biblico di conduce pure in catene al lettino e all’ombrellone, oppure in quell’appartamento in montagna, naturalmente in zona ben servita da pediatri, 118 e nonna Pina che non resiste tre ore senza spupazzarsi il nipotino. Insomma, fine delle avventure (e qualcuno dice pure del sesso, ma questo è un altro argomento).

È davvero così? Dipende. Io ho fatto coi miei figli, da subito, alcuni dei viaggi più belli della mia vita. Vedete, il fatto è semplice: i bambini vanno dove li porti e con mamma e papà stanno in paradiso di default; bisogna vedere se noi stiamo altrettanto bene con loro. Le necessità dei più piccoli sono minime: una tetta (o un biberon), il contatto coi genitori e tanta serenità. Non hanno bisogno di sentire, nell’aria che respirano, amarezza e nostalgia per le cose belle che “si potevano fare una volta” e ora non si fanno più essendo arrivato un cucciolo d’uomo in famiglia. Basta diventare, fin da subito, un team affiatato. Scoprirete allora che viaggiare coi piccoli è sì faticosissimo, ma anche altrettanto divertente; che cementa il rapporto di coppia grazie a buone dosi di ironia che si è costretti a imparare (e poi utilizzare nel momento del bisogno) ma soprattutto che così facendo i bambini crescono senza alcuna paura né del mondo, né di ciò che è diverso.

Partiamo dai neonati. Io e mia moglie, con la nostra bimba di 24 giorni, siamo partiti con una Clio per vagabondare in Francia e Spagna. Un mese in giro tra Paesi Baschi, Asturie, Provenza, Pirenei… migliaia di km, insomma. Siamo partiti che la piccola Maya non ne voleva sapere di stare nel suo seggiolino e protestava come un no global. Avevo preventivato sei ore per macinare 300 km, ma ce ne impiegammo tipo dodici, tra soste, cambi di pannolino, tettate, ruttino, etc. Arrivammo stravolti (alla prima tappa) chiedendoci chi ce l’aveva fatto fare. Ogni tanto la piccola – che meraviglia! – faceva cacche da dinosauro che debordavano dal pannolino contaminando il contesto, e mentre lei se la rideva (e pure mia moglie), io procedevo alla lavatura del seggiolino dopo apposita sosta nella piazzola dell’autostrada. In pratica, la prima tappa del cammino verso l’ironia. Detto questo, i pianti della signorina diventarono in pochi giorni sempre più rari, a parte le puntuali “colichette”, ma per fortuna a quell’ora facevamo in modo di stare in albergo. Successe in pratica quel miracolo che accade nella vita di ogni bambino con un po’ di impegno da parte dei genitori: si abituò. Guardava fuori dal finestrino, sorrideva “al cielo” mentre andavamo, riconosceva la musica rilassante che ogni tanto mettevamo su (allora erano per lo più CD di Ludovico Einaudi, colonna sonora delle nostre migliaia di km). Come bagaglio non serve molto: una quintalata di pannolini, piccola farmacia di bordo, scalda-biberon e ovviamente la carrozzina.

Un po’ più brigoso è viaggiare coi bambini svezzati, che pretendono giustamente la propria pappa. Noi abbiamo fatto anche quello per quattro anni dietro fila, prima con uno, poi con due figli e naturalmente non solo in paesi dalle condizioni igieniche impeccabili. Con Maya di un anno partimmo per la Turchia via terra: quattro giorni per arrivare a Istanbul, senza mai prenotare un hotel perché non sapevamo dove saremmo arrivati. Da là visitammo la Cappadocia e rientrammo per la Grecia e i Balcani. L’anno dopo con noi c’era anche il piccolo Filippo di due mesi e raggiungemmo Santiago de Compostela, poi il Portogallo e l’Andalusia. La logistica è più complicata che coi neonati, ovviamente. Noi montammo sul tetto dell’auto un portabagagli, nel quale sistemare la tonnellata di roba necessaria a preparare il cibo per i piccoli e creare la loro cameretta. Per il vitto avevamo una piastra elettrica con pentolini vari, una scorta di omogeneizzati di carne e frutta, pastine, brodi liofilizzati in busta, monoporzioni di parmigiano. Tutta roba in realtà usata quasi mai, visto che non è mai un problema trovare frutta o verdura freschi. Ogni mattina, prima di uscire dalla pensione/hotel/ostello/B&B o quel che è preparavamo il pasto per il piccolo di turno e lo mettevamo in un apposito thermos per pappe, in modo da poterglielo dare a pranzo. La sera, invece, il fanciullo mangiava prima di noi nella pensione/hotel/ostello/B&B e gli preparavamo tutto lì. Avevamo con noi il necessario per lavare le (poche) stoviglie e facevamo molta attenzione a usare solo acqua minerale in bottiglia per preparare i pasti dei bambini o lavare la loro frutta e verdura. Quando ci capitava di finire in posti igienicamente accettabili, facevamo preparare carne o riso o altro che tritavamo sul momento. Insomma, a parte il fantozziano sbattimento, nessun problema. In tutti questi anni io ho sempre beccato la consueta diarrea del viaggiatore, che non è mai toccata a nessuno dei miei figli, grazie alle attenzioni per la loro alimentazione. E per dormire? Avevamo due lettini smontabili acquistati su internet, comodissimi, che il sottoscritto provvedeva ogni given day a portare nella pensione/hotel/ostello/B&B e a montare. Faticoso? Un sacco, ma con ottime prospettive per il futuro. E i bimbi, in questi lunghi viaggi, si sono mai ammalati? Certo, come a casa. Influenza, faringite, etc. Ebbene, abbiamo scoperto che i pediatri, quando necessario, ci sono anche all’estero, dove vivono milioni di bambini come i nostri. Ci siamo rivolti a qualche guardia medica più volte in Spagna, ad esempio, dove non abbiamo pagato mai nulla e i nostri piccoli sono stati oggetto di grandi attenzioni dai medici. Devo anche dire, tuttavia, che è sempre bastata la tachipirina, a parte una volta l’antibiotico per una tonsillite un pochino più severa. Un anno siamo andati via con la nostra bimba che si era rotta il braccio prima di partire (la sera prima. Che sfiga) e dunque aveva il gesso. Naturalmente, anche qui, nessun problema. Siamo stati via due settimane in Bretagna e Normandia, siamo tornati a casa a togliere il gesso e il giorno dopo, su approvazione “divertita” del medico, eccoci in viaggio per un’altra destinazione.

In conclusione, ne vale la pena? Un miliardo di volte sì: la fatica – tanta – si dimentica, mentre l’ironia, i bei ricordi, le risate, quell’avventuroso spirito di gruppo che rende la coppia una famiglia, un “noi”, restano. E se avete poco tempo, magari due settimane? Vi dico quello che avrei fatto io. Ci saremmo ritirati all’estero in una città, in appartamento, per vivercela pienamente come cittadini del posto; senza fretta, mescolandoci con la gente. Parigi, Edimburgo, Madrid o Berlino, ad esempio.

Oggi i miei bimbi hanno sei e otto anni. La più grande è stata in 24 Paesi. Ha mosso i primi passi in Turchia, dove ha compiuto un anno, e mi ha sorriso per la prima volta, accarezzandomi il viso, a Cassis, in Francia. Lo ricordo perché in quel momento mi sono innamorato di lei. La prima parola l’ha detta a Rila, in Bulgaria, ed era il verso della rana. Il parco giochi preferito dei miei figli – ne parlano tuttora – si trova ad Argamasilla de Alba, nella Mancha spagnola, vicino ai mulini a vento (è un parchetto insignificante dove tutto è in tema mucca), e tra la cose più belle che Filippo abbia visto ci sono l’Acquario Pianeta Blu di Copenaghen e lo zoo di Berlino. E’ bello vederli che, allegri, si caricano il loro zaino in spalla e pianificano insieme a noi gli itinerari sulle cartine, carichi a molla. Mi viene da dire… tale padre, tali i figli.

A caccia di fossili sul greto del Panaro

A due passi dal centro di Vignola, nel Modenese, uno dei più accessibili giacimenti fossili d’Italia, vera gioia per i bambini!

Sarò stato in terza elementare o giù di lì. La maestra disse: “La prossima settimana andremo a fossili. Portate un cacciavite, scarpe vecchie e, chi ce l’ha, un pennello”. Mi aspettavo un viaggio lontano, con l’autobus, invece si trattò solo – per modo di dire – di un viaggio lontano nel tempo. Uscimmo da scuola, attraversammo il centro storico di Vignola in fila per due, mano nella mano come usava allora, per poi scendere sulla riva del nostro fiume Panaro. Solo che in quel punto, non lontano dalle rovine del vecchio ponte, lo scenario era assai diverso da quello che conoscevo: non la vasta distesa di sassi e ciottoli su cui, in estate, si assiepavano brandine e ombrelloni (la chiamavamo la Rimini dei poveri), bensì un affioramento grigiastro, duro come la pietra, che pareva una colata di sabbia fine rinsecchita. Lì ci aspettava un signore di cui non ricordo il nome, e che ahimè immagino sia morto da tempo, visto che era già vecchiotto allora. Era uno dei responsabili del museo civico locale, pronto a tenerci una lezione sull’aspetto che aveva il mondo milioni di anni fa, quando la Pianura Padana si trovava negli abissi di un mare scomparso.

Il giacimento fossilifero è ancora lì, sotto gli occhi di tutti, uno dei più accessibili d’Italia. Basta lasciare l’auto nel parcheggio sotto al castello di Vignola, al Lavabo, e incamminarsi a piedi verso il fiume. La spiaggia fossile è frequentata da gente che prende il sole, fa Yoga o porta a spasso il cane. Tecnicamente si tratta di affioramento di argille azzurre plio-pleistoceniche: granuli finissimi di sedimento color piombo che inglobano una fauna ricchissima, costituita per lo più da conchiglie. Le vedi sbucare, imbrigliate nella polvere, come perle luccicanti. Sono la suggestiva testimonianza di un antichissimo fondale sabbioso, quando gli Appennini non erano altro che anonimi rilievi montuosi in mezzo al mare. Simili affioramenti che pullulano di fossili si trovano anche altrove, nella porzione sub-appenninica di Marche, Toscana, Piemonte e naturalmente Emilia Romagna, ma di rado sono così accessibili come nel tratto del Panaro che va da Marano a Vignola, portati a galla proprio dall’erosione del fiume.

A questo punto non resta che armarsi delle celebre santa pazienza e di una buona dose di delicatezza. L’argilla, infatti, è piuttosto compatta e serve olio di gomito per spaccarne dei frammenti da passare al setaccio (in senso figurato), alla ricerca dei preziosi fossili. Il fatto che sia piovuto di recente può aiutare, ma aumenta anche il tasso di fango: se avete dei bambini si divertiranno da matti, ma alla fine servirà un po’ di calma zen per ripulirli. I piccoli paleontologi vivranno l’emozione di riportare alla luce cornetti e conchiglie bivalvi di ogni forma e dimensione (non sto a scrivervi i nomi scientifici, che tanto uno se li dimentica dopo tre secondi). Gli annali riportano ritrovamenti straordinari: granchi, la mandibola di un tapiro e pure un fossile di ungulato, ritrovato nel 1987. Potete vedere questi reperti nel Museo Civico di Vignola (Via Bellucci 1, aperto ogni domenica con ingresso libero dalle 9:30 alle 12:30). Alla fine tornerete a casa con l’immancabile scatoletta colma di frammenti fossili da spazzolare col pennello e sistemare nella cameretta dei figli. Magari qualcuno di loro, da grande, deciderà di fare il cacciatore di mondi perduti.

Dall’Italia a Tallinn via terra insieme ai miei bimbi “zainati”

5 settimane tra andata e ritorno, 8 Paesi attraversati in treno e in autobus coi nostri figli al seguito (5 e 7 anni). Naturalmente, tutti col proprio bagaglio in spalla

Come diceva il saggio “Yes, we can”. Quest’ultimo viaggio, per quelli come me che impararono a viaggiare a suon di interrail (o autobus in America latina), quando ancora le compagnie low cost non esistevano, è stato una bella soddisfazione. Dovete sapere che io ho due bimbi non proprio adulti fatti: hanno cinque anni il maschietto e sette la femmina. Ok, viaggiano con noi da sempre, la più grande da quando aveva neanche un mese di vita e a oggi ha attraversato 22 Paesi; in più, non abbiamo mai fatto una vacanza “stanziale” al mare o in montagna o al lago. Detto questo, si andava sempre in auto, cosa che odio. Un po’ perché mi rende ansioso e non ci si rilassa mai, dovendo guidare giornate intere, un po’ perché ogni volta c’è il dramma del dove parcheggiare l’auto, che vuol altresì dire una grande difficoltà a trovare pensioni/ostelli a cifre accettabili nelle città, visto che il parcheggio non è mai disponibile e si rischia di spendere di più per sistemare l’auto che i Cristiani al seguito, come direbbe la mia povera nonna. L’auto è comoda in Canada o negli States, dove fuori città le strade corrono dritte senza traffico tra scenari galattici, ti puoi fermare dove ti pare e il motel ha sempre un parcheggio, di solito davanti all’uscio della camera.

Premessa questa fola, abbiamo deciso di provare da subito l’esperienza autobus e treno in Europa. I bimbi erano entusiasta quello piccolo, meno quella grande (come sempre in tutto). Siccome, nei limiti del possibile, è educativo che ognuno si porti il proprio bagaglio, abbiamo comprato due zaini anche per loro, spiegando la faccenda e invitandoli a scegliere “i giocattoli più importanti”. Alla fine i ragazzi avevano colori, fogli per disegnare, dieci macchinine, cinque mini-dinosauri, un gioco dell’oca da viaggio, un gioco di carte, colla e forbici (la piccola passa il tempo a fare lavoretti), una macchina fotografica e un pupazzo per ciascuno, con relativi vestitini, usato per giocare, dormire, parlare come Wilson sull’isola deserta. E naturalmente, ognuno si portava le proprie magliette. Alla fine i loro mini zaini pesavano circa 3 kg ognuno. Gli altri 30 kg di roba, farmacia inclusa, erano per me e mia moglie.

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Il biglietto interrail non era conveniente per noi. Avremmo speso circa 1000 Euro, ma le Repubbliche Baltiche, ossia la nostra destinazione, non sono incluse nel pacchetto. In più avevo già guardato che Germania e Polonia sono ben collegate dai super economici Flixbus, vantaggiosi rispetto al treno per orari, tempi di percorrenza e appunto prezzo. Perché le Repubbliche Baltiche? Da un lato perché, pur avendo girato l’Europa in lungo e in largo (con figli al seguito) non ci eravamo mai stati, dall’altro per questioni di budget.

Il problema è quello, per noi che ringraziando il cielo abbiamo molto tempo per viaggiare: i soldi. Ormai ci impongono tutti una camera quadrupla o due doppie. Non ci credono che io dormo nella vasca, per terra o che so lievitare e svulazzare per la stanza come il mago di Segrate, quindi mi basta la tripla e ci arrangiamo, o la doppia che facciamo il sandwich. Inutile che vi dica quanto costa una quadrupla a Oslo o in Lapponia o in Scozia (se la si trova). E quando andiamo a mangiare ormai paghiamo per 3.5… presto sarà per 4… e guardando quanto mangia mio figlio temo che arriveremo a pagare per 5. Sfatiamo il luogo comune anni ’80 che in Spagna-Grecia-Croazia costa poco. Sono stato in Spagna 1800 volte e mi costa meno dormire a Roma, a Napoli o nella splendida Sicilia.

Così siamo partiti in direzione Tallinn. È stato possibile viaggiare in treno, con varie tappe e cambi, fino a Suwalki, al confine con la Lituania. Durante il viaggio siamo passati per diverse città, tra cui Vienna (bimbi entusiasti), Bratislava, Katowice (?) e Varsavia. Nelle Repubbliche Baltiche abbiamo usato solo gli autobus per gli spostamenti più lunghi. Sono puliti, bellissimi e rapidi. Per la gioia dei più piccoli, pensate che ogni sedile aveva il proprio monitor con film, internet e musica da ascoltare. Ovviamente – vitale – c’era il bagno. I bimbi avevano l’80% di sconto: viaggiare in autobus tra Vilnius e Riga, ad esempio (durata circa 4 ore e mezzo), ci costava 45 Euro in 4. Altre volte i bimbi viaggiavano proprio gratis. Per dormire abbiamo per lo più soggiornato in ostello, spendendo tra i 40 (Polonia, Repubbliche Baltiche), i 55 (Austria, Slovacchia) e i 60 Euro (Germania) per una quadrupla a notte, con bagno in comune. Gli ostelli erano da bellissimi a un pochino scadenti o scomodi, ma ci si adatta per vedere il mondo tutti insieme, no? Unica fregatura, Monaco di Baviera, una delle città col peggior rapporto qualità prezzo che abbia visto in vita mia.

Capitolo pasti. Io mangio qualsiasi cosa (anche se poi sto male), i miei figli meno, mia moglie medio. I fast food e lo street food salvano i viaggiatori low budget, mentre il giochino dell’happy meal rimpingua il parco giochi di bimbi in crisi, laddove le macchinine sono sempre quelle e orsino l’ho già vestito e svestito venti volte, che noia, che noia, che noia. Ce la siamo cavati con una media di 20 Euro a pasto in 4, tenuto conto che alcune volte facevamo la spesa e mangiavamo frutta, verdura e panini nella camera dell’ostello e i pasti durante i viaggi in treno e in autobus sono panini per forza.

Nel complesso è andata benissimo. Nessuno si è ammalato, nessuno si è lamentato mai, i bambini sono stati entusiasti dei tanti castelli, degli zoo e dei musei visitati. Spesso bisognava alzarsi alle 6 e mezza per prendere l’autobus e portare gli zaini per delle mezz’ore da e per gli ostelli. Come ho sempre pensato, i bambini è solo un fatto di abituarli e di travolgerli col nostro entusiasmo per il mondo e la sua bellezza. La più grande gioia? Quando partendo per Berlino, dove avremmo visto lo zoo e la collezione di dinosauri del Museo di Scienze Naturali, ci siamo dovuti alzare alle cinque e mezza, eppure i bimbi sono scattati in piedi, felici ed eccitati. Il più piccolo mi ha detto: “Non vedo l’ora di arrivare a Berlino. Sono così… elettrizzato!” E fuori era ancora notte.

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In interrail coi miei bimbi (5 e 7 anni)

Pronti con lo zaino in spalla per riassaporare tutto il fascino del treno

Quello che vedete nella foto sono io. Zaino Gold Cup 80 blu, Adidas Gazelle ai piedi, una notte insonne alle spalle insieme alla celebre segnaletica di Narvik, in Norvegia. Dimentico qualcosa? Ah, sì, un dettaglio. L’età. Avevo 22 anni, perché era il 1999. Da allora ho cambiato le scarpe, che mi servono un po’ più solide per compiere lunghi cammini senza rimetterci schiena e talloni, e mio malgrado pure lo zaino. Cioè, mi sono arreso a comprarne uno nuovo – odio la roba nuova – solo l’altro giorno, quando passando in rassegna tela e cuciture del fido compagno di viaggio ho trovato l’ennesimo strappo e la cerniera mi è rimasta in mano. Lo usavo appena dal 1995 e mi non aspettavo che sarebbe durato così poco.

Quel giorno di agosto a Narvik stavo nel mezzo di un interrail. Per noi che siamo diventati maggiorenni negli anni ’90, l’interrail era tra le esperienze più eccitanti che si potessero sognare (rimanendo nelle cose legali e che non lasciano incinta, ovviamente). Con un bel biglietto unico ti giravi l’Europa per un mese, salendo a tuo piacimento su ogni treno di seconda classe nonché sui traghetti. Se ben ricordo, il mitico ticket che mi regalarono per la maturità costava 256.000 lire. Nella mia vita ne ho fatti quattro, attraversando gran parte dei paesi europei, tra gente strampalata che ha riempito i miei ricordi di nostalgie.

Ognuno ha il modo di viaggiare che gli somiglia. Per me il viaggio è via terra coi mezzi pubblici oppure a piedi, se c’è più tempo. Odio l’automobile, tranne negli Stati Uniti dove sembra di guidare in paradiso, e mi stanno sulle scatole anche l’aereo, la barca perché non so nuotare (ma la nave va da Dio) e la bici perché mi sa fatica. Da quando sono diventato papà, per un po’ di anni mi sono dovuto arrendere all’automobile, visto la mole di bagaglio necessaria a garantire un seppur minimo confort a neonati e pargoli che stanno a malapena in piedi. È infatti complicato far stare in treno o nell’autobus per la Turchia due passeggini, due lettini da viaggio, un borsone di omogeneizzati, la piastra elettrica per preparare i pasti, il Parmigiano, l’olio d’oliva, i farmaci, un paccone di pannolini, Elmo, la Pimpa, Orsino, il T-Rex e il suo micidiale avversario: il diplodoco. Quindi: o vai a Cesenatico in hotel/campeggio/appartamento, oppure in Turchia ci arrivi in auto, soprattutto se te la vuoi girare. E non parlatemi di imbarcare in aereo tutta ‘sta roba e noleggiare una macchina là.

Una settimana fa io e mia moglie, guardando i nostri bimbi, abbiamo avuto come una rivelazione. Sono diventati grandi. Indipendenti. Sicuri di sé. Hanno ben 5 e 7 anni. Gli abbiamo provato a mettere sulle spalle uno zaino, poi uno un po’ più piccolo, poi uno medio… Finché… Ecco, ci siamo. Lo riuscivano a portare, a parte la pesantezza del loro muso tutt’altro che entusiasta, ma è sempre un’espressione temporanea. Ognuno ha così preparato il proprio bagaglio. Chi con Elmo, chi con Orsino. Colori, macchinine, bolle di sapone. E gli abbiamo detto: “Siate essenziali”. Hanno capito e sono andati in salotto a vedere i Simpson.

Quindi partiamo per un bel interrail in direzione Europa dell’Est, poi si vedrà a seconda del tiraggio. Questa sì che è libertà. Sapete? Sono felice. Non per l’interrail, figuriamoci: è un viaggetto come un altro. Il motivo è più sostanzioso. Ricordo che proprio durante quel viaggio in Scandinavia, quando avevo 22 anni, mi ritrovai a parlare del futuro con gli amici, come tutti abbiamo fatto diventando adulti. E si diceva, con malinconia, che queste cose vanno fatte adesso, perché poi quando hai dei figli te le scordi.

Paragrafo figli.

Allora erano per me lontani come la galassia di Andromeda, che comunque nel cielo la distingui a occhio nudo, se la serata è abbastanza limpida. Io e mia moglie siamo diventati una famiglia 7 anni fa, con la prima bimba. Coi figli ho fatto tra i viaggi più belli della mia vita, spendendo poco, divertendomi moltissimo e stancandomi come una bestia, cosa che tuttavia eleva spiritualmente.

Si dice che i figli ti tolgono qualcosa. Non è vero. I bambini invece rendono liberi, perché portano mamma e papà davanti a uno specchio che svela loro ciò che sono realmente e quello che davvero li lega l’uno all’altra. Sono come un setaccio per la coppia, quei terribili marmocchi. Dalle maglie del setaccio scivolano via la sabbia, la polvere, le piccolezze, mentre restano in bella vista le pietre preziose. Te le ritrovi ogni giorno lì davanti, grazie a loro, e scintillano alla luce del sole. Così passando da coppia a famiglia siamo diventati più leggeri, senza tutta quella sabbia addosso che si infila nelle cuciture e brucia, soprattutto d’estate. E in uno zaino a testa di dimensioni adeguate, finalmente, ci sta tutto quel che serve.

Le 20 cose che ho imparato viaggiando con bambini e neonati

Cantavano Cochi e Renato: “Io per il lavoro che faccio viaggio molto”. In particolare, metti che il piccione viaggiatore della canzonetta andasse a Genova, non mai aveva piacere di essere accompagnato (tra l’altro la moto non aveva neanche il seggiolino di dietro). Diversamente, io adoro viaggiare coi miei figli, anche se piccoli. Al massimo mi arrendo alla loro assenza se il triste dovere mi porta nella sperduta isola di Tristan da Cunha, cosa che tuttavia accade di rado. Adesso i miei pargoli hanno 6 e 4 anni, quindi sono grandi e autonomi, ma noi, come famiglia, non abbiamo mai smesso di viaggiare, regalando i primi 5.000 km su strada alla bimba quando aveva 28 giorni. Problemi: neanche uno, mai. Solo grandi risate e una fatica folle. Ecco un sunto di quello che mi sembra di aver capito. Per ora.

1) Si sperimenta uno dei cardini della Relatività Ristretta: l’estenuante dilatazione dei tempi.

Quando mi chiedono com’è fare viaggioni coi bimbi, ripeto sempre: faticoso, divertente e mostruosamente lento. Si rischia di vedere cambiare le stagioni e diminuire il debito pubblico. Un aneddoto: quando mia figlia aveva 28 giorni, l’abbiamo caricata in macchina e siamo partiti un mese per un viaggio in Provenza, Paesi Baschi, Cantabria e Asturie con passaggio da Lourdes a farci benedire. La prima tappa era Modena-Bordighera. Mi sembrava una distanza accettabile da fare in giornata. Siccome volevo “viaggiare col fresco” per agevolare la bimba e partire col buio in modo che continuasse a dormire (figuriamoci), siamo usciti di casa quatti quatti alle 5 del mattina. Autostrada deserta: splendido. Su google: distanza 400 km, tempo stimato x equipaggio adulto: 4 ore e 15 minuti. Abbiamo impiegato quasi 13 ore. Perché? Perché la bimba deve mangiare (22 volte) ed essere cambiata (22 volte), poi ha avuto 47 crisi di pianto che hanno richiesto altrettanti stop, e una volta la cacca giallina è sgusciata fuori dal pannolino sporcando il seggiolino che abbiamo lavato all’autogrill (smontalo e rimontalo) e asciugato sotto il soffione asciuga-mani del bagno. Chiaro il concetto?

2) La prima e l’ultima settimana sono le parti più faticose di ogni viaggio.

 È che uno ci deve prendere la mano per abituarsi a tutta la logistica “carica-scarica-fermati-riparti” senza strippare. Nella prima settimana ti chiedi: ma chi me l’ha fatto fare? Era meglio andare al mare a Numana o a Milano Marittima o a Sestri Levante (mmm… no, Numana e Sestri sono troppo lontane) e non muoversi da lì. Poi uno si abitua e te la godi. Solo che accumuli fatica, quindi passi l’ultima settimana a sognare una SPA, la piscina, il silenzio, staccare la spina… Insomma, di andare finalmente in ferie. Mi rendo conto che se uno ha due settimane in tutto la cosa potrebbe essere una pena.

3) Scopri che le canzoni per bambini hanno un loro perché.

Macché Pink Floyd, Oasis, John Denver o i Roxette (un po’ di romanticismo, suvvia)… Volete mettere con “La bella tartaruga” o “Il caffè della Peppina”? Io ce le ho sempre nelle orecchie. Mi sento giovane, felice, drogato. Una volta ho ascoltato da Istanbul a Salonicco “È quasi magia Johnni” senza rendermene conto perché intanto parlavo da solo. O pregavo, chissà.

4) Per i bambini l’aiuola di uno spartitraffico è già una vacanza interessante, purché ci siano una pozza di fango o un metro quadro di margherite da raccogliere.

Ognuna delle 22 volte in cui vi fermerete i pargoli troveranno qualcosa di grande interesse, anche nella piazzola dell’autostrada o sotto al cavalcavia. Pretenderanno di essere arrivati o almeno di rimanere un’ora a paciugare nell’acqua sporca (dopo vanno lavati), tirare i sassi nel fosso, catalogare i rifiuti, etc. Perché andare a Parigi, in Scozia o a Capo Nord? La felicità è un piazzale pieno di camion sul Grande Raccordo Anulare.

5) In macchina siamo sempre uno in più. 

Dove la mettete la signorina del computer? Il mitico navigatore satellitare – a cui io ho dato una voce di donna per sentirmi in un harem – che dice “girate a destra”, “la destinazione è alla vostra sinistra”, etc? I miei figli ci parlano, le chiedono il permesso di fare cose, hanno paura di disturbarla perché se si arrabbia non dirà mai più che siamo arrivati (quindi non arriveremo mai).    

6) I medici ci sono anche all’estero e se i figli si ammalano non è un dramma.

Ormai ho perso il conto delle influenze, tonsilliti, diarree che hanno colpito i miei figli (e anche noi) durante i viaggi. Si è sempre risolto tutto senza problemi. Tutte le volte che abbiamo avuto bisogno di un medico – è accaduto soprattutto in Spagna – sono stati carini, disponibili e non abbiamo mai speso un Euro.

7) È possibile nutrire a dovere i bambini piccoli anche in lunghe vacanze on the road, ma la cosa è molto faticosa e lenta.

Prendiamo un bambino di un anno. Se sei sempre in giro, magari in Bulgaria o in Turchia, come gli dai da mangiare? Pensi forse di riuscire a farti fare una pappetta in ogni ristorante/bettola/bar dove capiti? Ed è anche vero che le condizioni igieniche possono non essere adeguate ai nostri gracili intestini: io mi becco una gastroenterite sempre, o ogni viaggio, quindi ormai è quasi un fatto di principio e non mi pesa più. Bene: mettetevi a sedere che vi racconto la nostra estenuante soluzione. Caricammo, nella nostra CLIO (dotata di cassone sul tetto), insieme al passeggino dalla piccola e al lettino portatile (perché non in tutti i posti dove ti presenti hanno un lettino per bimbi), tutto l’occorrente per cucinare il pasto a mia figlia prima e a mio figlio poi: una piastra elettrica, un fornelletto a gas con mini-bomboletta (mai usato: alla fine è bastata la piastra), olio d’oliva, omogeneizzati di frutta, carne e pesce, buste delle sue pappe (le solite che mangiava a casa: mais, tapioca, crema di riso, etc), buste con brodini liofilizzati per emergenza, termo da pappa, scalda-pappa, frullatore portatile, piattini… Contate che in ogni Paese del mondo si trovano frutta e verdura fresca, ma anche carne e pesce. Ogni santo giorno, due volte al giorno, facevamo una cosa vietatissima: cucinavamo qualcosa per lei, con la piastra elettrica, nella stanza della pensione dove dormivamo. Che voleva dire alzarsi alle 7 del mattino per avere la pappa pronta e tutto il resto per le 9, ora della partenza. Nel termo il pasto rimaneva caldo e buono – cioè alla bimba piaceva – ma si poteva anche scaldare con uno scalda pappa che si attacca alla presa dell’accendisigari. La sera, invece, le preparavamo la pappa in stanza e la mangiava subito, prima che andassimo a cena noi. Tra cucinare, spesa quotidiana, lavaggio stoviglie e imboccaggio cibo si volatilizzavano circa 3 ore al giorno. Ogni tanto siamo finiti in appartamento ed è stato più semplice. Alla fine una buona quantità di omogeneizzati è tornata a casa, perché siamo spesso riusciti a cucinare “fresco”. In questo modo abbiamo evitato diarree di ogni tipo fino a 3 anni. Sono iniziate, saltuariamente e senza tragedie, dopo, quando i bimbi hanno cominciato a mangiare tutto fuori. Abbiamo viaggiato così per 4 anni cambiando solo la macchina con una più spaziosa quando è arrivato l’altro figlio. Ogni tanto la procedura casalinga non è stata necessaria, perché abbiamo trovato ristoranti puliti dove gente disponibilissima ci ha preparato pastina, riso, etc per la bimba. Faticoso? Un casino. Costoso? Pochissimo.
8) Al mondo è pieno di gente che gira con bimbi e neonati, anche tre alla volta, in treno, in auto e in autobus. Ma gli Italiani sono pochissimi, nonostante loro abbiano ferie lunghe uguali o comunque comparabili alle nostre.

Su questa cosa volete mai che vi dica… Mah!

9) I bambini basta abituarli a stare in auto fin da piccoli e diventano uno spettacolo nonché una divertente compagnia. Tra l’altro dopo qualche giorno, se si continua a viaggiare, smettono di chiedere “Quanto manca?” e domandano cose più interessanti, come “Che cosa c’è da vedere quando arriviamo?”

I nostri figli stanno in auto, con le doverose pause, anche 8 o 9 ore senza problemi. Basta allestire dietro una sala giochi con colori, fogli, dinosauri, bambole, etc. In vacanza sono vietati i tablet, così come a casa (anche per mamma e papà). Adesso che abbiamo un camper, i figli si guardano un DVD nel televisore.

10) I bambini camminano moltissimo, basta abituarli e andare piano, con passi appunto di bimbo. Che è davvero splendido. Esporli fin da piccoli alla bellezza del mondo li fa stare bene e dà loro fiducia nelle persone. 

11) La promessa di una visita allo Zoo o all’Acquario sarà la nostra salvezza. 

Ho speso un patrimonio in acquari, ma per fortuna ce ne sono tanti. Non è detto che l’acquario debba essere pazzesco, come l’Oceanario di Lisbona o il Pianeta Blu di Copenaghen: si tratta sempre di bambini, dopo tutto. Quando abbiamo visitato quello di Trieste il prezzo era sospettosamente basso e in effetti le vasche erano piene di triglie e branzini, ma la cosa ha riscosso comunque un certo entusiasmo.

12) Viaggiare tanto rende i bambini pieni di cose da raccontare e adattabili alle situazioni, ma non necessariamente più indipendenti, meno musoni e schizzinosi.

Mia figlia a tre anni ci mancava che mi preparasse da cena. Faceva tutto da sola e pretendeva di non essere aiutata. Andava a sguazzare in piscina poi tornava sul lettino, si asciugava, si spazzolava i capelli, si dava la crema e si sdraiava a “leggere” il giornaletto della Peppa Pig. Però se il programma di viaggio non le piaceva, si ritirava verso nebbiose lande di intrattabilità e sclero (tuttora). Mio figlio a quasi cinque anni non sa neanche mettersi la maglietta: nonostante tutti i tentativi si annoda nella veste come una piovra e rimane lì, ammanettato, chiedendo aiuto. Però è sempre di buon umore, entusiasta per ogni viaggio e di qualsiasi cosa che gli venga proposta da vedere. Questione cibo: se li porti da McDonald’s è sempre una festa; diversamente fanno gli irrisolti lamentandosi a ogni pasto, anche se si mangia meglio che a casa.

13) A mangiare in viaggio “cibo spazzatura” (o ogni tanto anche a casa) non muore nessuno. Anzi: è divertente, goloso, comodo, costa poco e ti danno un gadget da collezionare. Fa parte di quella dimensione del “diversamente lecito” tipico di ogni vacanza. Tutti i fast food d’Europa sono pieni di famiglie con bambini e neonati. Quasi nessuno è obeso. Negli USA sono invece più cicci, lo ammetto. E anche più tristi.

14) Il Paese europeo dove ci hanno dimostrato più amore  e gioia verso i bambini è la Turchia. Che tuttavia non è una nazione molto organizzata per accoglierli al meglio.

Qui era tutto un accarezzare la nostra bimba, farle foto, complimenti e moine. Solo che poi in alcuni musei e palazzi non si può entrare con passeggino o carrozzina per motivi di sicurezza.  

15) I ristoranti all’estero  sono più organizzati che in Italia se hai dei bambini con te. La cosa è meno valida in Spagna, Portogallo e Grecia.

Spessissimo, dalla Francia alla Polonia, nel ristorante c’è un’area giochi per bimbi. Quasi ovunque, appena ti siedi, la cameriera (o il cameriere) portano fogli e colori ai pargoli perché possano distrarsi. C’è sempre un menù scontato per i più piccoli.

16) Germania e Paesi del Nord sono i più attrezzati per accogliere i bambini, solo che sembra nessuno li sopporti se si comportano come tali.

Ripenso a campeggi o pensioncine dove ho visto famiglie con bambini. Rispetto ai piccoli Tedeschi o ai Danesi o ai Norvegesi, i miei figli sono dei diabolici Bart Simpson. Li osservavo, ‘sti teutonici in erba, sedere taciturni sotto le loro bionde chiome e fare un tresette col babbo, andare in monopattino tutti in fila aspettandosi a vicenda, calarsi in piscina senza schizzare, sorridere con mitezza come in un mondo fatto d’ovatta, contemplare l’orizzonte in attesa del Miracolo del Sole. I nostri figli erano guardati malissimo dagli altri, perché ad esempio canticchiavano “Il coccodrillo come fa?” alle 17:45 o facevano lottare tra loro (e dialogare con voce artefatta), un T-Rex VS il meno potente diplodoco. Però una volta ho avuto bisogno di un’indicazione e uno Svedese di 6 anni ci ha portato lui, guidando il mezzo e parcheggiando in retro.

17) Un bambino di 5 anni sa fare delle foto bellissime e con un punto di vista molto originale.

Regaliamo ai nostri figli una piccola macchina fotografica, magari la nostra vecchia digitale dismessa. Si rimane stupiti guardando le immagini scattate.

18) Un camper è un’ottima opzione per abbattere i costi se:

  1. Fate almeno un lungo viaggio (> tre settimane) e diversi weekend all’anno.
  2. Lo trovate minuscolo, per poter parcheggiare nelle città o comunque comodamente, se no non riuscite a vedere nulla. Qui partiamo dal presupposto che i bimbi siano troppo piccoli per avere la loro bici.
  3. Ve lo procurate molto usato in modo da pagarlo pochissimo, perché se no quanto ci si mette ad ammortizzarlo? A meno che non vediate il camper come una scelta di viaggio a più lungo termine.
  4. Non puntate a esplorare l’Europa dell’Est, compreso Ucraina, Russia, etc… In questi casi i prezzi sono comunque molto bassi per mangiare e dormire e ricordate che il camper beve di più di un’auto, mentre non tutti i Paesi hanno tanti campeggi e aree sosta come la Germania.
  5. Vi piace andare lenti lenti. Camper vecchio ed economico spesso è uguale a camper tartaruga e senza aria condizionata.

19) Con una buona musica di sottofondo e tanta abitudine, i bambini riescono a fare il riposino in auto, mentre si viaggia.

20) Viaggiare in famiglia costruisce la famiglia.

Come stare in barca insieme. Soprattutto, si parla moltissimo e ci si ascolta tanto. Anche perché spesso non c’è altro da fare. Per 8 o 9 ore.

La signorina del computer, ovvero il Navigatore

Quando stiamo in auto per lunghi tratti, cosa che durante i nostri viaggi capita spesso, di solito funziona così. La macchina è schiacciata dal peso dei bagagli. Rimandiamo a un post dedicato l’elenco dei tipici bagagli in questione, perché si tratta di una storia interessante. In ogni caso, è occupato da masserizie il nostro immenso bagagliaio – una specie di stiva – la capotta del veicolo, sui cui alloggia un box, e il seggiolino a fianco del guidatore, cioè io, in cui sistemiamo i due passeggini in modo che possa parlare con qualcuno, per distrarmi. Dietro, nella zona passeggeri, alla mia destra Filippo, che di solito guarda fuori e pensa, al centro mia moglie, che intrattiene la prole, a sinistra Maya, che parla col navigatore sul cruscotto. Al navigatore ho dato una voce di donna. Certo, non è Micaela Ramazzotti che doppia Samantha nel bellissimo (e conturbante) film Lei (di Spike Jonze, 2013), e la mia Lei l’ho chiamata KITT, ma ci accontentiamo. Maya non sa che sia KITT perché è venuta al mondo mille anni dopo Supercar, e questa è l’unica nota dolente della faccenda. Mia moglie aggiunge l’altra nota dolente che io non sono David Hasselhoff, protagonista del serial, ma faccio finta di non sentirla, dato che non mi risulta di avere a bordo la cugina Daisy. Tuttociòpremesso, di solito partiamo senza troppi problemi. Il navigatore si prodiga in direttive.
«Siamo arrivati?» chiede Maya.
«No».
«La signorina del computer cosa dice?»
«Di superare la rotonda, prima uscita».
«Cos’è la rotonda?»
«È un arnese rotondo e grande piazzato in mezzo alla strada, fatto di cemento, e bisogna girarci intorno».
«Come quella con il grappolo?» (All’ingresso di Modena le Cantine del Lambrusco hanno sistemato, sulla rotonda, un gigantesco grappolo d’uva fatto con bocce di vetro di murano. NDR)
«Sì».
«Perché qui non c’è il grappolo?»
«L’hanno mangiato».
«Però hanno tagliato i chicchi a pezzetti, se no poi uno si soffoca» (Io e mia moglie abbiamo il patema del soffocamento da chicchi, ergo spacchiamo ogni chicco in quattro. NDR)
«Esatto».
«Quanto manca?»
«A Berlino sono 1120 chilometri o se preferisci quattordici ore e diciotto minuti».
«Volevo sapere quanto manca all’autoghinne» (autogrill, NDT)
Mia figlia ha una passione per gli Autogrill.
«Senti, Maya, non abbiamo ancora preso l’autostrada. Ci fermiamo tra un’ora e mezza».
«Ma io ho la pipì».
«L’abbiamo fatta prima di partire».
«Mi è tornata».
«Non è vero».
«Forse non mi era finita».
«Silenzio. Giorgia, la distrai, per favore».
«Perché non vieni un po’ tu e guido io?» domanda mia moglie.
«È meglio così».
«Io non la capisco questa storia che guidi sempre tu per NON FARMI STANCARE e io POSSO stare dietro coi figli, a RILASSARMI». (Carattere maiuscolo aggiunto dalla moglie in fase di post-produzione. L’autore del blog si dissocia. È una gag già vista, non fa ridere nessuno. NDR).
«Papà, chiedi alla signorina del computer se possiamo fermarci?»
«Chiediglielo tu».
«Possiamo fermarci?»
Non risponde.
«A me non mi risponde».
«Perché fa la preziosa».
«Filippo vuole fare due passi».
«Non è vero. Si sta facendo i fatti suoi e guarda fuori».
«Adesso quanto manca?»
«A Berlino sono 1105 chilometri o se preferisci quattordici ore precise».
«Possiamo ascoltare Maya Fillo?» (La compilation Maya-Fillo, preparata per i viaggi, contiene le canzoni preferite di mia figlia: 1) Il caffè della Peppina 2) 44 Gatti 3) Per un ditino nel telefono 4) Il pulcino Pio 5) Mamma Maria dei Ricchi e Poveri 6) Su di Noi di Pupo 7) Grande Grande Grande di Mina 8) È quasi magia Johnny – La favorita di mia moglie 9) Five Years di David Bowie – La mia favorita. NDR)
Metto su il CD Maya-Fillo.
«Che canzone l’è?»
«Grande Grande Grande».
«La signorina canta bene».
«Molto».
«Questa canzone a chi piace?»
«Alla mamma».
«C’è una canzone che piace a Filippo?»
«Per un ditino nel telefono».
«Me la fai sentire?»
«Maya, ascolta e taci»
«Mi fai sentire Su di Noi?»
«Dopo».
«Dai, quella che fa: Su, di noi, nemmeno la nuova; su, di noi, l’amore da favola; su, di noi…»
«Dopo».
«A chi piace Su di Noi?»
«Alla zia Gessica».
«E a te quale piace?»
«I Queen. Ti prego, taci. Basta! Fate silenzio!»
Mia moglie ride.
«Papà…»
«Che cosa c’è!?!?!»
«Quanto manca?»
«A Lourdes fanno 1228 km e tredici ore e dodici minuti di viaggio».
«Dicevo all’autoghinne»
«All’autogrill? 30 secondi. Ci fermiamo in quello. Devo prendere un po’ d’aria e recitare le lodi mattutine».
«La signorina del computer dice che ci possiamo fermare?»
«Sì, l’ha detto adesso. Taci KITT».
E mentre immagino un Va bene, Michael, di ormai vecchia memoria, accosto e facciamo la prima sosta: tra il casello di Reggio Emilia e quello di Terre di Canossa: km fatti, circa 70. Life is beautiful.