Le piramidi di roccia più belle del mondo

Ammirando l’incanto delle Tre Cime di Lavaredo

Sono lì, sospese tra terra e cielo, allineate come sentinelle al confine tra Veneto e Trentino Alto Adige. Secondo molti, sono le vette più spettacolari tra le montagne più spettacolari del mondo: le Dolomiti. Parliamo delle Tre Cime di Lavaredo, facilmente raggiungibili in auto attraverso la strada panoramica a pedaggio di ingresso al parcheggio, che sale da Misurina, ma che si apprezzano in tutta la loro magnificenza solo grazie a uno dei tanti trekking che si snodano tutto attorno. La prima volta che le ho viste, in autunno come adesso, mi hanno lasciato disorientato per la loro maestosità, per quel senso di trascendenza che le avvolge, lì, armoniosamente allineate da millenni. E mi colpiva pensare, mentre ammiravo un paio di rocciatori appesi nel vuoto, che questo prodigio della natura abbia fatto da sfondo alle battaglie della prima guerra mondiale: tra il 1915 e il 1917 il fronte passava di qui. Nel vicino monte Paterno, rimangono tuttora gallerie, trincee, baraccamenti, che si possono esplorare.

Gli escursionisti vanno e vengono, la giornata è ideale, ma l’inverno è alle porte. Tra poco una coltre candida sommergerà i sentieri, i bivacchi, la chiesetta degli Alpini, cristallizzando tutto come se il tempo si fermasse in uno scenario che riporta tutti noi alle dolcezze dell’infanzia. Invidio i camperisti, gli escursionisti in tenda o quelli che, pernottando in qualche rifugio ancora aperto, tufferanno lo sguardo fra le stelle, stasera, e guardaranno l’Orsa Minore crepitare nel silenzio, mentre domina i pinnacoli di pietra.

Questa è la nostra Italia. Quando ne cogli il suo lato più selvaggio e inaccessibile, nella luce dorata del sole, non può che salire al cielo una preghiera di ringraziamento per tanta meraviglia che ci è stata donata; se manca la fede, non importa, perché la voce di queste piramidi di roccia che racconta di antichi oceani, dono del tempo e dell’erosione, riempie il cuore di pace. Mai come oggi, col mondo alle strette, abbiamo bisogno di un po’ di serenità che ci scaldi l’anima ed è consolante trovarla nella gratuità del creato.

Val di Funes, il fascino segreto dell’Alto Adige

Tutto l’incanto dei colori autunnali in una valle incantevole, considerata tra le più belle del mondo

Quando ho bisogno di riposare lo sguardo, liberandolo da tutta la polvere, le ansie, il rumore di fondo della nostra vita, io ripenso e sogno la Val di Funes. La vedo così, a occhi chiusi, scintillante coi suoi prati che sembrano tele al sole, il cielo puro, quel silenzio terapeutico che appiana i pensieri.

Siamo stati capaci di ammorbare il fascino di molti luoghi delle nostre Alpi, ma non la Val di Funes che è sempre uguale a se stessa, appartata, in un angolino dell’Alto Adige ai piedi delle Odle. Si dirama tra Bressanone e Chiusa fino all’ultimo centro abitato, Santa Maddalena (1.339 m s.l.m.), porta d’accesso al Parco Naturale Puez-Odle. Se ci andate adesso, in autunno, non troverete nessuno, a parte qualche fortunato camperista che può dormire sotto le stelle.

Prati in Val di Funes – Alto Adige

Tra le immense abetaie brillano come fiaccole i pini dorati, mentre il verde tutto attorno è ancora carico di luce, prima dei geli invernali. Non perdetevi i borghi della valle: Funes, appunto, perla della Alpi, e poi San Valentino, San Giacomo e Tiso, tappa perfetta se avete con voi dei bambini perché potranno visitare il Museo Mineralogico (Mineralienmuseum Teis), nato dalla passione di due collezionisti.

Il gruppo delle Odle – Alto Adige

Non stupisce, infine, che tanta bellezza abbia nutrito lo spirito della gente di qui, levando il loro sguardo verso l’alto; questa valle, infatti, è celebre per le sue chiesette e le pievi, autentiche meraviglie architettoniche e preziose espressione di devozione popolare. Andate alla chiesa di San Giacomo, a quella di San Pietro e Paolo, alla cappella che domina il colle del Santo Sepolcro. Soprattutto, fermatevi un poco a contemplare la chiesetta di San Giovanni, icona fotografica della Valle. Colorata e misteriosa, domina come una principessa un vasto prato dove capita di vedere bambini intenti a far volare gli aquiloni.

Come arrivare: sulla A22 del Brennero, uscita Chiusa – Val Gardena, poi indicazioni per Funes (SP141)

Il borgo fantasma di Monterano

In provincia di Roma, un’antica città perduta continua a richiamare, col suo fascino, escursionisti e romantici sognatori

Ecco uno di quei luoghi che si imprimono nella memoria per il loro fascino e l’atmosfera che li avvolge. Parlo di uno dei borghi fantasma più belli che abbia mai visto, in effetti un po’ difficile da raggiungere proprio come deve essere, ma nulla di drammatico se non ci tenete troppo alle sospensioni e alle gomme della vostra auto. Io, tra l’altro, avevo con me i miei due bambini che si sono divertiti molto.

Siamo nel cuore di una riserva naturale in provincia di Roma, al confine con quella di Viterbo. Il lago di Bracciano è poco lontano. In una spianata in mezzo alla boscaglia riposa da oltre duecento anni il borgo di Monterano, abbandonato nel 1799 dopo un saccheggio da parte delle truppe francesi. Quando gli abitanti se ne andarono, Monterano doveva essere un bel posto da un punto di vista architettonico. Oggi il colpo d’occhio sulle rovine della chiesa di San Bonaventura, del convento annesso e della fontana ottagonale che dominava la piazza è commovente, soprattutto per il senso di lontananza da ogni cosa, il verde degli alberi che vestono le colline in ogni direzione, il silenzio disturbato solo dal canto folle delle cicale. Il complesso di San Bonaventura, nella cui navata troneggia un gigantesco albero, venne costruito tra il 1677 ed il 1679 e affidato agli Agostiniani Scalzi, quindi agli eremiti servi di Maria di Monte Senario. Esiste un dipinto, nel palazzo Altieri di Oriolo Romano, in cui la chiesa è rappresentata, così possiamo sapere che aspetto avesse ai tempi. Leggenda vuole che nel prato davanti alla chiesa ogni tanto capiti di vedere un cavallo selvaggio, lì a vagabondare mestamente all’ombra delle rovine.

Non lontano da San Bonaventura si ergono le vestigia del palazzo ducale o castello Orsini-Altieri, in parte avvolte dai rovi che gli conferiscono un’aria assai romantica. Sulla facciata del palazzo venne realizzata, nella seconda metà del ‘600, una fontana, opera di Gian Lorenzo Bernini, in cui spicca la statua di un leone ancora oggi visibile che percuote la roccia con la zampa facendo zampillare l’acqua. Accanto ai grandiosi ruderi del maniero si notano un campanile – tutto ciò che rimane della cattedrale di Santa Maria Assunta, fondata nel XII secolo – e i resti di una terza chiesa, San Rocco, di cui sopravvivono l’abside e l’altare.

Sono impressionanti i resti dell’acquedotto, la prima cosa che vedrete del borgo una volta arrivati. Recentemente restaurato, attraversava le colline grazie a un canale sotterraneo che sbucava in superficie nel tratto finale, alle porte del centro abitato, superando la piccola valle ai piedi del castello con una imponente struttura a doppie arcate. Vicino c’è una terza fontana che sembra abbia funzionato fino a poco tempo fa, stando alle testimonianze di alcuni escursionisti delusi, incontrati proprio lì davanti con le borracce vuote in mano.

Grazie al suo fascino, Monterano ha fatto da set naturale a decine di film a partire dagli anni ’50, tra cui ricordiamo “Il marchese del Grillo” e “Ben-Hur”. Il borgo fantasma può essere raggiunto a piedi con una breve passeggiata, dopo aver percorso però diversi chilometri lungo una strada sterrata stretta e costellata di grosse buche, che immagino si trasformi in un torrente nei giorni di pioggia. Si possono raggiungere, in zona, anche una zolfatara e le cascate della Diosilla. Durante l’escursione vi sentirete letteralmente nel nulla, soprattutto nei giorni infrasettimanali, e le persone più suggestionabili potrebbero avere un po’ di timore. Non importa: indossate scarpe comode, prendete con voi acqua e cibo e non ve ne pentirete.

Bologna, città adottiva

Con la salita al santuario della Madonna di S. Luca per un doveroso ringraziamento, concludo il mio anno dedicato all’esplorazione della città per il nuovo libro

E così la mia avventura alla scoperta dei segreti di Bologna è terminata. Ho perso il conto dei chilometri percorsi e delle foto scattate durante questo meraviglioso viaggio a due passi da casa, durato quasi un anno, per scrivere la guida fotografica della città che uscirà a inizio 2021 per l’editore EMONS.

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Per me che sono modenese, Bologna è sempre stata un po’ la bella ragazza della porta accanto che vedi andare e venire, di cui senti la voce al di là del muro, che vorresti conoscere ma – a quanto pare – è troppo per te. Quando ero adolescente andare il sabato a Bologna equivaleva a lasciare la campagna per ritrovarsi in una città vera, piena di movimento e di opportunità, di colore e di gente diversa. Già la stazione dei treni, ai miei occhi di futuro interrailer incallito, sembrava una porta spalancata verso chissà dove.

Purtroppo non ho avuto neanche la fortuna di fare l’università nel capoluogo emiliano: ho studiato a Modena, dove c’era e c’è tuttora un ottimo corso di laurea in fisica. Non dico l’invidia per gli amici e in genere per tutti i coetanei che hanno trascorso sotto le due Torri gli anni della giovinezza, tra appartamenti multifunzionali e pluricondivisi, pub, locali, musica, centri sociali e impegno politico. Insomma, tutto quello che ho sempre desiderato. Come tanti ventenni emiliani, ho passato anch’io la fase “cantautori impegnati”, e in quei tempi la colonna sonora delle mie meditazioni e delle serate in auto con gli amici era il maestrone Francesco Guccini, che abitava a Bologna in via Paolo Fabbri 43 e bazzicava spesso alla Trattoria Da Vito. Così anche noi andavamo Da Vito, sperando di incontrarlo, ma niente: ci andava sempre quando noi avevamo deciso di fare altro. Per non dire del Roxy Bar, identificato da tutti (erroneamente, pare) come quello citato da Vasco Rossi in “Vita spericolata”. Vasco non l’ho mai visto, ma ogni tanto ci ho fatto una scappata, perché non si sa mai.

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Poi succede che un editore mi regala il pretesto per conoscere tutti i misteri della ragazza sconosciuta, proprio lei, la città dirimpettaia. Che regalo, accidenti. E così sono partito è rientrato mille volte, esplorandone gli angoli e i sentieri, assaporandone le luci, le ombre e le storie. Ho perso il conto (in realtà ce l’ho in un file excel) delle persone che mi hanno aperto le porte delle loro attività, dei musei, delle associazioni e dei circoli, in quest’anno di lavoro. Gente splendida, che senza troppi giri di parole mi ha mostrato ogni volta quanto Bologna sia accogliente, buona e generosa, anche nel momento della difficoltà. Ho vissuto il magone della città deserta e spoglia, ma comunque scintillante e magnifica, durante i giorni del lockdown. Piazze tirate a lustro che riflettevano il cielo e tanto silenzio ovunque, che in via Capo di Lucca si sentiva nitidamente la cascata del canale delle Moline. E l’ho vista ripopolarsi un po’ alla volta fino a ieri, quando piazza Maggiore mi è apparsa nella sua veste estiva con l’immenso schermo per le serate del Cinema Ritrovato.

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Oggi, che è tempo di ringraziare, ho deciso di farlo salendo sulla torre degli Asinelli, lungo la vertiginosa scala di legno, per abbracciarla tutta dall’alto; ed era rossa come sappiamo, un bassorilievo di terracotta tessuto di chiaroscuri che si staglia nella foschia azzurra. Ho passeggiato nuovamente per via dell’Inferno e via Valdonica, nel ghetto, lì dove i portici sono bassi, tortuosi e in inverno, quando sale il freddo della nebbia e le ombre si allungano, le atmosfere diventano quasi noir.

Il mio grazie finale è stato il classico cammino fino al santuario di S. Luca, sotto al lungo porticato color del tramonto, dove il susseguirsi degli archi regala prospettive davvero incredibili. Arrivato nel santuario, ecco il consueto senso di pace, serenità e armonia. E mi sono coccolato per un po’ Bologna, città finalmente adottiva, che riposa a piedi delle colline, affacciata sull’orizzonte verdastro della pianura. Per il resto, ci vediamo in libreria nel 2021.

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Ciliegi fioriti in una stanza

Di solito, in questi giorni, vado a camminare vicino al nostro fiume, il Panaro. Oppure risalgo sulle prime colline, quelle che vedo dalla finestra di casa, all’ombra del monte Cimone lontano, ancora un poco imbiancato dalla neve. Sono quarant’anni che vivo qui e ogni volta mi stupisco, in primavera, per quanta luce scorra sui prati ritessuti di fresco, sommersi da un’invasione di fiori color limone. Succede anche d’autunno per i vigneti del Lambrusco che rosseggiano nelle loro trame, ma tra marzo e aprile la terra riversa al cielo un’energia abbacinante, e non desidero di essere altrove. Oggi che il sole mi invade la stanza, tirandosi dietro un profumo che porta all’infanzia, penso ai ciliegi della mia Vignola. Qualcuno lo riesco a spiare anche dalla finestra, ma i più belli e vecchi sono fuori portata: lungo il letto fertile del fiume, appunto, o troneggiano sparsi come candide capigliature nei campi, vicini ai fossi, lungo le strade, impreziosite di petali al primo colpo di vento.

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Le gente viene da lontano per rifarsi gli occhi con la nostra fioritura e vedere la Festa che il mio paese le dedica da oltre 50 anni; adesso è tutto fermo, rimandato… Chissà. Eppure mi rasserena la divina indifferenza della natura alle nostre sciagure. Facevo caso, stamattina, mentre portavo in strada il bidoncino dei rifiuti, al ronzio delle api che vorticano attorno agli alberi o tra i rami di una grossa pianta di rosmarino, ovviamente fiorita; l’erba lunga del nostro parchetto, anch’essa un trionfo di fiori, e fiori ovunque ed escrescenze vegetali sul marciapiede, sul selciato, in ogni angolo libero senza la nostra mano che provvede a orientare e ripulire. Un caos che è un trionfo e strappa un sorriso.

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I ciliegi imbiancano in ogni stanza dove riusciamo a chiudere gli occhi e sentirci in pace. I ricordi bastano, le mie colline coi cipressi, i casali, i calanchi color metallo e i boschi appena oltre le case, nella foschia di mezzogiorno, consolano e fanno compagnia da lontano. Anche il bello che riscalda alle nostre spalle ha un suo sapore buono: teniamocelo stretto, aspettiamo, facciamo quel digiuno che è togliere per dare spazio. Questo ritorno all’essenzialità, mentre la primavera giunge a rinnovare il mondo e la sua voce sommerge le nostre quarantene, può raccontare di quanto potere siano capaci le nostre anime, se ben orientate e ripulite con cura da ciò tutto che disavanza.

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Noi insegnanti 2.0 al tempo del Virus

Didattica a distanza: la mia testimonianza positiva

Anche se ho deciso di lasciarli dormire un po’ di più, alle 8:30 suona la campanella. Cinque minuti prima invio di nuovo ai ragazzi una mail con il codice della “riunione” su google meet, collego la tavoletta grafica, accendo microfono e webcam, faccio un po’ di spazio tra i fogli e i libri che come sempre sommergono la mia scrivania, dove c’è anche spazio – non so come – per un bonsai e alcune piante grasse. Appena mi vedono, arrivano tanti “Buongiorno prof!” più o meno allegri e sbadigliati. Qualcuno è ancora in pigiama, qualche altro fa colazione in camera scusandosi; dai vari microfoni arrivano in casa mia le voci di altrettante quotidianità: fratelli che gridano, mamme che aprono la porta all’improvviso – “Buongiorno, signora”, “Salve, professore, come va?” – rumori non ben chiari. Il quadro è confortante come un raggio di sole, in questi tempi.

Insegno matematica in una scuola superiore, negli indirizzi tecnico e professionale. Non sono mai stato una persona smart; mi definisco piuttosto un lento per scelta, connesso solo quando serve. Per dire: in casa non avevamo il wifi, bensì una vecchia chiavetta comprata otto anni fa che mi permetteva di spedire le mail e poco altro; niente TV a pagamento di nessun tipo e, per guardare un film, nella mia famiglia si andava ancora in Biblioteca a noleggiare il DVD. Non ho mai sognato una vita smart e nemmeno so vivere così; tuttavia, come tanti, è sempre possibile imparare a fare ciò che serve quando serve, nonostante l’umana inerzia da vincere all’inizio del processo.

A me questa cosa della didattica a distanza non andava giù. Preferisco essere onesto. A parte che non avevo in casa l’attrezzatura, visto che anche il mio PC ha tipo 10 anni e non so registrare filmati se non con lo smartphone, ma non lo faccio perché mi fa schifo; poi non avevo una rete veloce per sostenere conferenze con venti alunni, poi avrei dovuto scrivere in diretta e non sapevo come fare, in più per me andare in classe e avere davanti i ragazzi è tutto, mentre a trovarmi in faccia una webcam mi sento solo e triste. Insomma: problemi insormontabili.

Morale, dopo due settimane trascorse nella speranza di tornare a scuola, dove invio agli alunni del materiale da studiare, esercizi da fare di cui mando le correzioni, addirittura delle videolezioni registrate che tuttavia mi costano ore di lavoro e upload, date le mie scarse disponibilità tecniche, arrivo al classico bivio (baratro). O tiro a campare o mi butto e vinco l’inerzia. Intravedo però una grande opportunità: la situazione è “straordinaria” e veniamo sollevati, di fatto, da tutte quelle ansie, formalità e burocrazie varie che io della scuola – perdonatemi – non ho mai amato, come il numero di voti da dare, la valanga di prove scritte da fare, il programma da seguire per essere in pari con gli altri colleghi, l’essere un po’ ingabbiati dentro i muri della tua disciplina. Io amo insegnare e basta. Amo anche imparare dai ragazzi, in un rapporto che, pur non potendo essere per forza di cose alla pari – se no non funzionerebbe – mantiene ampi spazi di condivisione e crescita reciproca, ognuno secondo il proprio ruolo. Odio invece interrogare, dare i voti – ma ne do tanti comunque – dovere arrivare fino alle disequazioni di secondo grado se no poi mi vengono i sensi di colpa, assegnare note disciplinari quando qualcuno esagera, oppure i compiti di punizione, etc. Adoro insegnare non solo matematica o fisica, ma anche proporre, nelle parentesi di una lezione, tutte quelle cose belle che ho incontrato nella mia vita culturale – film, musica, fotografia, letteratura, luoghi conosciuti ed esperienze fatte – perché ritengo che i ragazzi abbiano bisogno prima di tutto di ispirazione e spunti per rendere d’oro il proprio tempo, nella grandiosa scoperta che c’è un mondo ricco di meraviglie che li aspetta proprio lì, dietro l’angolo.

In conclusione, ho scelto di buttarmi e vincere l’uggia di cui sopra per vivere l’esperienza della didattica 2.0 (o 3.0. Non so a che punto siamo arrivati). Aiutato dalle dritte di un collega paziente e smart – lui sì – in pochi giorni mi sono procurato una tavoletta grafica dal sign. Amazon – figata! – e ho fatto installare la rete veloce in casa, grazie alla disponibilità dei tecnici mascherati di una nota compagnia telefonica che hanno fatto il lavoro rapidamente, anche in questi tempi brutti e cattivi. Adesso ho lo scanner, un tot di software, lavoro su un PC più nuovo e veloce, etc.

Ieri (sabato n.d.r.) alle 11 ho finito le lezioni in streaming della settimana. Ci siamo augurati buona domenica, abbiamo riso e scherzato. Tra me e i ragazzi, per forza di cose, si è allentato quel clima un po’ formale che spesso appesantisce l’aria dell’aula e che naturalmente includo tra le cose che odio. Riesco a procedere col programma, fare esercizi e per certi versi seguirli ancora meglio che a scuola, in presenza; sarà che nessuno chiacchiera o disturba (o quando lo fanno spengono il microfono). Mi è sembrata una gran cosa poter dire, per la prima volta: “Non preoccupiamoci più che tanto della valutazione: da adesso l’importante è quello che riuscite ad apprendere. Teniamoci impegnati. Se avete domande, sono qui. Se avete dubbi più estesi, al pomeriggio chiamatemi su skype quando mi vedete disponibile, che ne parliamo”. So che tanti di loro, i più fragili, andavano a lezioni private e ora non sono più seguiti da nessuno. Posso farlo io. Come i miei studenti, anche io sono in casa, isolato, tutto il giorno e ho un sacco di tempo. Capita persino che i più volenterosi, dopo la lezione canonica mi chiedano di “fermarmi” un’altra ora se non ho altri “impegni”, per poter fare esercizi in più.

In questo periodo, andare a scuola così fa bene a me quanto a loro. Le mattine volano in un clima sereno e stacco la mente dalla tragedia che affligge il nostro Paese. Quando la velocità di internet rende possibile cose simili e abbatte i muri tra le persone, ben venga davvero l’essere smart.

Poi c’è la questione dei compiti. Mi sento autorizzato a fare volare la fantasia, a dare agli studenti delle opportunità per staccarli dai social, dai videogiochi, dalle serie TV, per aiutarli a impreziosire quel vuoto nel quale bene o male tutti ci troviamo prima o poi – pandemia o no – e dove non bisogna naufragare. Oltre agli esercizi di matematica, che restano per forza di cose, ma sono molti meno di quelli che do di solito – non dovendo usare le ore per fare trafile di compiti e interrogazioni ho più tempo per fare esercizio insieme – ho iniziato a consigliare film da vedere, brani di musica da ascoltare, immagini da guardare (grandi fotografi, ad esempio), libri da leggere, siti interessanti da consultare…

Immagino un giorno di andare al cinema coi miei figli adolescenti, a vedere uno dei tanti film con cui verrà raccontata la pandemia del 2020. Allora mi sentirò come i nostri nonni, quei vecchi che ci parlavano della guerra e delle privazioni di un tempo, e dirò loro: “Voi non vi ricordate, perché eravate piccoli…”. Penso che in futuro mi sentirò quasi felice di avere vissuto in pienezza questi giorni di primavera rubata, da insegnante 2.0.

5 “luoghi geniali” sottoterra

Tutti giù per Terra, alla scoperta delle meraviglie nel sottosuolo

Chi l’ha detto che le cose più belle si trovano alla luce del sole? Per scrivere il mio ultimo libro, “Guida ai luoghi geniali”, uscito di recente per i tipi di Ediciclo, ho trascorso l’ultimo anno a scandagliare l’Italia in cerca dei luoghi più curiosi tra scienza, tecnologia e natura; quelli che, quando li visitiamo, ci viene da dire: «Accidenti, che fortunati i geologi, i biologi marini, gli astronomi, i vulcanologi, i fisici, etc, che dedicano il loro tempo a comprendere meglio, e a raccontarci, simili meraviglie». E tutti ci ritroviamo a immaginare una vita da esploratori.

L’Italia che non si vede è stata per me una grande scoperta. Quella sotto ai nostri piedi, per intenderci. Subito si pensa alle grotte – e a ragione – ma lo spettacolo celato nel sottosuolo non si ferma qui. Ad esempio, io non avrei mai creduto che il nostro Paese fosse così ricco in termini di miniere (visitabili), parchi minerari, curiosità geologiche fino a interi laboratori di ricerca sepolti nelle viscere della terra. Ecco un assaggio di questo mondo sommerso dove imparare la geologia, la fisica e la storia del nostro pianeta. Se vi appassionate, nel libro ci sono tanti altri siti.

Museo Provinciale delle Miniere – Bolzano

Se da bambini vi è piaciuto “Viaggio al centro della Terra” di Jules Verne venite a Predoi, in Valle Aurina, uno degli angoli più selvaggi dell’Alto Adige. Qui si trova un’antica miniera di rame, citata per la prima volta nel Quattrocento. Oggi questo mondo, accessibile con un comodo trenino, è avvolto nel silenzio, ma fino agli anni ’70 avreste visto i minatori impegnati nell’estrazione del metallo. Il Museo delle Miniere di Bolzano ha anche altre sedi: a Ridanna (un impianto industriale per la lavorazione del minerale), a Cadipietra (un’esposizione permanente) e soprattutto a Monteneve, dove vi aspetta un villaggio fantasma in passato abitato dai minatori. Quest’ultimo si raggiunge solo a piedi, quindi è meglio aspettare la bella stagione visto che si trova a oltre 2300 metri di quota.

Miniera di Gambatesa – Genova

Ci troviamo in Val Graveglia, nell’entroterra di Lavagna, celebre località sul mar Ligure. Quella di Gambatesa, aperta nel 1876, è stata la più grande miniera di braunite d’Europa; la braunite è un minerale da cui si estrae manganese, impiegato in ambito siderurgico. Chiuse nel 2011 ed era già visitabile alla fine degli anni Novanta, quando un trenino in uso ai minatori venne attrezzato per i turisti. Anche oggi si accede grazie a un piccolo convoglio che conduce nel cuore della montagna, quindi si prosegue a piedi. Pensate che le gallerie si diramano per quasi 25 km, disposti su sette livelli principali comunicanti fra loro grazie a una rete di pozzi, discenderie e rimonte.

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L’ingresso alla galleria Cadorin della miniera Gambatesa (foto: Wormcast – Opera propria, CC BY-SA 3.0)

Grotta del Vento – Lucca

Ci troviamo nelle viscere delle Alpi Apuane, sotto il monte Pania a Vergemoli (Lucca). La Grotta del Vento è una delle più importanti grotte turistiche d’Europa, così chiamata per il forte vento che la caratterizza, dovuto alla differenza di temperatura tra l’esterno e l’interno. Le prime esplorazioni della grotta risalgono agli anni ’30 e si arrestarono davanti a un laghetto sotterraneo; solo negli anni ’60 vennero scoperte nuove gallerie per uno sviluppo di quasi 5 km. All’interno della grotta sono stati scoperti numerosi reperti fossili, tra cui le ossa dell’orso delle caverne. A disposizione dei turisti ci sono tre itinerari di visita.

Parco Geominerario Storico e Ambientale della Sardegna

Da un punto di vista geologico la Sardegna è una fra le terre più ricche e varie d’Italia. Una bella fetta dell’isola è costellata di miniere, ferrovie corrose dalla salsedine e impianti abbandonati, che faranno la gioia dei patiti di archeologia industriale. I vari siti sono racchiusi in questo Parco, uno dei più grandi d’Italia: pensate che si estende su ben 3800 km quadrati che interessano 81 comuni. Armatevi di cartina, cioè navigatore satellitare, macchina fotografica (o smartphone) e via. Uno dei luoghi più suggestivi è la valle che conduce alle Dune di Piscinas, segnata da ruderi romantici e un po’ tetri.

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La Laveria Brassey nel Parco Geominerario di Sardegna (Foto: wikipedia.com)

Distretto Turistico delle Miniere – Sicilia centrale

Ci troviamo nelle province di Caltanissetta, Enna e Agrigento. Avete presente la famosa novella di Pirandello “Ciàula scopre la luna”, che racconta l’inferno delle miniere di zolfo – le solfare – simili a formicai dall’atmosfera venefica? È ambientata in queste zone, in un passato neanche così lontano. Questa rete di siti racchiude diverse destinazioni da non perdere se amate la natura, la geologia e l’archeologia industriale.

Immagine di copertina: le Grotte di Frasassi” a Genga – Ancona, un altro sito straordinario descritto nella “Guida ai luoghi geniali” (foto di Kessiye – Flickr CC BY 2.0).

 

 

 

 

 

 

 

10 luoghi geniali per le nostre vacanze

Alcune proposte per piccoli e grandi esploratori a casa da scuola

Natale è alle porte e insieme alle feste, finalmente, sono in arrivo anche le vacanze. Se fino al primo di gennaio, più o meno, tra un regalo da scartare e un pranzo da smaltire il tempo di solito è impegnato, prima che l’Epifania “tutte le feste si porti via” rimangono alcuni giorni un po’ più tranquilli, dove magari progettare una gita in famiglia. Chi ha dei bambini, perché non portarli da qualche parte dove possano divertirsi e imparare qualcosa? Il problema è che le giornate sono corte e fa freddo, ma ci sono molte destinazioni al chiuso per trascorrere una bella giornata. Vi riporto alcuni spunti su dove andare, tratti dalla mia “Guida ai luoghi geniali” appena pubblicata da Ediciclo. Se avete dubbi o domande, scrivetemi.

Volandia – Parco e Museo del Volo
(Somma Lombardo – Varese)

Si tratta di uno dei più importanti musei italiani dedicati alla storia del volo, dai primi velivoli a elica ai moderni aerei dotati di motore a reazione, per finire con le missioni alla scoperta del sistema solare. Sono decine i velivoli esposti, tra elicotteri, aerei militari e velivoli storici. C’è anche una ricostruzione del modulo di comando dell’Apollo 16 a grandezza naturale. Insomma: una destinazione perfetta per piloti in erba. Di recente il museo si è arricchito con la collezione di locomotive, tram e funicolari della famiglia Ogliari.  Info: Volandia.

Museo dell’Aeronautica Gianni Caproni
(Trento)

Rimaniamo con gli occhi all’insù, ma spostiamoci in Trentino. Magari in tanti saranno già in zona a sciare. Prendetevi un paio d’ore per un viaggio indietro nel tempo all’inizio del ‘900, quando per la prima volta si realizzò il sogno di mettere le ali all’uomo. La straordinaria collezione di questo museo comprende diversi aeroplani storici originali di rilievo mondiale, che ripercorrono insieme a documenti e cimeli le storie dei pionieri dell’aviazione e quelle dei piloti durante gli anni della Grande Guerra e fino al secondo conflitto mondiale. Info qui.

MUSME – Museo di Storia della Medicina
(Padova)

Questo meraviglioso museo è dedicato alla storia della medicina nel corso dei secoli. Non aspettatevi niente di macabro – ad esempio i classici feti deformi – o peggio ancora noioso, dato che si tratta di un’esposizione fortemente interattiva, ricca di avvincenti postazioni multimediali con appositi percorsi per i bambini. Si viene accompagnati nella visita da alcune guide d’eccezione, tra cui Galileo Galilei. Voi direte: com’è possibile? Eh, grazie alla tecnologia se ne fanno di cose! Ma non vi rivelo niente. Info qui.

Science Center Immaginario Scientifico
Trieste, Pordenone e Tavagnacco (Udine)

Questo è il principale museo della scienza friulano. Istituito con lo scopo di diffondere la cultura tecnologica e scientifica, è un bell’esempio di museo di nuova generazione, totalmente diverso dai musei tradizionali. Non parliamo infatti di luoghi, magari un po’ tristi e antiquati, progettati per conservare reperti e cimeli, bensì di spazi vivi, multimediali e interattivi, all’insegna della sperimentazione diretta. In parole povere, qui si sperimenta mettendo le mani in pasta, per imparare davvero. Provare per credere. Ecco come.

Museo All About Apple
(Savona)

Sapete dove si trova il più importante museo del mondo dedicato ad Apple? Negli Stati Uniti? No: in Liguria. Ed è nato grazie all’intraprendenza e alla passione di un gruppo di amici che per anni hanno raccolto hardware ovunque, mettendo insieme un patrimonio sterminato. Una destinazione perfetta per amanti del bello digitale, futuri ingegneri e… ragazzi un po’ nerd. Info qui.

Musei Ferrari Experience: Museo Ferrari Maranello & MEF – Museo Enzo Ferrari Modena
Maranello (MO) e Modena

Se amate le rosse di Maranello, prima o poi dovete farvi l’accoppiata dei due musei dedicati alla Ferrari, che trovate naturalmente nel Modenese, cuore della “Motor Valley”: uno in centro a Modena e l’altro attiguo all’azienda del Cavallino a Maranello. La distanza tra i due siti è ridotta e si può fare tutto in una sola giornata. Oltre ad ammirare le divine monoposto da F1 insieme a modelli iconici del marchio, quali la Dino 206 GT del 1967 e la F40 del 1987, ci sono a disposizione diverse esperienze, compresa la possibilità di salire su un simulatore semiprofessionale. Date un’occhiata qui.

Museo di Scienze Planetarie
Prato

Prima di dire che le stelle e i pianeti non vi interessano, fate un salto in questo piccolo ma curatissimo museo dedicato all’astronomia, alla mineralogia e alla geologia. I bambini di soliti rimangono entusiasti! Le collezioni principali sono due: quella dei minerali e quella dei meteoriti e delle rocce da impatto. C’è anche il meteorite di Nantan, che pesa ben 270 chili ed è uno dei più grossi in Italia. Info qui.

Centrale Montemartini
(Roma)

Quello dell’ex Centrale Termoelettrica Montemartini è uno dei musei più particolari al mondo, anche se di solito viene un po’ trascurato dai turisti che visitano Roma, circondati da tanta meraviglia. Negli spazi di questa ex-centrale, il primo impianto pubblico per la produzione di elettricità a Roma, è ospitata parte delle collezioni dei Musei Capitolini. In pratica, accanto a gigantesche caladaie a vapore e marchingegni che paiono mostri, sono esposte varie antichità romane, tra cui statue, epigrafi e mosaici. Un’originale sinergia tra arte e tecnologia. Info qui.

Museo Nazionale Ferroviario di Pietrarsa
(Napoli)

Se vi piacciono i treni e siete in giro per Napoli in occasione delle feste, pigliate l’autobus e venite a visitare uno dei più importanti musei italiani dedicati alla strada ferrata. Parentesi: il treno, in Italia, ha iniziato qui la sua epopea, con l’inaugurazione della ferrovia Napoli-Portici il 3 ottobre 1839. Chiusa la parentesi. Dicevamo… Pietrarsa. La collezione occupa sette padiglioni con una superficie espositiva di 36.000 metri quadrati. Troverete tante locomotive a vapore, vagoni, cimeli, macchinari da officina e persino la Carrozza reale S10, realizzata per le nozze tra il principe Umberto di Savoia e la principessa Maria Josè del Belgio. Sembra la stanza di un castello. Info qui.

Planetario Giovan Battista Amico
(Cosenza)

Inaugurato nell’aprile 2019, il planetario di Cosenza è tra i più imponenti e innovativi d’Europa. Si tratta di un gioiello non solo da un punto di vista tecnologico, ma anche di un’elegante opera architettonica. Il planetario è il secondo in Italia, per dimensioni, dopo quello di Milano, e sotto la sua cupola semisferica possono trovare posto 113 persone. Tutti pronti, allora, ad ammirare il cielo in una stanza? Per informazioni sulla visita scrivere a planetario@comune.cosenza.it.

 

Guida ai luoghi geniali

Il mio nuovo libro, in uscita il 21 novembre

Ed eccola, finalmente, la mia ultima fatica messa su carta. Questa volta non un romanzo, ma una Guida speciale, che mi ha permesso di coniugare due mie grandi passioni – la scienza e il viaggio – rivolgendomi idealmente alle famiglie con bambini e ragazzi al seguito (io stesso ho due piccoli viaggiatori in casa). Questo target giustifica anche la grafica accattivante che abbiamo scelto e il nutrito apparato iconografico a corredo del testo, fatto di immagini, cartine, icone simpatiche e colorate.

Nel testo troverete le mete più curiose in Italia tra scienza, tecnologia e natura: più di 100 destinazioni tra musei, parchi tecnologici, planetari, miniere, orti botanici, acquari e siti d’interesse geo-paleontologico. Un patrimonio davvero straordinario, in grado di nutrire la più famelica curiosità di grandi e piccini nonché di risvegliare il genio creativo di bambini e ragazzi, regalando loro un’esperienza didattica e magari ispirando nuovi sogni (“Mamma, ho deciso che farò il vulcanologo!” O l’astronomo o l’astronauta o il pilota o il biologo marino). Si va dallo straordinario MUSE di Trento alla Città della Scienza di Napoli, dal Museo Ferrari di Maranello a quello di Antropologia Criminale di Torino, dal Museo del Mare di Genova a quello della Bora di Trieste passando per grotte, acquari, miniere, musei sull’industria e parchi tecnologici, planetari, vulcani, osservatori astronomici e giacimenti di fossili dove vivere in prima persona l’emozione della scoperta, anche solo di un dente di squalo.

Il libro è stato molto complicato da mettere insieme e, come in un film, sono davvero tante le persone da ringraziare. Inizio dall’Editore, che ha accolto il progetto con entusiasmo, sciogliendo via via i miei stessi dubbi, per poi passare alla mia fantastica e paziente editor Lorenza Stroppa, quindi Vanessa Collavino per la parte grafica, Sarah dell’ufficio stampa di Ediciclo per tutto il lavoro che farà soprattutto da adesso, le decine e decine di Enti pubblici e privati, Musei, prof. universitari, naturalisti e fotografi sparsi in tutta Italia che hanno condiviso con me immagini, informazioni e consigli su ciascuno dei siti raccontati nel testo.

Questo libro non esisterebbe senza mia moglie Giorgia, che non solo ha ideato tutte le icone grafiche del testo e scandagliato l’Italia alla ricerca di siti e contatti da inserire, mettendo insieme un pauroso archivio dove io mi sarei perso in 0.8 sec, ma soprattutto perché ha insistito alla morte affinché io mi imbarcassi nell’impresa quando proprio non ne volevo sapere (l’idea del libro è stata sua); infine, il libro non esisterebbe senza i miei due bambini, Maya e Filippo, che mi insegnano ogni giorno il piacere di raccontare la scienza, con le loro infinite domande. Pertanto, e come sempre, il grazie più importante va alla mia famiglia.

Buona lettura e buon viaggio a tutti!

7000 km in Europa via terra e via mare

Interrail in famiglia: chi l’ha detto che non si può?

Che cosa posso dire di uno dei viaggi più belli che abbia fatto? Come sempre, che il valore aggiunto sono stati loro: i miei bambini. Già l’anno scorso gli avevamo messo addosso uno zainetto ed eravamo partiti, lasciando finalmente a casa la tanto odiata auto. Siamo arrivati fino a Tallinn in treno e in autobus, e abbiamo potuto apprezzare i mitici Flixbus, economici e puntuali.

Quest’anno, visto che erano grandi (6 anni e 8 anni), abbiamo realizzato un piccolo sogno, ossia quello di fare un interrail in famiglia. In passato questa modalità di viaggio, che mi ha permesso di esplorare tutta l’Europa – ne ho fatti cinque – era rivolta più che altro ai giovani, mentre adesso mi sento di consigliarla a tutti, in primo luogo da un punto di vista economico. Io e mia moglie abbiamo optato per la modalità “15 giorni di viaggio in due mesi”, che significa viaggiare appunto per 15 giorni a tua scelta in un periodo di due mesi, in tutta Europa, Turchia inclusa. Trovate qui tutte le info. Il bello è che i bambini sotto i 12 anni viaggiano sempre gratis. Ogni adulto pagante può portarsi due pargoli al seguito, quindi se siete una famiglia numerosa – tipo mamma, papà e quattro figli – pagano solo i genitori per sei posti su treni, autobus e compagnie di navigazione convenzionate. Noi abbiamo speso 980 Euro in quattro per il ticket.

Ci sono varie modalità di biglietto per venire incontro a tutte le esigenze: ticket validi solo dieci giorni, altri solo all’interno di una nazione, etc. Non è quindi obbligatorio avere a disposizione dei mesi per viaggiare. Molto dipende dalle destinazioni che scegliete: chi ha meno tempo opterà per paesi vicini all’Italia e ben serviti dalla rete ferroviaria, come la Francia, la Germania o la Polonia; paradossalmente, la Spagna non è l’opzione migliore, dato che nella penisola iberica i binari hanno uno scartamento diverso rispetto al resto d’Europa, quindi non ci sono praticamente treni diretti, soprattutto dall’Italia. Arrivare anche solo a Barcellona rischia di farvi perdere 24 ore! In più, il sistema ferroviario spagnolo è fatto a raggiera, come la ruota di una bici con al centro Madrid, pertanto per raggiungere in treno due città vicine vi occorrerà passare per la capitale spagnola.

Il biglietto interrail non comprende i treni veloci, che richiedono un supplemento a parte (ad esempio i TGV, mentre sulle nostre Frecce c’è un supplemento fisso di 10 Euro a persona), e le cuccette per i notturni.

Noi, visto che avevamo tempo, abbiamo scelto di ripercorrere parte della tratta del mitico Orient Express, che collegava Parigi a Istanbul, passando per Francia, Germania, Austria, Ungheria, Romania e Bulgaria. Purtroppo non è stato possibile seguire il percorso “originale”, poiché tutta la linea serba che collega Budapest a Belgrado e Belgrado a Sofia era chiusa a causa di lavori. Infine, il treno oggi non raggiunge più Istanbul, sempre per questioni di lavori sui binari, ma si ferma prima, in una remota cittadina turca, e da qui bisogna procedere in autobus. A questo viaggio già di per sé straordinario, abbiamo aggiunto l’attraversata della Grecia e una settimana alle isole cicladi. Contate che con l’interrail avete uno sconto minimo del 60% per tornare in Italia via nave dalla Grecia, nonché altri sconticini per visitare le isole stesse.

Finito il viaggio, mi sento di sconsigliare paesi come la Romania o la Bulgaria a chi non abbia davvero tanto tempo. Qui i treni sono lenti al di là di ogni immaginazione, oltre che rari e con orari scomodissimi. Abbiamo impiegato anche 12 ore per fare 200 km: mille fermate, ritardi, rotture… Certo, c’è modo di perdersi nel paesaggio remoto, leggere, conoscere persone, fare davvero un passo indietro nel tempo. I miei bambini sono praticamente nati in viaggio e non si lamentano mai (e anche se lo fanno, già sanno che papà non può fare andare più veloce il treno). Hanno inventato giochi, mangiato, dormito, riso, conosciuto altri piccoli viaggiatori, etc. Contate che è rigorosamente vietato, nei nostri viaggi così come nelle nostre uscite, avere lettori DVD o apparati elettronici. Credo molto che tutti noi, bambini inclusi, dobbiamo imparare a gestire la noia senza scappare nel mondo virtuale, ma questa è solo la mia opinione.

Premesso ciò, i paesi dell’est hanno un grande fascino, nonostante non ci siano i classici luoghi “mozzafiato”, spettacolari, supermegagalattici (almeno per i miei gusti), e vale anche per le città. Con due eccezioni: Cracovia e Tallinn, che ritengo invece straordinarie. Solo che spesso è proprio quello che chiamiamo fascino a fare la differenza. Bulgaria e Romania vogliono dire chiese ricolme d’oro, monasteri abbarbicati fra le montagne, il nulla in ogni direzione coperto di fiori di girasole, cicogne che si alzano in volo e tante, tante fattorie di legno con muli e cavalli. Certo, sarebbe comoda un’auto, non lo nego.

Ora che sono qui, e fuori dalla finestra si prepara l’autunno, mi accorgo con un po’ di meraviglia che le mie nostalgie da rientro volano proprio là, dove non ti aspetti. Non ai colori abbacinanti di Santorini, all’acropoli di Atene o alle atmosfere parigine, bensì ai profumi acri che aleggiano per le vie di Budapest, ai vicoli pittoreschi della rumena Brasov, dove aleggia la leggenda di Dracula, o a quella libreria di Bucarest, una fra le più belle che abbia mai visto, che pare una chiesa dedicata al sapere, bianca, piena di bambini. E ripenso alle loro mamme, dai visi lontani e tristi.