Noi insegnanti 2.0 al tempo del Virus

Didattica a distanza: la mia testimonianza positiva

Anche se ho deciso di lasciarli dormire un po’ di più, alle 8:30 suona la campanella. Cinque minuti prima invio di nuovo ai ragazzi una mail con il codice della “riunione” su google meet, collego la tavoletta grafica, accendo microfono e webcam, faccio un po’ di spazio tra i fogli e i libri che come sempre sommergono la mia scrivania, dove c’è anche spazio – non so come – per un bonsai e alcune piante grasse. Appena mi vedono, arrivano tanti “Buongiorno prof!” più o meno allegri e sbadigliati. Qualcuno è ancora in pigiama, qualche altro fa colazione in camera scusandosi; dai vari microfoni arrivano in casa mia le voci di altrettante quotidianità: fratelli che gridano, mamme che aprono la porta all’improvviso – “Buongiorno, signora”, “Salve, professore, come va?” – rumori non ben chiari. Il quadro è confortante come un raggio di sole, in questi tempi.

Insegno matematica in una scuola superiore, negli indirizzi tecnico e professionale. Non sono mai stato una persona smart; mi definisco piuttosto un lento per scelta, connesso solo quando serve. Per dire: in casa non avevamo il wifi, bensì una vecchia chiavetta comprata otto anni fa che mi permetteva di spedire le mail e poco altro; niente TV a pagamento di nessun tipo e, per guardare un film, nella mia famiglia si andava ancora in Biblioteca a noleggiare il DVD. Non ho mai sognato una vita smart e nemmeno so vivere così; tuttavia, come tanti, è sempre possibile imparare a fare ciò che serve quando serve, nonostante l’umana inerzia da vincere all’inizio del processo.

A me questa cosa della didattica a distanza non andava giù. Preferisco essere onesto. A parte che non avevo in casa l’attrezzatura, visto che anche il mio PC ha tipo 10 anni e non so registrare filmati se non con lo smartphone, ma non lo faccio perché mi fa schifo; poi non avevo una rete veloce per sostenere conferenze con venti alunni, poi avrei dovuto scrivere in diretta e non sapevo come fare, in più per me andare in classe e avere davanti i ragazzi è tutto, mentre a trovarmi in faccia una webcam mi sento solo e triste. Insomma: problemi insormontabili.

Morale, dopo due settimane trascorse nella speranza di tornare a scuola, dove invio agli alunni del materiale da studiare, esercizi da fare di cui mando le correzioni, addirittura delle videolezioni registrate che tuttavia mi costano ore di lavoro e upload, date le mie scarse disponibilità tecniche, arrivo al classico bivio (baratro). O tiro a campare o mi butto e vinco l’inerzia. Intravedo però una grande opportunità: la situazione è “straordinaria” e veniamo sollevati, di fatto, da tutte quelle ansie, formalità e burocrazie varie che io della scuola – perdonatemi – non ho mai amato, come il numero di voti da dare, la valanga di prove scritte da fare, il programma da seguire per essere in pari con gli altri colleghi, l’essere un po’ ingabbiati dentro i muri della tua disciplina. Io amo insegnare e basta. Amo anche imparare dai ragazzi, in un rapporto che, pur non potendo essere per forza di cose alla pari – se no non funzionerebbe – mantiene ampi spazi di condivisione e crescita reciproca, ognuno secondo il proprio ruolo. Odio invece interrogare, dare i voti – ma ne do tanti comunque – dovere arrivare fino alle disequazioni di secondo grado se no poi mi vengono i sensi di colpa, assegnare note disciplinari quando qualcuno esagera, oppure i compiti di punizione, etc. Adoro insegnare non solo matematica o fisica, ma anche proporre, nelle parentesi di una lezione, tutte quelle cose belle che ho incontrato nella mia vita culturale – film, musica, fotografia, letteratura, luoghi conosciuti ed esperienze fatte – perché ritengo che i ragazzi abbiano bisogno prima di tutto di ispirazione e spunti per rendere d’oro il proprio tempo, nella grandiosa scoperta che c’è un mondo ricco di meraviglie che li aspetta proprio lì, dietro l’angolo.

In conclusione, ho scelto di buttarmi e vincere l’uggia di cui sopra per vivere l’esperienza della didattica 2.0 (o 3.0. Non so a che punto siamo arrivati). Aiutato dalle dritte di un collega paziente e smart – lui sì – in pochi giorni mi sono procurato una tavoletta grafica dal sign. Amazon – figata! – e ho fatto installare la rete veloce in casa, grazie alla disponibilità dei tecnici mascherati di una nota compagnia telefonica che hanno fatto il lavoro rapidamente, anche in questi tempi brutti e cattivi. Adesso ho lo scanner, un tot di software, lavoro su un PC più nuovo e veloce, etc.

Ieri (sabato n.d.r.) alle 11 ho finito le lezioni in streaming della settimana. Ci siamo augurati buona domenica, abbiamo riso e scherzato. Tra me e i ragazzi, per forza di cose, si è allentato quel clima un po’ formale che spesso appesantisce l’aria dell’aula e che naturalmente includo tra le cose che odio. Riesco a procedere col programma, fare esercizi e per certi versi seguirli ancora meglio che a scuola, in presenza; sarà che nessuno chiacchiera o disturba (o quando lo fanno spengono il microfono). Mi è sembrata una gran cosa poter dire, per la prima volta: “Non preoccupiamoci più che tanto della valutazione: da adesso l’importante è quello che riuscite ad apprendere. Teniamoci impegnati. Se avete domande, sono qui. Se avete dubbi più estesi, al pomeriggio chiamatemi su skype quando mi vedete disponibile, che ne parliamo”. So che tanti di loro, i più fragili, andavano a lezioni private e ora non sono più seguiti da nessuno. Posso farlo io. Come i miei studenti, anche io sono in casa, isolato, tutto il giorno e ho un sacco di tempo. Capita persino che i più volenterosi, dopo la lezione canonica mi chiedano di “fermarmi” un’altra ora se non ho altri “impegni”, per poter fare esercizi in più.

In questo periodo, andare a scuola così fa bene a me quanto a loro. Le mattine volano in un clima sereno e stacco la mente dalla tragedia che affligge il nostro Paese. Quando la velocità di internet rende possibile cose simili e abbatte i muri tra le persone, ben venga davvero l’essere smart.

Poi c’è la questione dei compiti. Mi sento autorizzato a fare volare la fantasia, a dare agli studenti delle opportunità per staccarli dai social, dai videogiochi, dalle serie TV, per aiutarli a impreziosire quel vuoto nel quale bene o male tutti ci troviamo prima o poi – pandemia o no – e dove non bisogna naufragare. Oltre agli esercizi di matematica, che restano per forza di cose, ma sono molti meno di quelli che do di solito – non dovendo usare le ore per fare trafile di compiti e interrogazioni ho più tempo per fare esercizio insieme – ho iniziato a consigliare film da vedere, brani di musica da ascoltare, immagini da guardare (grandi fotografi, ad esempio), libri da leggere, siti interessanti da consultare…

Immagino un giorno di andare al cinema coi miei figli adolescenti, a vedere uno dei tanti film con cui verrà raccontata la pandemia del 2020. Allora mi sentirò come i nostri nonni, quei vecchi che ci parlavano della guerra e delle privazioni di un tempo, e dirò loro: “Voi non vi ricordate, perché eravate piccoli…”. Penso che in futuro mi sentirò quasi felice di avere vissuto in pienezza questi giorni di primavera rubata, da insegnante 2.0.

Io, invece, non ho più voglia di camminare

Mi chiedo quale tragedia debba accadere per sommergere le lamentele dei sani, in un paese dove i denunciati perché fuori casa senza motivo continuano a superare il numero dei contagiati. Mi chiedo che cosa debba succedere ancora, più di una colonna di bare portate da Bergamo qui a Modena per motivi di spazio e tempo al crematorio, senza funerali, persone morte in solitudine in una stanza bianca, per fare deporre alla gente l’Italica voglia di non pensarci, l’incapacità di coprirsi di un commosso silenzio dove, almeno per un po’, non ci sia spazio per il proprio micromondo fatto di “ma io però devo, ma io però se non cammino almeno un’ora, ma io però ho bisogno di, ma io però ho dei bambini e non ho il coraggio di, ma io…”
Io, io, io.
Lasciamo parlare un po’ anche i morti, la colonna di bare che in questo momento il forno crematorio di Modena sta portando via. Non vi sentite naufragare davanti a tutto questo?
Io sono un camminatore, ma non ho più voglia di camminare. E sono pure un viaggiatore patologico, ma guardate – miracolo! – sono guarito, perché non ho più voglia neanche di viaggiare. E il bello è che sono sereno e grato a Dio per essere in salute, almeno fino a oggi. Ho spiegato serenamente ai miei bimbi che non si esce e non si torna a scuola e ho detto loro di non lamentarsi perché se no papà si arrabbia molto. Penso che usciranno da tutto questo educati e migliori.
Quando domattina verranno a dirci che è vietato uscire per andare a fare la spesa e che ogni tre giorni verranno i militari a portarci quello che serve, uguale per tutti e razionato, mi raccomando, qualcuno protesti: “Ma se io in tutta sicurezza mi metto la mascherina, e vado nel supermercato che mi piace all’ora in cui ci sono meno persone, avrò ben diritto di comprare e mangiare la Nutella, e non questa pseudocioccolata militare, visto che i miei bimbi, che non hanno colpa, non la mangiano”.
Ancora io, io, io.
Quelli che non hanno colpa sono tanti, ma non sono tutti uguali; per dirla come un grande saggio, qualcuno è più innocente degli altri. Ad esempio, i morti. Oppure quelli che rischiano anche in questo momento perché stasera, alle ore 18, nel consueto bollettino di guerra, la conta sia meno tragica. Poi vengono tutti gli altri innocenti in ordine sparso, tra cui io, i miei figli, la tizia che in questo momento sta spazzando il balcone, quello che vuole mangiare la Nutella e l’amico podista che se non corre impazzisce per l’ansia, il barista che non guadagna un euro da settimane, l’indebitato, il carcerato che giustamente merita la gattabuia ma non la morte in carcere per coronavirus, i miei studenti, quelli che non vedono la morosa, etc… Mai così tanti innocenti come durante un’epidemia. Cioè, una pandemia.
Il fatto è che non ce la meritiamo davvero tutta questa democrazia. Facciamoci coraggio: stiamo in casa con le nostre famiglie, accontentiamoci del sole alla finestra, soffriamo idealmente con chi soffre, abbracciamo idealmente chi cerca di curare, lasciamoci permeare una volta tanto dalle immagini che scorrono in TV, perché la cosa seppur dolorosa, ci renderà migliori. Tipo uomini degni di questo splendido Paese ricevuto gratis. E chi crede, preghi tanto tanto.

La mia seconda “quarantena”

Perché l’isolamento, se non sei ammalato e hai ciò che conta davvero, non è poi questa tragedia

Quella che stiamo vivendo tutti noi, in questi giorni, è la mia seconda quarantena, o periodo di isolamento forzato. Quando successe la prima volta, ormai diversi anni fa, mai avrei immaginato né di rivivere un periodo anche solo simile, né che insieme a me, loro malgrado, sarebbero finiti tutti i miei connazionali. Se da un lato è umano soffrire davanti alla solitudine, alla (relativa) immobilità e al diradarsi delle relazioni con le persone a cui vogliamo bene – almeno le relazioni in presenza – dall’altro è amaro notare il disimpegno di tanti, refrattari a qualsiasi minimo sacrificio, e soprattutto l’incapacità di convivere con se stessi, accettando l’immagine di noi che bene o male si riflette nello specchio delle nostre giornate.

Al di là del contesto assolutamente non paragonabile e limitandomi al solo stato di isolamento, posso dire che quello in cui sono impantanato, qui a casa mia e coi miei famigliari, è assai migliore di quella che mi trovai ad affrontare in passato, quando mi diagnosticarono la tubercolosi. Intanto adesso sono in salute e non è poco. Oltre a questo ho una priorità, che dovrebbe essere di tutti, e una strada dritta da percorrere. La priorità è non ammalarmi e il resto sono cazzate; la via da percorrere è stare in casa, dove va tutto bene. Con me ci sono la mia famiglia, che riempie il tempo, film, libri, pensieri e un po’ del mio lavoro. Se non ci fosse il lavoro, sarei più rilassato, non più annoiato, ma non lamentiamoci. Quale lavoro? L’insegnamento e la scrittura. Ho dovuto imparare di nuovo a fare l’insegnante, attrezzandomi, e devo dire che questa esperienza mi sta già dando delle soddisfazioni: è rasserenante ritrovare ogni mattina i miei studenti on line, più o meno puntuali come in aula. C’è chi chiacchiera, chi è in pigiama, chi mentre spiego inzuppa i biscotti nel tè, ma siamo tutti insieme e sento che abbiamo bisogno gli uni degli altri. La quarantena mi ha proiettato di colpo nel 2020, io che amo la lentezza e sono allergico alla smart mania: tre settimane fa avevo un vecchio PC che, devo dire, non mi ha mai fatto mancare il dovuto, e una chiavetta internet comprata ormai 8 anni or sono. È tutto. Adesso ho una la fibra veloce – si dice così? – la lavagna digitale, un PC migliore, tanto software imparato a usare per non fare mancare agli studenti delle lezioni dignitose. L’ho fatto per loro, mica per me, però ieri sera ho guardato con godimento il mio primo film su Netflix – pagata da mio suocero – mentre accanto alla TV sonnecchiava la pila dei DVD presi a noleggio in biblioteca prima che iniziasse l’epidemia. Cioè, la pandemia.

Quando mi ammalai di tubercolosi la storia era molto diversa. Allora, tra l’altro, non ero insegnante e mi venne anche bloccato il contratto, ossia niente stipendio. A parte questo, in certi istanti di cui mi pento immediatamente per vergogna ho quasi nostalgia della sensazione di pace e serenità che mi capitò di vivere allora. Succede così solo quando riusciamo a impreziosire il vuoto con un senso o con la fede. Il vuoto infatti non si riempie da solo, se no è un allagamento, e già l’idea è tutt’altro che consolante. Per questo dico che a mio avviso ciò che salva, che traghetta al riparo da ogni naufragio, non è la salute. Quella passa. L’importante è la spiritualità, che poi può essere fede – come nel mio caso – o più laicamente certezza di un senso che sottende i fatti. Se manca questo, non c’è architrave che tenga e ben comprendo l’irritazione a fare nostro qualsivoglia sacrificio, l’incapacità di reggere la noia e il panico in alcuni.

La mia quarantena da tubercolotico tracheobronchiale e polmonare sinistro – avevo i bronchi piagati – non durò due o tre settimane, ma furono quaranta giorni esatti. Non c’era l’ora d’aria: niente spesa o passeggiata o passeggiata col cane noleggiato dal vicino. Era Natale e avevo due bambini piccoli, che soffrirono parecchio la cosa; soprattutto mio figlio, preoccupato che papà non lo volesse più. Sì, perché appena arrivò la diagnosi mia moglie e i miei bambini dovettero trasferirsi dai nonni affinché potessi restare in isolamento. Alla totale solitudine aggiungiamo che stavo piuttosto male, un po’ per la malattia un po’ per gli effetti collaterali (acufeni, dolore agli occhi, mal di stomaco…) dei 4 antibiotici della terapia, divisi in comode dosi di 12 pastigliozze al giorno. Poi, sapete com’è… C’erano i vari timori irrazionali figli di puttana, cioè di internet, nonostante le rassicurazioni dei bravissimi medici che mi seguivano, ossia il non riuscire a reggere la terapia, rimetterci l’udito, essere affetto da una forma di tubercolosi resistente ai farmaci e via dicendo. Andò invece tutto bene, a parte l’acufene che è rimasto ma siamo diventati amici: basta ignorarsi a vicenda.

Premesso questo, quei giorni in isolamento furono un’occasione di leggerezza e continua riscoperta delle piccole cose e del piacere di fare silenzio nel proprio intimo, che poi vuol dire togliere per fare posto ad altro. Un po’ come il digiuno. La mia giornata iniziava molto presto e finiva tardi. Per non sentirmi solo, cominciai a recitare – subito senza molta voglia, lo ammetto – le tre preghiere fondamentali della Liturgia delle Ore: lodi al mattino, ora media a mezzogiorno e vespri la sera. Mi consolava pensare che in quel momento migliaia di uomini e donne in migliaia di conventi e monasteri stavano facendo la stessa cosa, condividendo le medesime meditazioni. Sentirsi parte di una comunità, vi assicuro, aiuta ad affrontare qualsiasi quarantena. Ditemi voi se non siamo oggi una comunità che attraversa insieme lo stesso mare! Poi leggevo, ma non tanto. Guardavo un film al giorno, scrivevo senza fretta quello che sarebbe poi diventato il nuovo libro, pulivo a fondo la casa, visto che era l’unico modo per tenermi in movimento (con grande gioia di mia moglie quando sarebbe tornata), facevo foto in interni con la mia Reflex – così, per impratichirmi – ascoltavo intere sinfonie, tipo la settima di Beethoven, che ancora oggi mi commuovono.

Quando la solitudine non è uno sbando, ma un altrove ben abitato, accadono dei fatti che stupiscono. Ad esempio, veniva a trovarmi un merlo sul balcone e stava lì, ad aspettarmi. Gli lasciavo da mangiare e direi che siamo diventati amici; dopo qualche giorno dalla fine della quarantena non l’ho più visto. Riscoprii anche il piacere di scrivere lettere a mano. Per i miei bambini, che allora avevano 4 e 2 anni e che appunto avrebbero passato le feste di Natale lontani dal papà, dalla loro casa e dai loro giocattoli. Venivano a trovarmi in cortile e io parlavo loro dal balcone e lanciavo ogni volta un aeroplano di carta che in realtà era una letterina. Trasformai la mia malattia in una favola: mondi lontani che ero impegnato a esplorare e fatti incredibili di cui ogni giorno ero testimone, mio malgrado, dal balcone. Mia figlia illustrava queste improbabili avventure, lasciandomi poi i disegni sotto la porta.

Anche oggi, mentre vivo questo nostro periodo di isolamento con apprensione per i tanti malati che muoiono soli, nonché per il mondo che ci aspetta quando tutto sarà passato, mi capita di ripensare ai disegni che mi mandava allora la mia bambina. Ce n’è uno dove una signora sta andando a liberare il proprio pappagallino mentre io faccio bolle di sapone dal terrazzo, che il vento porta poi lontano. Così il pappagallino le seguirà senza paura – lui che è cresciuto in gabbia e neanche sa che cosa sia il cielo – e troverà di certo la strada per quel luogo che si chiama Amazzonia, dove l’aspettano la sua mamma e il suo papà.

Immagine di copertina di Michael Rogers, CC BY-SA 3.0, commons.wikipedia.org

5 “luoghi geniali” sottoterra

Tutti giù per Terra, alla scoperta delle meraviglie nel sottosuolo

Chi l’ha detto che le cose più belle si trovano alla luce del sole? Per scrivere il mio ultimo libro, “Guida ai luoghi geniali”, uscito di recente per i tipi di Ediciclo, ho trascorso l’ultimo anno a scandagliare l’Italia in cerca dei luoghi più curiosi tra scienza, tecnologia e natura; quelli che, quando li visitiamo, ci viene da dire: «Accidenti, che fortunati i geologi, i biologi marini, gli astronomi, i vulcanologi, i fisici, etc, che dedicano il loro tempo a comprendere meglio, e a raccontarci, simili meraviglie». E tutti ci ritroviamo a immaginare una vita da esploratori.

L’Italia che non si vede è stata per me una grande scoperta. Quella sotto ai nostri piedi, per intenderci. Subito si pensa alle grotte – e a ragione – ma lo spettacolo celato nel sottosuolo non si ferma qui. Ad esempio, io non avrei mai creduto che il nostro Paese fosse così ricco in termini di miniere (visitabili), parchi minerari, curiosità geologiche fino a interi laboratori di ricerca sepolti nelle viscere della terra. Ecco un assaggio di questo mondo sommerso dove imparare la geologia, la fisica e la storia del nostro pianeta. Se vi appassionate, nel libro ci sono tanti altri siti.

Museo Provinciale delle Miniere – Bolzano

Se da bambini vi è piaciuto “Viaggio al centro della Terra” di Jules Verne venite a Predoi, in Valle Aurina, uno degli angoli più selvaggi dell’Alto Adige. Qui si trova un’antica miniera di rame, citata per la prima volta nel Quattrocento. Oggi questo mondo, accessibile con un comodo trenino, è avvolto nel silenzio, ma fino agli anni ’70 avreste visto i minatori impegnati nell’estrazione del metallo. Il Museo delle Miniere di Bolzano ha anche altre sedi: a Ridanna (un impianto industriale per la lavorazione del minerale), a Cadipietra (un’esposizione permanente) e soprattutto a Monteneve, dove vi aspetta un villaggio fantasma in passato abitato dai minatori. Quest’ultimo si raggiunge solo a piedi, quindi è meglio aspettare la bella stagione visto che si trova a oltre 2300 metri di quota.

Miniera di Gambatesa – Genova

Ci troviamo in Val Graveglia, nell’entroterra di Lavagna, celebre località sul mar Ligure. Quella di Gambatesa, aperta nel 1876, è stata la più grande miniera di braunite d’Europa; la braunite è un minerale da cui si estrae manganese, impiegato in ambito siderurgico. Chiuse nel 2011 ed era già visitabile alla fine degli anni Novanta, quando un trenino in uso ai minatori venne attrezzato per i turisti. Anche oggi si accede grazie a un piccolo convoglio che conduce nel cuore della montagna, quindi si prosegue a piedi. Pensate che le gallerie si diramano per quasi 25 km, disposti su sette livelli principali comunicanti fra loro grazie a una rete di pozzi, discenderie e rimonte.

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L’ingresso alla galleria Cadorin della miniera Gambatesa (foto: Wormcast – Opera propria, CC BY-SA 3.0)

Grotta del Vento – Lucca

Ci troviamo nelle viscere delle Alpi Apuane, sotto il monte Pania a Vergemoli (Lucca). La Grotta del Vento è una delle più importanti grotte turistiche d’Europa, così chiamata per il forte vento che la caratterizza, dovuto alla differenza di temperatura tra l’esterno e l’interno. Le prime esplorazioni della grotta risalgono agli anni ’30 e si arrestarono davanti a un laghetto sotterraneo; solo negli anni ’60 vennero scoperte nuove gallerie per uno sviluppo di quasi 5 km. All’interno della grotta sono stati scoperti numerosi reperti fossili, tra cui le ossa dell’orso delle caverne. A disposizione dei turisti ci sono tre itinerari di visita.

Parco Geominerario Storico e Ambientale della Sardegna

Da un punto di vista geologico la Sardegna è una fra le terre più ricche e varie d’Italia. Una bella fetta dell’isola è costellata di miniere, ferrovie corrose dalla salsedine e impianti abbandonati, che faranno la gioia dei patiti di archeologia industriale. I vari siti sono racchiusi in questo Parco, uno dei più grandi d’Italia: pensate che si estende su ben 3800 km quadrati che interessano 81 comuni. Armatevi di cartina, cioè navigatore satellitare, macchina fotografica (o smartphone) e via. Uno dei luoghi più suggestivi è la valle che conduce alle Dune di Piscinas, segnata da ruderi romantici e un po’ tetri.

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La Laveria Brassey nel Parco Geominerario di Sardegna (Foto: wikipedia.com)

Distretto Turistico delle Miniere – Sicilia centrale

Ci troviamo nelle province di Caltanissetta, Enna e Agrigento. Avete presente la famosa novella di Pirandello “Ciàula scopre la luna”, che racconta l’inferno delle miniere di zolfo – le solfare – simili a formicai dall’atmosfera venefica? È ambientata in queste zone, in un passato neanche così lontano. Questa rete di siti racchiude diverse destinazioni da non perdere se amate la natura, la geologia e l’archeologia industriale.

Immagine di copertina: le Grotte di Frasassi” a Genga – Ancona, un altro sito straordinario descritto nella “Guida ai luoghi geniali” (foto di Kessiye – Flickr CC BY 2.0).

 

 

 

 

 

 

 

10 luoghi geniali per le nostre vacanze

Alcune proposte per piccoli e grandi esploratori a casa da scuola

Natale è alle porte e insieme alle feste, finalmente, sono in arrivo anche le vacanze. Se fino al primo di gennaio, più o meno, tra un regalo da scartare e un pranzo da smaltire il tempo di solito è impegnato, prima che l’Epifania “tutte le feste si porti via” rimangono alcuni giorni un po’ più tranquilli, dove magari progettare una gita in famiglia. Chi ha dei bambini, perché non portarli da qualche parte dove possano divertirsi e imparare qualcosa? Il problema è che le giornate sono corte e fa freddo, ma ci sono molte destinazioni al chiuso per trascorrere una bella giornata. Vi riporto alcuni spunti su dove andare, tratti dalla mia “Guida ai luoghi geniali” appena pubblicata da Ediciclo. Se avete dubbi o domande, scrivetemi.

Volandia – Parco e Museo del Volo
(Somma Lombardo – Varese)

Si tratta di uno dei più importanti musei italiani dedicati alla storia del volo, dai primi velivoli a elica ai moderni aerei dotati di motore a reazione, per finire con le missioni alla scoperta del sistema solare. Sono decine i velivoli esposti, tra elicotteri, aerei militari e velivoli storici. C’è anche una ricostruzione del modulo di comando dell’Apollo 16 a grandezza naturale. Insomma: una destinazione perfetta per piloti in erba. Di recente il museo si è arricchito con la collezione di locomotive, tram e funicolari della famiglia Ogliari.  Info: Volandia.

Museo dell’Aeronautica Gianni Caproni
(Trento)

Rimaniamo con gli occhi all’insù, ma spostiamoci in Trentino. Magari in tanti saranno già in zona a sciare. Prendetevi un paio d’ore per un viaggio indietro nel tempo all’inizio del ‘900, quando per la prima volta si realizzò il sogno di mettere le ali all’uomo. La straordinaria collezione di questo museo comprende diversi aeroplani storici originali di rilievo mondiale, che ripercorrono insieme a documenti e cimeli le storie dei pionieri dell’aviazione e quelle dei piloti durante gli anni della Grande Guerra e fino al secondo conflitto mondiale. Info qui.

MUSME – Museo di Storia della Medicina
(Padova)

Questo meraviglioso museo è dedicato alla storia della medicina nel corso dei secoli. Non aspettatevi niente di macabro – ad esempio i classici feti deformi – o peggio ancora noioso, dato che si tratta di un’esposizione fortemente interattiva, ricca di avvincenti postazioni multimediali con appositi percorsi per i bambini. Si viene accompagnati nella visita da alcune guide d’eccezione, tra cui Galileo Galilei. Voi direte: com’è possibile? Eh, grazie alla tecnologia se ne fanno di cose! Ma non vi rivelo niente. Info qui.

Science Center Immaginario Scientifico
Trieste, Pordenone e Tavagnacco (Udine)

Questo è il principale museo della scienza friulano. Istituito con lo scopo di diffondere la cultura tecnologica e scientifica, è un bell’esempio di museo di nuova generazione, totalmente diverso dai musei tradizionali. Non parliamo infatti di luoghi, magari un po’ tristi e antiquati, progettati per conservare reperti e cimeli, bensì di spazi vivi, multimediali e interattivi, all’insegna della sperimentazione diretta. In parole povere, qui si sperimenta mettendo le mani in pasta, per imparare davvero. Provare per credere. Ecco come.

Museo All About Apple
(Savona)

Sapete dove si trova il più importante museo del mondo dedicato ad Apple? Negli Stati Uniti? No: in Liguria. Ed è nato grazie all’intraprendenza e alla passione di un gruppo di amici che per anni hanno raccolto hardware ovunque, mettendo insieme un patrimonio sterminato. Una destinazione perfetta per amanti del bello digitale, futuri ingegneri e… ragazzi un po’ nerd. Info qui.

Musei Ferrari Experience: Museo Ferrari Maranello & MEF – Museo Enzo Ferrari Modena
Maranello (MO) e Modena

Se amate le rosse di Maranello, prima o poi dovete farvi l’accoppiata dei due musei dedicati alla Ferrari, che trovate naturalmente nel Modenese, cuore della “Motor Valley”: uno in centro a Modena e l’altro attiguo all’azienda del Cavallino a Maranello. La distanza tra i due siti è ridotta e si può fare tutto in una sola giornata. Oltre ad ammirare le divine monoposto da F1 insieme a modelli iconici del marchio, quali la Dino 206 GT del 1967 e la F40 del 1987, ci sono a disposizione diverse esperienze, compresa la possibilità di salire su un simulatore semiprofessionale. Date un’occhiata qui.

Museo di Scienze Planetarie
Prato

Prima di dire che le stelle e i pianeti non vi interessano, fate un salto in questo piccolo ma curatissimo museo dedicato all’astronomia, alla mineralogia e alla geologia. I bambini di soliti rimangono entusiasti! Le collezioni principali sono due: quella dei minerali e quella dei meteoriti e delle rocce da impatto. C’è anche il meteorite di Nantan, che pesa ben 270 chili ed è uno dei più grossi in Italia. Info qui.

Centrale Montemartini
(Roma)

Quello dell’ex Centrale Termoelettrica Montemartini è uno dei musei più particolari al mondo, anche se di solito viene un po’ trascurato dai turisti che visitano Roma, circondati da tanta meraviglia. Negli spazi di questa ex-centrale, il primo impianto pubblico per la produzione di elettricità a Roma, è ospitata parte delle collezioni dei Musei Capitolini. In pratica, accanto a gigantesche caladaie a vapore e marchingegni che paiono mostri, sono esposte varie antichità romane, tra cui statue, epigrafi e mosaici. Un’originale sinergia tra arte e tecnologia. Info qui.

Museo Nazionale Ferroviario di Pietrarsa
(Napoli)

Se vi piacciono i treni e siete in giro per Napoli in occasione delle feste, pigliate l’autobus e venite a visitare uno dei più importanti musei italiani dedicati alla strada ferrata. Parentesi: il treno, in Italia, ha iniziato qui la sua epopea, con l’inaugurazione della ferrovia Napoli-Portici il 3 ottobre 1839. Chiusa la parentesi. Dicevamo… Pietrarsa. La collezione occupa sette padiglioni con una superficie espositiva di 36.000 metri quadrati. Troverete tante locomotive a vapore, vagoni, cimeli, macchinari da officina e persino la Carrozza reale S10, realizzata per le nozze tra il principe Umberto di Savoia e la principessa Maria Josè del Belgio. Sembra la stanza di un castello. Info qui.

Planetario Giovan Battista Amico
(Cosenza)

Inaugurato nell’aprile 2019, il planetario di Cosenza è tra i più imponenti e innovativi d’Europa. Si tratta di un gioiello non solo da un punto di vista tecnologico, ma anche di un’elegante opera architettonica. Il planetario è il secondo in Italia, per dimensioni, dopo quello di Milano, e sotto la sua cupola semisferica possono trovare posto 113 persone. Tutti pronti, allora, ad ammirare il cielo in una stanza? Per informazioni sulla visita scrivere a planetario@comune.cosenza.it.

 

Guida ai luoghi geniali

Il mio nuovo libro, in uscita il 21 novembre

Ed eccola, finalmente, la mia ultima fatica messa su carta. Questa volta non un romanzo, ma una Guida speciale, che mi ha permesso di coniugare due mie grandi passioni – la scienza e il viaggio – rivolgendomi idealmente alle famiglie con bambini e ragazzi al seguito (io stesso ho due piccoli viaggiatori in casa). Questo target giustifica anche la grafica accattivante che abbiamo scelto e il nutrito apparato iconografico a corredo del testo, fatto di immagini, cartine, icone simpatiche e colorate.

Nel testo troverete le mete più curiose in Italia tra scienza, tecnologia e natura: più di 100 destinazioni tra musei, parchi tecnologici, planetari, miniere, orti botanici, acquari e siti d’interesse geo-paleontologico. Un patrimonio davvero straordinario, in grado di nutrire la più famelica curiosità di grandi e piccini nonché di risvegliare il genio creativo di bambini e ragazzi, regalando loro un’esperienza didattica e magari ispirando nuovi sogni (“Mamma, ho deciso che farò il vulcanologo!” O l’astronomo o l’astronauta o il pilota o il biologo marino). Si va dallo straordinario MUSE di Trento alla Città della Scienza di Napoli, dal Museo Ferrari di Maranello a quello di Antropologia Criminale di Torino, dal Museo del Mare di Genova a quello della Bora di Trieste passando per grotte, acquari, miniere, musei sull’industria e parchi tecnologici, planetari, vulcani, osservatori astronomici e giacimenti di fossili dove vivere in prima persona l’emozione della scoperta, anche solo di un dente di squalo.

Il libro è stato molto complicato da mettere insieme e, come in un film, sono davvero tante le persone da ringraziare. Inizio dall’Editore, che ha accolto il progetto con entusiasmo, sciogliendo via via i miei stessi dubbi, per poi passare alla mia fantastica e paziente editor Lorenza Stroppa, quindi Vanessa Collavino per la parte grafica, Sarah dell’ufficio stampa di Ediciclo per tutto il lavoro che farà soprattutto da adesso, le decine e decine di Enti pubblici e privati, Musei, prof. universitari, naturalisti e fotografi sparsi in tutta Italia che hanno condiviso con me immagini, informazioni e consigli su ciascuno dei siti raccontati nel testo.

Questo libro non esisterebbe senza mia moglie Giorgia, che non solo ha ideato tutte le icone grafiche del testo e scandagliato l’Italia alla ricerca di siti e contatti da inserire, mettendo insieme un pauroso archivio dove io mi sarei perso in 0.8 sec, ma soprattutto perché ha insistito alla morte affinché io mi imbarcassi nell’impresa quando proprio non ne volevo sapere (l’idea del libro è stata sua); infine, il libro non esisterebbe senza i miei due bambini, Maya e Filippo, che mi insegnano ogni giorno il piacere di raccontare la scienza, con le loro infinite domande. Pertanto, e come sempre, il grazie più importante va alla mia famiglia.

Buona lettura e buon viaggio a tutti!

Magico autunno nelle Terre del Lambrusco

Ogni anno l’autunno, tra queste colline, mi sembra diverso. Incantevole e triste come una melodia che qualcuno reinterpreta. Mi perdo nel parco che circonda l’antica abbazia di Monteveglio, le stradine fuori mano che sanno di pioggia tra Savignano e Vignola, le trame gialle e rosse dei vigneti di Castelvetro.

Foto 3 by Devis Bellucci

Mi sento un bambino tra i bambini, lì a guardare i grappoli coi loro nonni, accanto a quelle grosse casse sistemate nel prato che serviranno per la vendemmia. Certe prospettive, certe geometrie dorate sotto il sole ancora caldo di ottobre hanno il sapore del cioccolato, dolce e sabbioso. Ringrazio che almeno qui, dove il paesaggio è ancora segreto, non dilagano le instragrammers in veste da cocktail e grandi cappelli, intonati con la pelle rubiconda delle foglie.

Savignano sul Panaro - Modena
Savignano sul Panaro – Modena

The morns are meeker than they were –
The nuts are getting brown –
The berry’s cheek is plumper –
The Rose is out of town.

The Maple wears a gayer scarf –
The field a scarlet gown –
Lest I should be old fashioned
I’ll put a trinket on.

I mattini sono più miti di com’erano –
Le noci stanno diventando marroni –
La guancia della bacca è più paffuta –
La Rosa è fuori città.

L’Acero indossa una sciarpa più gaia –
Il campo una veste scarlatta –
Per non essere fuori moda
Mi metterò un ciondolo.

Emily Dickinson, 1858

Cipressi e grappoli d'uva, Campiglio. Ottobre 2016 Rid.
Autunno, Vignola – Modena

7000 km in Europa via terra e via mare

Interrail in famiglia: chi l’ha detto che non si può?

Che cosa posso dire di uno dei viaggi più belli che abbia fatto? Come sempre, che il valore aggiunto sono stati loro: i miei bambini. Già l’anno scorso gli avevamo messo addosso uno zainetto ed eravamo partiti, lasciando finalmente a casa la tanto odiata auto. Siamo arrivati fino a Tallinn in treno e in autobus, e abbiamo potuto apprezzare i mitici Flixbus, economici e puntuali.

Quest’anno, visto che erano grandi (6 anni e 8 anni), abbiamo realizzato un piccolo sogno, ossia quello di fare un interrail in famiglia. In passato questa modalità di viaggio, che mi ha permesso di esplorare tutta l’Europa – ne ho fatti cinque – era rivolta più che altro ai giovani, mentre adesso mi sento di consigliarla a tutti, in primo luogo da un punto di vista economico. Io e mia moglie abbiamo optato per la modalità “15 giorni di viaggio in due mesi”, che significa viaggiare appunto per 15 giorni a tua scelta in un periodo di due mesi, in tutta Europa, Turchia inclusa. Trovate qui tutte le info. Il bello è che i bambini sotto i 12 anni viaggiano sempre gratis. Ogni adulto pagante può portarsi due pargoli al seguito, quindi se siete una famiglia numerosa – tipo mamma, papà e quattro figli – pagano solo i genitori per sei posti su treni, autobus e compagnie di navigazione convenzionate. Noi abbiamo speso 980 Euro in quattro per il ticket.

Ci sono varie modalità di biglietto per venire incontro a tutte le esigenze: ticket validi solo dieci giorni, altri solo all’interno di una nazione, etc. Non è quindi obbligatorio avere a disposizione dei mesi per viaggiare. Molto dipende dalle destinazioni che scegliete: chi ha meno tempo opterà per paesi vicini all’Italia e ben serviti dalla rete ferroviaria, come la Francia, la Germania o la Polonia; paradossalmente, la Spagna non è l’opzione migliore, dato che nella penisola iberica i binari hanno uno scartamento diverso rispetto al resto d’Europa, quindi non ci sono praticamente treni diretti, soprattutto dall’Italia. Arrivare anche solo a Barcellona rischia di farvi perdere 24 ore! In più, il sistema ferroviario spagnolo è fatto a raggiera, come la ruota di una bici con al centro Madrid, pertanto per raggiungere in treno due città vicine vi occorrerà passare per la capitale spagnola.

Il biglietto interrail non comprende i treni veloci, che richiedono un supplemento a parte (ad esempio i TGV, mentre sulle nostre Frecce c’è un supplemento fisso di 10 Euro a persona), e le cuccette per i notturni.

Noi, visto che avevamo tempo, abbiamo scelto di ripercorrere parte della tratta del mitico Orient Express, che collegava Parigi a Istanbul, passando per Francia, Germania, Austria, Ungheria, Romania e Bulgaria. Purtroppo non è stato possibile seguire il percorso “originale”, poiché tutta la linea serba che collega Budapest a Belgrado e Belgrado a Sofia era chiusa a causa di lavori. Infine, il treno oggi non raggiunge più Istanbul, sempre per questioni di lavori sui binari, ma si ferma prima, in una remota cittadina turca, e da qui bisogna procedere in autobus. A questo viaggio già di per sé straordinario, abbiamo aggiunto l’attraversata della Grecia e una settimana alle isole cicladi. Contate che con l’interrail avete uno sconto minimo del 60% per tornare in Italia via nave dalla Grecia, nonché altri sconticini per visitare le isole stesse.

Finito il viaggio, mi sento di sconsigliare paesi come la Romania o la Bulgaria a chi non abbia davvero tanto tempo. Qui i treni sono lenti al di là di ogni immaginazione, oltre che rari e con orari scomodissimi. Abbiamo impiegato anche 12 ore per fare 200 km: mille fermate, ritardi, rotture… Certo, c’è modo di perdersi nel paesaggio remoto, leggere, conoscere persone, fare davvero un passo indietro nel tempo. I miei bambini sono praticamente nati in viaggio e non si lamentano mai (e anche se lo fanno, già sanno che papà non può fare andare più veloce il treno). Hanno inventato giochi, mangiato, dormito, riso, conosciuto altri piccoli viaggiatori, etc. Contate che è rigorosamente vietato, nei nostri viaggi così come nelle nostre uscite, avere lettori DVD o apparati elettronici. Credo molto che tutti noi, bambini inclusi, dobbiamo imparare a gestire la noia senza scappare nel mondo virtuale, ma questa è solo la mia opinione.

Premesso ciò, i paesi dell’est hanno un grande fascino, nonostante non ci siano i classici luoghi “mozzafiato”, spettacolari, supermegagalattici (almeno per i miei gusti), e vale anche per le città. Con due eccezioni: Cracovia e Tallinn, che ritengo invece straordinarie. Solo che spesso è proprio quello che chiamiamo fascino a fare la differenza. Bulgaria e Romania vogliono dire chiese ricolme d’oro, monasteri abbarbicati fra le montagne, il nulla in ogni direzione coperto di fiori di girasole, cicogne che si alzano in volo e tante, tante fattorie di legno con muli e cavalli. Certo, sarebbe comoda un’auto, non lo nego.

Ora che sono qui, e fuori dalla finestra si prepara l’autunno, mi accorgo con un po’ di meraviglia che le mie nostalgie da rientro volano proprio là, dove non ti aspetti. Non ai colori abbacinanti di Santorini, all’acropoli di Atene o alle atmosfere parigine, bensì ai profumi acri che aleggiano per le vie di Budapest, ai vicoli pittoreschi della rumena Brasov, dove aleggia la leggenda di Dracula, o a quella libreria di Bucarest, una fra le più belle che abbia mai visto, che pare una chiesa dedicata al sapere, bianca, piena di bambini. E ripenso alle loro mamme, dai visi lontani e tristi.

 

Italia coast to coast

In cammino dal Tirreno all’Adriatico, nel cuore del Bel paese

È un annetto che ho riscoperto la bellezza di camminare. Da bambini questa è una delle grandi conquiste insieme al linguaggio, poi accadono un sacco di distrazioni che ti portano a dimenticare l’arte di stare in piedi, nella sua versione più dinamica.

Oggi faccio decine di chilometri alla settimana, semplicemente evitando di usare l’auto. Mentre cammino – per andare in centro, in biblioteca, a fare piccole spese, etc – osservo, leggo, penso, prego, dormo, mangio. Si può essere tranquillamente multitasking, senza il rischio di ammazzare qualcuno. Non esiste stress, anche se il sole ti picchia sulla fronte o le moto sfrecciano sulla strada, lacerando il silenzio.

Sto ritrovando, proprio come i bambini, la gioia di rivedere un certo papavero sulla scarpata ferroviaria, quella di salutare il cane che non ti vuole tra i piedi, lo stupore nel riconoscere una cicala sull’albero, panciuta e mostruosa. Siccome chi cammina viaggia con tutto il corpo, non è necessario andare lontano: la dimensione è assai più profonda e dilata di suo le distanze.

Ho comprato da subito molti libri su cammini, spulciando in giro e chiedendomi quale fosse il più bello in Italia. Va detto che il nostro paese non è a misura di camminatore, nonostante sia stato fin dall’antichità terra di pellegrinaggi. Il fatto è che camminare in Italia diventa presto costoso: il problema fondamentale è l’alloggio, visto che non esistono ostelli diffusi e a prezzi popolari, a differenza che in Spagna o in Francia. È un peccato, date le potenzialità del territorio. Pensiamo alla via Francigena, alla via degli Abati, al Cammino di Assisi o alla più recente via degli Dei, tra Bologna e Firenze. In tutti questi casi dormire a prezzi accettabili (non 40 Euro a testa!), soprattutto in estate, è un’utopia. Teniamo conto che sul Cammino di Santiago con 30-40 Euro al giorno fai tutto (anche mangiare). Inoltre, non puoi chiedere al pellegrino di prenotare in anticipo: il bello è proprio potersi fermare quando le gambe non ne hanno più. Rimane la tenda, ma non tutti se la sentono.

Premesso questo, ritengo che uno dei cammini più straordinari che si possano fare in Italia sia il Coast to Coast tracciato da Simone Frignani, grande scopritore e disegnatore di percorsi alla scoperta del bello e del buono. Tra l’altro Simone è un mio conterraneo, anche se non ho il piacere di conoscerlo.

Il Coast to Coast che ci propone è ben descritto nell’omonima Guida di cui è autore, edita da Terre di Mezzo, e a cui è associato un sito internet da cui si possono scaricare le tracce GPS (gratis). In breve tempo, grazie al passaparola e alla cura con cui Frignani ha delineato il percorso, si è creata una bella community di viandanti pronti ad attraversare l’Italia, chi a piedi e chi in bici, e a condividere l’esperienza sui social.

Riporto giusto alcune note sull’itinerario, invitando chi volesse saperne di più a consultare il sito web, la pagina Facebook dedicata o ancora meglio la Guida stessa. Si parte da Orbetello, in Toscana, per raggiungere Portonovo nelle Marche, ai piedi del monte Conero. Ovviamente il tragitto è fattibile pure in direzione opposta. Sono 18 tappe a piedi o 9 in bicicletta, su mulattiere, sentieri e stradine, per un totale circa 400 km.

Il Coast to Coast regala una panoramica su alcuni degli scenari più affascinanti e celebri del nostro paese: dall’Italia etrusca, coi borghi del tufo di Sorano, Pitigliano, Sovana e Orvieto, all’attraversata del cuore verde della Penisola – l’Umbria – per poi fare un tuffo nella spiritualità, col tratto da Assisi a Portonovo. Non lontano dal capolinea, infatti, si trova Loreto, in cui sorge la Basilica della Santa Casa di Maria.

Se pertanto avete 3 settimane e la voglia di immergervi anima e corpo nella bellezza che fa bene allo spirito, mettete lo zaino in spalla e incamminatevi lungo un percorso dal nome capace di evocare suggestioni tutte americane. Vi aspettano la Maremma toscana, i monti Sibillini, l’azzurro di due mari e il meglio dell’arte medievale. Oltre, naturalmente, a un silenzio terapeutico.

10 luoghi dell’Emilia Romagna che devi assolutamente conoscere

Una delle regioni più belle d’Italia in dieci mosse fuori dagli schemi

Come dice il nome, prima di tutto Emilia Romagna significa due mondi in uno. Da un lato le terre celebri per l’eccellenza della gastronomia e le aziende automobilistiche – non per niente parliamo di “Motor Valley” – dall’altro le città di mare, con lo splendore dell’arte paleocristiana a Ravenna e i borghi medievali nel Montefeltro. Al centro, la dotta Bologna, che poi è anche detta la grassa, la goliardica o addirittura “la città delle tre T”: tette, torri e tortellini. Un’anima scapigliata dove nessuno ha mai messo in discussione quel tanto di gola e di lussuria.

Oggi voglio presentarvi 10 luoghi di questa splendida regione che forse ignorate, giusto per darvi qualche motivo in più per venire a conoscerla.

Cipressi e grappoli d'uva, Campiglio. Ottobre 2016 Rid.
Autunno, Vignola – Modena

1) Le colline del Lambrusco

Siamo in provincia di Modena, in quell’unione di Comuni chiamata “Terre di Castelli”. Il paesaggio collinare è dolce e sofferto allo stesso tempo a causa del calanchi che, come cicatrici argentate, irrompono nel verde. Durante il periodo autunnale la zona tra Castelvetro e Savignano sul Panaro si veste dei colori caldi delle vigne, tra rocche medievali e torri. Una meraviglia.

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2) Il borgo dipinto di Dozza

Siamo nel Bolognese. Dozza è un piccolo tesoro d’arte a cielo aperto, uno dei borghi dipinti più belli d’Italia. Passeggiando tra i suoi vicoli acciottolati, si possono ammirare decine di murales e disegni sui muri delle case, risultato di una kermesse biennale di artisti nata negli ’60 e che si tiene tuttora. Un tripudio di fantasia. Non dimenticate di fare un salto nella Rocca Sforzesca, sede dell’Enoteca Regionale dell’Emilia Romagna.

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3) Bobbio

Varrebbe la pena di venire a Bobbio, nel Piacentino, anche solo per vedere il suo ponte vecchio – o ponte Gobbo – sul fiume Trebbia: un’opera che fin dal Medioevo destava l’ammirazione dei tanti pellegrini che si trovavano a passare di qui. Bobbio sorgeva infatti sulla Via degli Abati, o Via Francigena di montagna, un cammino che già in epoca longobarda la collegava con Pavia e Pontremoli.

San Pellegrino in Alpe di Devis Bellucci Rid
Santuario di San Pellegrino e San Bianco – Modena/Lucca

4) San Pellegrino in Alpe

Ci troviamo a oltre 1500 metri di quota e infatti il borgo di San Pellegrino è tra quelli più alti dell’Appennino. Pensate che la zona è divisa in due dalle provincie di Modena e Lucca: il confine taglia proprio il paese, così per metà si trova in Toscana e per metà in Emilia. Il santuario è da sempre frequentato dai pellegrini, che si recano qui per chiedere grazie a San Pellegrino e San Bianco e toccare la croce di faggio, che guarda come una sentinella le Alpi Apuane.

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Torrechiara – Parma

5) Il Castello di Torrechiara

Si trova in posizione panoramica sui primi rilievi dell’Appennino parmense ed è uno dei castelli più scenografici e meglio conservati d’Italia.  All’interno le sue sale presentano splendide decorazioni rinascimentali. L’ambiente più celebre della rocca è la Camera d’Oro, affrescata da Benedetto Bembo nel 1462 con un ciclo di dipinti che sono un inno all’amor cortese. A proposito di amore, pensate che questo castello fu voluto dal conte Pier Maria de’ Rossi come nido d’amore per sé e l’amante Bianca Pellegrini. Quando si dice perdere la testa per una donna…

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6) Il parco del Delta del Po

Gli appassionati di natura e birdwatching devono assolutamente trascorrere un weekend nella Camargue d’Italia, dove il Po si divide in mille rivoli e canali per raggiungere l’Adriatico. Un buon punto di partenza per visitare il parco è la località di Goro, nel Ferrarese, da dove è possibile raggiungere uno degli ultimi ponti di barche rimasti in zona. Oltre ai tanti sentieri, percorribili a piedi o in mountain bike, non perdetevi una gita in barca e la visita dell’Abbazia di Pomposa, risalente al IX secolo, una delle più importanti del nord d’Italia.

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7) La pista ciclabile che collega Ravenna e Cervia

Eccoci nel cuore della Romagna. Fra i segreti più custoditi della zona c’è il percorso ciclabile (perfetto da fare anche a piedi) che collega l’antica capitale dell’Impero Romano d’Occidente con la località di Cervia. Il tragitto tocca il borgo di Classe, dove si trovava il porto romano, e attraversa la pineta omonima, citata anche da Dante Alighieri nella Divina Commedia. Lo scenario è di una bellezza commovente, con campi di girasole, canali e capanne su palafitte per la pesca. Sembra di essere lontani migliaia di km dal caos della riviera.

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Monteveglio – Bologna

8) L’Abbazia di Monteveglio

Altro tesoro poco noto è questa abbazia nel Bolognese, in Valsamoggia, che domina da un colle la pianura Padana. Dedicata a Santa Maria Assunta ed eretta in stile romanico, fu edificata per volontà di Matilde di Canossa in segno di ringraziamento per la vittoria avuta sull’imperatore Enrico IV. Tutta l’area è inclusa in un parco regionale coperto di boschi, vigneti e prati. Anche qui il paesaggio è segnato dalla presenza dei calanchi.

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Castello di Rossena – Reggio Emilia

9) Il castello di Rossena

Ci troviamo nel comune di Canossa, sull’appennino Reggiano, in una zona ricca di vestigia medievali. La rocca risale probabilmente al 950 ed è stata edificata attorno a una torre più antica, simile a quella vicina di Rossenella. Non lontano si trova anche il castello di Canossa, i cui ruderi, purtroppo, non rendono affatto  l’idea di come doveva essere ai tempi della contessa Matilde. Oggi la rocca di Rossena è visitabile grazie ai volontari di un’associazione del posto, una miniera di informazioni e storie sul luogo (c’è pure la leggenda di un fantasma, ovviamente).

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Spiagga della Bassona – Ravenna

10) La selvaggia spiaggia della Bassona

A tutti quelli che non amano la riviera romagnola, giudicandola cementificata e senz’anima, io dico: Venite alla spiaggia della Bassona, rimasta praticamente come Dio l’ha fatta. Un po’ lo dobbiamo anche agli amici naturisti che in passato l’hanno frequentata con una certa assiduità, allontanando le fauci dell’edilizia. Chi vorrebbe mai una villetta con vista sui nudi fricchettoni? O un albergo, che poi i bambini si scandalizzano? Oggi la Bassona è un ampio tratto di litorale incontaminato che ci parla – con un po’ di tristezza, questo sì – di com’era la costa 50 o 60 anni fa. La trovate vicino a Lido di Dante, in frazione Fosso Ghiaia, una trentina di km da Ravenna. Ci si può arrivare ovviamente, anche da Sud, partendo in questo caso da Lido di Classe.