Ogni anno l’autunno, tra queste colline, mi sembra diverso. Incantevole e triste come una melodia che qualcuno reinterpreta. Mi perdo nel parco che circonda l’antica abbazia di Monteveglio, le stradine fuori mano che sanno di pioggia tra Savignano e Vignola, le trame gialle e rosse dei vigneti di Castelvetro.
Mi sento un bambino tra i bambini, lì a guardare i grappoli coi loro nonni, accanto a quelle grosse casse sistemate nel prato che serviranno per la vendemmia. Certe prospettive, certe geometrie dorate sotto il sole ancora caldo di ottobre hanno il sapore del cioccolato, dolce e sabbioso. Ringrazio che almeno qui, dove il paesaggio è ancora segreto, non dilagano le instragrammers in veste da cocktail e grandi cappelli, intonati con la pelle rubiconda delle foglie.
Savignano sul Panaro – Modena
The morns are meeker than they were –
The nuts are getting brown –
The berry’s cheek is plumper –
The Rose is out of town.
The Maple wears a gayer scarf –
The field a scarlet gown –
Lest I should be old fashioned
I’ll put a trinket on.
I mattini sono più miti di com’erano –
Le noci stanno diventando marroni –
La guancia della bacca è più paffuta –
La Rosa è fuori città.
L’Acero indossa una sciarpa più gaia –
Il campo una veste scarlatta –
Per non essere fuori moda
Mi metterò un ciondolo.
Una delle regioni più belle d’Italia in dieci mosse fuori dagli schemi
Come dice il nome, prima di tutto Emilia Romagna significa due mondi in uno. Da un lato le terre celebri per l’eccellenza della gastronomia e le aziende automobilistiche – non per niente parliamo di “Motor Valley” – dall’altro le città di mare, con lo splendore dell’arte paleocristiana a Ravenna e i borghi medievali nel Montefeltro. Al centro, la dotta Bologna, che poi è anche detta la grassa, la goliardica o addirittura “la città delle tre T”: tette, torri e tortellini. Un’anima scapigliata dove nessuno ha mai messo in discussione quel tanto di gola e di lussuria.
Oggi voglio presentarvi 10 luoghi di questa splendida regione che forse ignorate, giusto per darvi qualche motivo in più per venire a conoscerla.
Autunno, Vignola – Modena
1) Le colline del Lambrusco
Siamo in provincia di Modena, in quell’unione di Comuni chiamata “Terre di Castelli”. Il paesaggio collinare è dolce e sofferto allo stesso tempo a causa del calanchi che, come cicatrici argentate, irrompono nel verde. Durante il periodo autunnale la zona tra Castelvetro e Savignano sul Panaro si veste dei colori caldi delle vigne, tra rocche medievali e torri. Una meraviglia.
2) Il borgo dipinto di Dozza
Siamo nel Bolognese. Dozza è un piccolo tesoro d’arte a cielo aperto, uno dei borghi dipinti più belli d’Italia. Passeggiando tra i suoi vicoli acciottolati, si possono ammirare decine di murales e disegni sui muri delle case, risultato di una kermesse biennale di artisti nata negli ’60 e che si tiene tuttora. Un tripudio di fantasia. Non dimenticate di fare un salto nella Rocca Sforzesca, sede dell’Enoteca Regionale dell’Emilia Romagna.
3) Bobbio
Varrebbe la pena di venire a Bobbio, nel Piacentino, anche solo per vedere il suo ponte vecchio – o ponte Gobbo – sul fiume Trebbia: un’opera che fin dal Medioevo destava l’ammirazione dei tanti pellegrini che si trovavano a passare di qui. Bobbio sorgeva infatti sulla Via degli Abati, o Via Francigena di montagna, un cammino che già in epoca longobarda la collegava con Pavia e Pontremoli.
Santuario di San Pellegrino e San Bianco – Modena/Lucca
4) San Pellegrino in Alpe
Ci troviamo a oltre 1500 metri di quota e infatti il borgo di San Pellegrino è tra quelli più alti dell’Appennino. Pensate che la zona è divisa in due dalle provincie di Modena e Lucca: il confine taglia proprio il paese, così per metà si trova in Toscana e per metà in Emilia. Il santuario è da sempre frequentato dai pellegrini, che si recano qui per chiedere grazie a San Pellegrino e San Bianco e toccare la croce di faggio, che guarda come una sentinella le Alpi Apuane.
Torrechiara – Parma
5) Il Castello di Torrechiara
Si trova in posizione panoramica sui primi rilievi dell’Appennino parmense ed è uno dei castelli più scenografici e meglio conservati d’Italia. All’interno le sue sale presentano splendide decorazioni rinascimentali. L’ambiente più celebre della rocca è la Camera d’Oro, affrescata da Benedetto Bembo nel 1462 con un ciclo di dipinti che sono un inno all’amor cortese. A proposito di amore, pensate che questo castello fu voluto dal conte Pier Maria de’ Rossi come nido d’amore per sé e l’amante Bianca Pellegrini. Quando si dice perdere la testa per una donna…
6) Il parco del Delta del Po
Gli appassionati di natura e birdwatching devono assolutamente trascorrere un weekend nella Camargue d’Italia, dove il Po si divide in mille rivoli e canali per raggiungere l’Adriatico. Un buon punto di partenza per visitare il parco è la località di Goro, nel Ferrarese, da dove è possibile raggiungere uno degli ultimi ponti di barche rimasti in zona. Oltre ai tanti sentieri, percorribili a piedi o in mountain bike, non perdetevi una gita in barca e la visita dell’Abbazia di Pomposa, risalente al IX secolo, una delle più importanti del nord d’Italia.
7) La pista ciclabile che collega Ravenna e Cervia
Eccoci nel cuore della Romagna. Fra i segreti più custoditi della zona c’è il percorso ciclabile (perfetto da fare anche a piedi) che collega l’antica capitale dell’Impero Romano d’Occidente con la località di Cervia. Il tragitto tocca il borgo di Classe, dove si trovava il porto romano, e attraversa la pineta omonima, citata anche da Dante Alighieri nella Divina Commedia. Lo scenario è di una bellezza commovente, con campi di girasole, canali e capanne su palafitte per la pesca. Sembra di essere lontani migliaia di km dal caos della riviera.
Monteveglio – Bologna
8) L’Abbazia di Monteveglio
Altro tesoro poco noto è questa abbazia nel Bolognese, in Valsamoggia, che domina da un colle la pianura Padana. Dedicata a Santa Maria Assunta ed eretta in stile romanico, fu edificata per volontà di Matilde di Canossa in segno di ringraziamento per la vittoria avuta sull’imperatore Enrico IV. Tutta l’area è inclusa in un parco regionale coperto di boschi, vigneti e prati. Anche qui il paesaggio è segnato dalla presenza dei calanchi.
Castello di Rossena – Reggio Emilia
9) Il castello di Rossena
Ci troviamo nel comune di Canossa, sull’appennino Reggiano, in una zona ricca di vestigia medievali. La rocca risale probabilmente al 950 ed è stata edificata attorno a una torre più antica, simile a quella vicina di Rossenella. Non lontano si trova anche il castello di Canossa, i cui ruderi, purtroppo, non rendono affatto l’idea di come doveva essere ai tempi della contessa Matilde. Oggi la rocca di Rossena è visitabile grazie ai volontari di un’associazione del posto, una miniera di informazioni e storie sul luogo (c’è pure la leggenda di un fantasma, ovviamente).
Spiagga della Bassona – Ravenna
10) La selvaggia spiaggia della Bassona
A tutti quelli che non amano la riviera romagnola, giudicandola cementificata e senz’anima, io dico: Venite alla spiaggia della Bassona, rimasta praticamente come Dio l’ha fatta. Un po’ lo dobbiamo anche agli amici naturisti che in passato l’hanno frequentata con una certa assiduità, allontanando le fauci dell’edilizia. Chi vorrebbe mai una villetta con vista sui nudi fricchettoni? O un albergo, che poi i bambini si scandalizzano? Oggi la Bassona è un ampio tratto di litorale incontaminato che ci parla – con un po’ di tristezza, questo sì – di com’era la costa 50 o 60 anni fa. La trovate vicino a Lido di Dante, in frazione Fosso Ghiaia, una trentina di km da Ravenna. Ci si può arrivare ovviamente, anche da Sud, partendo in questo caso da Lido di Classe.
La provincia di Modena: non solo Terra di Motori e della buona tavola, ma anche uno scrigno di meraviglie tutte da scoprire
Dalle montagne più belle e maestose dell’Appennino Tosco-Emiliano fino al cuore della Pianura Padana, la provincia modenese abbraccia una moltitudine di scenari. Nota in tutto il mondo per una miriade di eccellenze, dalla cucina (mi limito a citare Bottura e ho detto tutto), le sue industrie (dalla Ferrari alla Maserati fino alla celebre “Ceramic Valley”), l’architettura romanica (Duomo, campanile e Piazza Grande di Modena sono parte del Patrimonio dell’Umanità UNESCO) e la musica nei suoi più vari aspetti (sono Modenesi tanto il Maestro Luciano Pavarotti quando Vasco Rossi), la mia terra mi lascia sempre disorientato per la sua bellezza così variegata. Tutti noi Modenesi, con poca fatica, siamo quindi Modena Pride.
Oggi però voglio raccontarvi 10 mete un po’ meno conosciute, sparse sul territorio. L’estate è arrivata: i locali sono tutti aperti, i sentieri in montagna pronti, le tavole delle osterie apparecchiate e le ciclabili sgombre. Fate un salto di qualche giorno e non ve ne pentirete. E se avete dubbi, scrivetemi.
1) Le cascate del Doccione
Cascate del Doccione – Modena
Hanno un’altezza di 120 metri, di cui 24 di salto verticale. Ammirarle è un’esperienza unica, sia in estate che in inverno, quando sono ghiacciate e assumono sfumature azzurre. Per raggiungerle dovete salire in auto fino al borgo di Fellicarolo da Fanano e da qui alla località “I Taburri”. Il breve sentiero che porta alle cascate è allestito anche per il transito di portatori di handicap.
2) Le Salse di Nirano
Il paesaggio delle salse – Nirano, Modena
Classico paesaggio lunare che rende felici i fotografi. Le salse sono emissioni di fango freddo insieme a idrocarburi che, risalendo in superficie, formano i classici coni. Quando ero bambino si poteva scorrazzare in mezzo ai vulcanetti, mentre oggi c’è un comodo percorso attrezzato con passerelle in legno (però è meno divertente, ne convengo). Trovate le Salse, parte di una Riserva Naturale, nel comune di Fiorano.
3) Il borgo di Fiumalbo
Fiumalbo, che significa “fiume bianco”, sorge nell’Alto Appennino modenese, al confine con la Toscana, immerso in uno scenario selvaggio. Considerato uno dei borghi più belli d’Italia, ha un centro storico davvero incantevole. Le natura circostante può essere facilmente esplorata grazie a una rete di sentieri: ce n’è per tutte le gambe.
4) La Rocca di Vignola
Scrupolosamente restaurato negli ultimi anni, il castello di tutti i Vignolesi è amato come uno di famiglia. Si tratta di una delle Rocche più celebri d’Emilia Romagna, raffigurata quando ero bambino pure su un francobollo (se ben ricordo, da 380 lire). Aperta per le visite tutti i giorni tranne il lunedì, vi incanterà con la vista panoramica che si gode dalle sue torri e con gli affreschi ai piani inferiori. Da non perdere la Cappella, con un ciclo di affreschi tardogotici commissionato da Uguccione Contrari.
5) La Pieve di Trebbio
La trovate all’interno del Parco dei Sassi di Roccamalatina, in zona collinare. Già solo il panorama, che spazia dalla valle del Panaro fino al monte Cimone, vale il viaggio. Della graziosa chiesetta, dedicata a San Giovanni, si hanno notizie dal 1163, ma è databile al secolo precedente. La troverete aperta per lo più solo la domenica mattina, in occasione della Messa (direi verso le 10). Accanto ci sono un battistero e il piccolo cimitero.
6) I Sassi di Roccamalatina
I Sassi di Rocca Malatina – Modena
Cuore dell’omonima Area Protetta, sono tre guglie di arenaria, formatesi in tempi antichissimi. Grazie alla loro elevazione sul paesaggio, i Sassi furono usati come elementi di un sistema di fortificazioni attorno alla zona della Pieve di Trebbio (vedi sopra). Intorno agli spettacolari picchi rocciosi nidifica anche il falco pellegrino, mentre tutta l’area è disseminata di borghi da visitare (citiamo ad esempio Castellino delle Formiche). Su uno dei sassi è possibile salire con un percorso attrezzato, accessibile più o meno a tutti.
7) Le cascate del Bucamante
Ci troviamo nel comune di Serramazzoni, in località Granarolo, nel cuore di un bosco fatato. Le cascate sono raggiungibili grazie a due comodi sentieri, denominati Titiro e Odina, per via di una leggenda antica locale. Nelle quattro cascate grandi e nelle cascatelle si possono ammirare anche delle stalattiti, formate dal deposito di sali di calcio. Una delle cascate, detta “la Muschiosa”, è stata scoperta solo alcuni anni fa, perché nascosta dietro a un muro di fitta vegetazione.
8) Il borgo antico di Levizzano Rangone
Affacciato sulla Pianura Padana, Levizzano Rangone è un gioiellino che chi non è del posto di solito trascura. Ci troviamo a pochi km dal ben più celebre borgo di Castelvetro (“carino da matti”, come dice il cartello all’ingresso della località), all’ombra di un altrettanto pregevole santuario, quello di Puianello. Da qui, se il cielo è limpido, si scorgono all’orizzonte le Prealpi. In zona non trascurate di dare un’occhiata anche all’Oratorio di San Michele. Naturalmente, fatevi un bicchiere di vino, visto che siete nel cuore della terra del Lambrusco.
9) Il Lago Santo
Semplicemente uno dei laghi montani più belli d’Emilia Romagna (d’Italia?). Si trova a quota 1.501 m slm ed è raggiungibile in auto da Pievepelago attraversando la Valle delle Tagliole. Sedendo sulle sue sponde amene, lo sguardo è catturato dalla grandiosa parete orientale del monte Giovo, che precipita nel lago. Da qui si dipartono sentieri per salire appunto sul Giovo, sul monte Rondinaio e al piccolo lago Baccio. Nei rifugi della zona si mangia molto bene.
10) Il borgo antico di Savignano sul Panaro
Savignano “alto”, ossia il borgo antico, raggiungibile dalla zona nuova ai piedi del colle, è un altro angolo incantevole; non perdetevolo la sera, quando dalla terrazza panoramica davanti alla chiesa si può ammirare lo scenario illuminato della pianura. Nel mese di settembre si tiene una famosa rievocazione storica – la “Lotta per la spada dei Contrari” – con spettacoli itineranti, giochi medievali e locande nelle quali gustare ottimi piatti.
A due passi dal centro di Vignola, nel Modenese, uno dei più accessibili giacimenti fossili d’Italia, vera gioia per i bambini!
Sarò stato in terza elementare o giù di lì. La maestra disse: “La prossima settimana andremo a fossili. Portate un cacciavite, scarpe vecchie e, chi ce l’ha, un pennello”. Mi aspettavo un viaggio lontano, con l’autobus, invece si trattò solo – per modo di dire – di un viaggio lontano nel tempo. Uscimmo da scuola, attraversammo il centro storico di Vignola in fila per due, mano nella mano come usava allora, per poi scendere sulla riva del nostro fiume Panaro. Solo che in quel punto, non lontano dalle rovine del vecchio ponte, lo scenario era assai diverso da quello che conoscevo: non la vasta distesa di sassi e ciottoli su cui, in estate, si assiepavano brandine e ombrelloni (la chiamavamo la Rimini dei poveri), bensì un affioramento grigiastro, duro come la pietra, che pareva una colata di sabbia fine rinsecchita. Lì ci aspettava un signore di cui non ricordo il nome, e che ahimè immagino sia morto da tempo, visto che era già vecchiotto allora. Era uno dei responsabili del museo civico locale, pronto a tenerci una lezione sull’aspetto che aveva il mondo milioni di anni fa, quando la Pianura Padana si trovava negli abissi di un mare scomparso.
Il giacimento fossilifero è ancora lì, sotto gli occhi di tutti, uno dei più accessibili d’Italia. Basta lasciare l’auto nel parcheggio sotto al castello di Vignola, al Lavabo, e incamminarsi a piedi verso il fiume. La spiaggia fossile è frequentata da gente che prende il sole, fa Yoga o porta a spasso il cane. Tecnicamente si tratta di affioramento di argille azzurre plio-pleistoceniche: granuli finissimi di sedimento color piombo che inglobano una fauna ricchissima, costituita per lo più da conchiglie. Le vedi sbucare, imbrigliate nella polvere, come perle luccicanti. Sono la suggestiva testimonianza di un antichissimo fondale sabbioso, quando gli Appennini non erano altro che anonimi rilievi montuosi in mezzo al mare. Simili affioramenti che pullulano di fossili si trovano anche altrove, nella porzione sub-appenninica di Marche, Toscana, Piemonte e naturalmente Emilia Romagna, ma di rado sono così accessibili come nel tratto del Panaro che va da Marano a Vignola, portati a galla proprio dall’erosione del fiume.
A questo punto non resta che armarsi delle celebre santa pazienza e di una buona dose di delicatezza. L’argilla, infatti, è piuttosto compatta e serve olio di gomito per spaccarne dei frammenti da passare al setaccio (in senso figurato), alla ricerca dei preziosi fossili. Il fatto che sia piovuto di recente può aiutare, ma aumenta anche il tasso di fango: se avete dei bambini si divertiranno da matti, ma alla fine servirà un po’ di calma zen per ripulirli. I piccoli paleontologi vivranno l’emozione di riportare alla luce cornetti e conchiglie bivalvi di ogni forma e dimensione (non sto a scrivervi i nomi scientifici, che tanto uno se li dimentica dopo tre secondi). Gli annali riportano ritrovamenti straordinari: granchi, la mandibola di un tapiro e pure un fossile di ungulato, ritrovato nel 1987. Potete vedere questi reperti nel Museo Civico di Vignola (Via Bellucci 1, aperto ogni domenica con ingresso libero dalle 9:30 alle 12:30). Alla fine tornerete a casa con l’immancabile scatoletta colma di frammenti fossili da spazzolare col pennello e sistemare nella cameretta dei figli. Magari qualcuno di loro, da grande, deciderà di fare il cacciatore di mondi perduti.
Era il 1732 quando papa Clemente XII Corsini emise la bolla di fondazione dell’Apostolico Collegio di San Lazzaro di Piacenza per l’educazione del clero. Quello stesso anno il cardinale Giulio Alberoni posò la prima pietra dell’edificio, che tuttavia vedrà l’ingresso dei primi seminaristi solo nel 1751. Le Raccolte Scientifiche del Collegio Alberoni nacquero proprio per conservare e valorizzare la vasta collezione di reperti naturalistici e scientifici del cardinale Giulio Alberoni (1664 – 1752). Il già ricco patrimonio si arricchì con successive donazioni anche a opera di docenti del Collegio stesso, che affiancò all’eccellenza nel campo degli studi scientifici una spiccata apertura ai contributi delle scienze moderne.
Il percorso espositivo si sviluppa in quattro sezioni e comprende un Museo di Storia Naturale, che affianca a un compendio del regno animale – con pesci, rettili, uccelli e mammiferi – una Collezione di Fossili e Minerali, la cui punta di diamante è la raccolta di reperti dell’Era Pliocenica, forte di oltre 2500 esemplari. Ci sono poi tre Osservatori (Meteorologico, Astronomico e Sismico), entrati in funzione tra l’800 e il ‘900, con attività di previsione meteorologica e climatologia, nonché sofisticate apparecchiature per fornire un quadro della sismicità locale, nazionale e internazionale. Infine, il Gabinetto di Fisica, dove ammirare una serie di sofisticati strumenti scientifici che raccontano la storia dell’elettricità. Tra i reperti esposti, una Pila di Volta coeva all’invenzione dello scienziato lombardo e un repertorio di macchine elettrostatiche. Per chi non lo sapesse, si tratta di dispositivi meccanici capaci di produrre tensioni molto elevate con correnti di intensità assai bassa: alcuni di questi strumenti erano in grado di produrre tensioni di centinaia di migliaia di volt, che si scaricavano generando scintille lunghe oltre mezzo metro (tra lo stupore degli astanti, letteralmente coi capelli dritti). Furono tra gli strumenti più importanti nei gabinetti scientifici dell’700 e dell’800.
Già che siete lì
Visitate anche l’attigua Galleria Alberoni, che custodisce la collezione di opere d’arte del cardinale Alberoni, uomo di cultura vasta e raffinata, insieme a una raccolta di arazzi, paramenti sacri, sculture e crocifissi. Le collezioni sono esposte in due luoghi del Collegio: l’Appartamento del cardinale, con i capolavori più preziosi e considerati più intimi, e la Galleria, allestita in un edificio degli anni ’60 ristrutturato di recente. Pezzo da novanta è l’Ecce Homo di Antonello da Messina, datato e firmato “1473 Antonellus messaneus me pinxit”. Abbondano i dipinti secenteschi e settecenteschi delle maggiori scuole pittoriche italiane.
Un museo diffuso nel territorio di San Giovanni in Persiceto, Bologna, per andare alla scoperta dei misteri della natura e del cosmo
Il Museo del Cielo e della Terra di San Giovanni in Persiceto – provincia di Bologna – è una meta accattivante per accendere la curiosità dei piccoli esploratori (ma anche dei loro genitori, perché no) desiderosi di fare quattro passi nel variegato mondo delle scienze naturali. Si tratta di un campo d’indagine per definizione pluridisciplinare, attualmente piuttosto bistrattato a vantaggio di una tendenza, se non direttamente una corsa sfrenata, verso la specializzazione a tutti i costi, col rischio di smarrire per strada il prezioso colpo d’occhio sull’insieme.
Visitando questo originale Museo diffuso nel territorio persicetano, articolato in diversi poli didattici, ci si rende conto di come il naturalista debba saper guardare sia in alto, verso l’infinitamente lontano nel tempo e nello spazio, sia in basso, per studiare il micro-mondo armato di lente e microscopio, sia al di là dei fenomeni, con lo scopo di coglierne le leggi fondamentali che com’è noto sono scritte nel linguaggio della matematica. In fondo, per complicata che ci appaia la natura, tutto ciò che avviene è frutto di quattro forze: gravitazionale, elettromagnetica, nucleare ed elettrodebole.
Alla comprensione di quest’ultimo punto, forse il più ostico, è proprio dedicata una delle cinque sezioni del Museo del Cielo e della Terra: l’intrigante laboratorio di storia e didattica della fisica “Tecnoscienza-Fisiclab”, realizzato in collaborazione col Museo di Fisica dell’Università di Bologna. Qui, come realmente accade in ogni esperimento che si rispetti, guardare e non toccare è una cosa da dimenticare. I materiali e i giochi a disposizione, così come le macchine e gli strumenti in mostra vanno invece toccati e messi all’opera, sotto la guida di un docente che pone domande, propone esperimenti e ne discute coi ragazzi le possibili interpretazioni, secondo quella logica del “provando e riprovando” galileiano che condusse alle ben note scoperte.
Le altre sezioni del Museo comprendono l’orto botanico “Ulisse Aldrovandi”, con una vasta collezione di piante, alberi e arbusti della Pianura Padana insieme a specifiche ricostruzioni di ambienti (il bosco, la siepe, la zona umida, etc.); l’Area di Riequilibrio Ecologico “La Bora”, che abbraccia il bacino allagato di un’ex cava di argilla per osservare vegetazione e alberi autoctoni, piante acquatiche, rettili (come la testuggine palustre) e anfibi (rospi, tritoni, etc.), e il Laboratorio dell’Insetto, un vero museo vivente dedicato all’entomologia. Infine, la sezione astronomica, fiore all’occhiello del polo museale, che comprende un osservatorio astronomico, il planetario, la stazione meteorologica e la collezione di meteoriti più importante d’Italia.
Dove, come, quando: durante tutto l’anno, il Museo propone numerosi laboratori e incontri rivolti a bambini e adulti, corsi di approfondimento per studenti e ragazzi e di aggiornamento per docenti. Ogni Sezione ha i propri prezzi e orari di apertura. Tel. 051.827067 e-mail: info@museocieloeterra.org web: http://www.museocieloeterra.org. Le aree naturali e l’orto botanico sono sempre aperte e a ingresso libero.
Grazie alla Biennale del Muro Dipinto, questa deliziosa località nel Bolognese è diventata una galleria d’arte a cielo aperto
La prima notizia documentata del nome di questo borgo medievale, dalla forma che ricorda la carena di una barca, è del 1126. Dozza deriverebbe da “doccia”, riferito alla presenza nel luogo di un condotto per convogliare l’acqua in una cisterna per la popolazione. Oggi Dozza si mostra intatta nella sua veste medievale, con la massiccia Rocca Sforzesca, le stradine selciate, il Rivellino di accesso all’abitato e la chiesa di Santa Maria Assunta. Attorno, l’abbraccio delle prime colline che cingono la via Emilia, fra Bologna e Imola, coperte di vigneti.
Tutta questa zona, una sorta di baricentro tra Emilia e Romagna, ha un’antica e illustre tradizione vitivinicola. Dozza è infatti anche detta Città del Vino, nonché sede dell’Enoteca Regionale dell’Emilia Romagna, che coinvolge oltre 200 produttori di vino, aceto balsamico e distillati. La visita all’Enoteca per assaggiare un buon calice di Albana, Lambrusco, Sangiovese o Malvasia vale il viaggio. Proprio l’Albana è stato il primo, tra i bianchi italiani, ad avere ottenuto la Denominazione di Origine Controllata e Garantita (DOCG) nel 1987.
Il borgo di Dozza è reso unico dai numerosi dipinti sui muri delle case, che illuminano nel segno della bellezza il paesaggio urbano e regalano suggestioni improvvise. Una vera galleria d’arte contemporanea a cielo aperto, senza orari d’apertura né biglietto d’ingresso, dove ci perde lungo le ali della fantasia. I dipinti sono il lascito della Biennale del Muro Dipinto, una manifestazione nata negli anni sessanta che vede protagonisti artisti di tutto il mondo, le cui opere rimangono poi a patrimonio del borgo. Il risultato è un medioevo colorato proprio come nelle fiabe, dove creature malinconiche ti fissano da un’architrave e le nubi corrono lungo le pareti delle case, lontane, verso l’orizzonte fioco della grande pianura Padana.
Cosa mangiare e dove mangiarlo
Qui sono ottimi tutti i salumi. Anche se siamo in Romagna da pochi km, troverete chi ve li serve con una piada romagnola preparata come Dio comanda. Da assaggiare i primi piatti con la sfoglia tirata a mano: tagliatelle al ragù di carne alla bolognese (un’istituzione), maccheroni al pettine e tortelli con ricotta e spinaci conditi con burro fuso aromatizzato alla salvia, non senza un’abbondante spolverata di Parmigiano Reggiano. Per assaggiare la cucina tipica del territorio potete andare, ad esempio, alla Piccola Osteria del Borgo o al ristorante La Scuderia.
Castelli, torri d’avvistamento, suggestivi ruderi e tutta la bellezza della primavera nelle terre che furono della Grancontessa Matilde
Si dice ancora “Andare a Canossa”, in riferimento a qualcuno che è costretto a umiliarsi, a fare atto di sottomissione. L’espressione deriva da un fatto storico avvenuto proprio a Canossa, sull’Appennino reggiano, nell’inverno del 1077, quando l’imperatore Enrico IV dovette pazientemente aspettare per tre giorni fuori dall’uscio del castello, prima di essere accolto e perdonato da papa Gregorio VII, grazie alla benevola – e interessata – intercessione della Grancontessa Matilde di Canossa. Quando ho raccontato il fatto alla mia bimba di sei anni, proprio mentre andavamo a Canossa (non a umiliarci, ma a visitarla), ha commentato: «Cavolo, papà, ma allora facevano le cose proprio sul serio: aspettare così tanto senza mangiare, bere, parlare, dormire, fare la pipì… Chissà che cosa gli avevano promesso». E pensate che il detto si usa anche in altre lingue: dall’inglese (go to Canossa) al tedesco all’ebraico.
Arrivare a Canossa è facile da tutta Italia, visto che c’è una comoda uscita sull’autostrada A1 (Terre di Canossa – Campegine). Da qui la strada attraversa un piacevole scenario collinare che si fa un po’ più impervio avvicinandosi alla destinazione. In alcuni tratti la vegetazione si dirada, come fossimo in alta montagna, anche se ciò è dovuto solo alla natura del terreno argilloso. Siamo in zona di calanchi, quelle cicatrici argentate che si aprono lungo i primi rilievi emiliani, a testimoniare la presenza di un antico mare. Non è raro trovare conchiglie fossili. Proprio in primavera il paesaggio calanchico è particolarmente suggestivo, perché la natura sterile della terra, che ha un aspetto sabbioso e lunare, contrasta con la forza della primavera. Ogni angolo è un tripudio di fiori – colza, ginestre e margherite – abbarbicati lungo le colate di argilla color cenere. Quando eravamo piccoli, questo mondo sofferto e franoso era per noi teatro di avventure. Non mancava nulla: il fango, le discese ardite (e le risalite…), i fossili, il senso di trovarsi lontano da casa.
Mentre il Castello che fu della Grancontessa Matilde è assai malridotto (sic transit gloria mundi…), rimane sostanzialmente intatto quello, vicinissimo, di Rossena, che consiglio caldamente di visitare soprattutto se avete bambini al seguito. Il castello sorge su una rupe vulcanica dal colore rossiccio, proprio di fronte a una torre di avvistamento, la quadrangolare Torre di Rossenella. L’austera Rocca si sviluppa su tre livelli, con una cisterna ora vuota, il refettorio, la sala d’Armi e la classica umida prigione da cui la fuga era un’utopia. Dai camminamenti si gode un bellissimo panorama sul sottostante borgo di Rossena, sulle rovine del castello di Canossa e poi via via fino alle cime più alte dell’Appennino reggiano, attualmente ancora innevate.
Al castello si può accedere solo con visita guidata. Chi come me preferisce la libertà, subito potrebbe storcere il naso, ma vi assicurò che dovrà ricredersi. La visita è infatti curata dai bravissimi volontari di un’associazione locale: tutta gente del posto innamorata del “proprio” castello, che vi delizierà con aneddoti e storie, anche di fantasmi, perfette per incorniciare con un’aria fiabesca questa finestra aperta sul medioevo.
Location cinematografica d’eccellenza, scrigno di opere d’arte e leggende, perfetta per un weekend sulle colline parmensi
A neanche 20 km da Parma, sulle colline di Langhirano, la fortezza di Torrechiara sorge altiera et felice in posizione dominante sul fiume, a due passi dalle montagne. Venne costruita sulle rovine di un più antico fortilizio, tra il 1448 e il 1460, dal Magnifico Pier Maria Rossi, condottiere e conte di San Secondo. È considerato uno degli esempi più importanti e meglio conservati dell’architettura castellare in Italia, nonché monumento nazionale.
Il castello regala un colpo d’occhio molto scenografico in ogni stagione dell’anno, ma a noi piace soprattutto d’estate, quando i papaveri fioccano qua e là tra i campi e la mole severa del maniero si staglia nel cielo azzurro, e durante i mesi più freddi. Allora le nebbie scendono a inghiottire la valle, il silenzio ha un’aria spettrale e Torrechiara pare tornare indietro nel tempo, verso un medioevo fatto di scorribande, streghe e lupi ululanti (in realtà i lupi ululano in abbondanza anche oggi sull’Appennino Tosco-Emiliano, ma di questo vi racconto un’altra volta).
Nel cuore del castello, tra sale riccamente affrescate, spicca la splendida Camera d’Oro, opera del pittore Benedetto Bembo, che celebra l’amore tra Pier Maria e l’amante Bianca Pellegrini di Arluno, detta Blanchina. Pare che il conte abbia fatto edificare la fortezza non solo per tenere sotto controllo la valle, ma anche per avere una dimora elegante (e appartata) in cui incontrare l’adorata amante. Insomma, unì l’utile al dilettevole.
Pier Maria e Bianca sono sepolti nell’oratorio palatino di San Nicodemo del castello. Leggenda vuole che il fantasma di lui si aggiri nel maniero durante le notti di plenilunio, cercando disperatamente la sua amata e ripetendo il motto “Nunc et semper”. Altri parlano dello spettro di una duchessa murata viva nel castello, ma le testimonianze sono discordanti.
La fortezza di Torrechiara è apparsa in diverse serie televisive, videoclip musicali e anche in una puntata di “Ulisse, il piacere della scoperta” dedicata ai Castelli nel Tempo. Gli appassionati di cinema la riconosceranno nel film Ladyhawke (1985), diretto da Richard Donner e interpretato, tra gli altri, da Michelle Pfeiffer.
Già che siete venuti fino a qui, riflettete sul fatto di trovarvi a Langhirano, patria del culatello. Non andatevene senza un buon pranzo in un’osteria!
Dove, come, quando: Via Castello 1, 43010 Torrechiara, Langhirano (Parma). Tel. 0521 355255 e-mail: iat@comune.langhirano.pr.it web: http://www.portaletorrechiara.it. Aperto da novembre a febbraio: mar-ven 9.00-16.30; sabato, domenica e festivi 10.00-17.00; da marzo a ottobre: martedì, domenica e festivi 10.30-19.30; gli altri giorni 8.30-19.30. Chiuso il lunedì. Ingresso: dai 18 ai 24 anni, 2 Euro; dai 25 anni, 4 Euro.
Si vi emozionano le rievocazioni storiche, venite a visitare Grazzano Visconti, nel comune di Vigolzone, in provincia di Piacenza. L’illusione medioevale che questo scenografico borgo riesce a regalare vale il viaggio: muri merlati, finestre a sesto acuto, fontane, colonnine, statue, persino una chiesetta… Tutto come se fossimo nell’anno mille. Come se, tuttavia, perché nonostante la località paia uscita da La spada nella roccia, gli edifici hanno a malapena un secolo di vita.
È stato infatti all’inizio del ‘900 che il duca Giuseppe Visconti di Modrone, “uomo coltissimo di gusti raffinati e di idee ben chiare”, decise di restaurare le cadenti case coloniche attorno alle rovine del castello di Grazzano, risalente alla fine del 1300, costruendo ex novo un villaggio neo-medioevale. Oggi il borgo, insieme al castello e al parco che lo circonda, è visitato da più di 300.000 persone all’anno, desiderose di fare quattro passi in un mondo fiabesco.
Come ogni luogo incantato che si rispetti, Grazzano avrebbe anche il suo buon fantasma. Si tratterebbe di Aloisa, data in sposa a un capitano di milizia con poco senso dell’onore e morta di crepacuore quando lui la tradì. Da allora il suo spirito inconsolabile vaga tra le mura del castello. Pare che si sia manifestata allo stesso Giuseppe Visconti che ne tracciò un ritratto, grazie al quale sono state realizzate alcune statue poi collocate nel borgo. Per la gente del posto l’inconsolabile Aloisa è diventata la protettrice degli innamorati.
Dove, come, quando
Località: Comune di Vigolzone, a 12 km da Piacenza. La visita al borgo è libera. Informazioni e prenotazioni visite guidate nel Parco:
Viale del Castello, 2 – 29020 Grazzano Visconti (PC)
Tel. + 39 0523 870136 Cell + 39 366 4543511