Partiamo. Stavolta siamo in due: io e mia moglie. Considerando la strada che abbiamo scelto, fuori mano, tutta su e giù per le colline tra Modena e Bologna, ci aspettano quasi 20 km. Con due tappe intermedie: il borgo di Savignano sul Panaro, grazioso nella sua parte nuova per diventare notevole quando si guarda al nucleo medievale, e il pressoché sconosciuto Montebudello (curioso come nome, vero?).
L’Abbazia di Monteveglio, sui colli bolognesi, è un gioiello romanico dedicato a Santa Maria Assunta. Venne eretta su volere di Matilde di Canossa. Il luogo è un nido per l’anima, soprattutto durante la settimana e nei mesi invernali, dove non c’è mai nessuno e sembra di fare quattro passi in un’altra vita. Dovete venire a conoscerla, se passate nei dintorni. Come nel tipico scenario italiano che illumina le tele di tanti dipinti, immaginate la classica altura coronata da prati verdi, cipressi e querce. Sulla cima, un borgo dove vivono pochi eletti, con un torrione all’ingresso. L’unica strada acciottolata arriva direttamente all’Abbazia tra due ali di case, alcune disabitate, e un Oratorio circondato dalle rose. Trovate anche un’osteria, dove dicono si mangi molto bene.
Annesso all’Abbazia c’è un convento francescano. Una volta mi è capitato, per qualche festa che non ricordo, di vedere i frati all’esterno, in formazione rock, pronti a cantare: chitarra al collo, batteria, microfoni. Purtroppo me ne sono dovuto andare prima dell’inizio e ho mancato il repertorio. Appena si entra in chiesa, lo sguardo scivola a destra, verso la bella cripta, con un fonte battesimale ricavato da un’unica pietra, quindi al grande crocefisso, dove Gesù pare sempre soffrire in pace, dormendo. E spesso ci fermiamo lì, alla dolcezza di un uomo che dorme, il capo reclinato, senza risposte né redenzione, quando i discepoli scappano via. Più lontano, sulla parete, un campanello e un bigliettino: “Chi suona per confessarsi non di disturba mai”. Perché in effetti – altro nodo scorsoio – tutti abbiamo paura di disturbare, creare imbarazzo, affidarci.
Anche stavolta ho scritto sui social che avrei camminato. Anche stavolta arrivano messaggi e richieste di preghiere. Sorrido, leggendo spesso: “Se sono ancora in tempo, ti chiederei…” In effetti il tempo è un altro nodo universale. Una di quelle ricchezze che non ci appartengono e vanno bene amministrate. Possiamo riguadagnare i soldi spesi, diventare molto ricchi o piombare nella miseria grigia, mentre non è possibile guadagnare tempo, né accumularlo per avere gli interessi. Renderlo d’oro, invece, sì. E questo è tutto.
Mentre camminiamo la mente si libera, a mano a mano che sale una stanchezza buona. Tutta la bellezza attorno è di grande aiuto. Non avrei mai pensato che dietro casa mia ci fossero tante querce e lapidi che raccontano storie. Come quella di un uomo che, nel 1912, venne accecato da “ignota mano assassina” mentre tornava a casa. La sua vicenda è coperta dai rovi, col granito striato dalle bave di lumaca. Direi che è tutto ciò che resta di lui. Allora diciamo una preghiera per quelli che ci scrivono e il cuore subito si alleggerisce. Risuonano più intense, dentro, le grida degli uccelli. Uno dei folli miracoli è questo: condividere, anche solo idealmente, la pena di un altro alleggerisce l’anima.
Quando arriviamo a Montebudello mi accorgo che è Pentecoste. Ci sarebbe la Messa tra venti minuti, ma è tardi, dobbiamo proprio andare. E poi, diciamo la verità, non ho voglia di aspettare su una panca: sto così bene a camminare e mi annoierei per il (santo) fuori programma. Un uomo si accorge di noi e ci chiama. Chiede se vogliamo visitare il campanile e magari vedere suonare le campane, perché si dà il caso che lui sia proprio il campanaro. Mi diverte questo diversivo piovuto dal cielo per far sì che non ce ne andassimo. Allora lo seguiamo: saliamo sulla torre, ci mostra le campane, racconta con passione una storia bellissima. Fuori il panorama spazia sino a Modena, su cui si addensano nubi bianche. Di notte è un mare di luci che fa innamorare. Quando scendiamo, la Messa sta iniziando e dunque non abbiamo scusanti.

È da un po’ che mi chiedo se sia possibile, su strade secondarie, andare dall’Abbazia di Monteveglio fino al celebre santuario della Madonna di San Luca, che veglia sopra Bologna dal Monte della Guardia. Ci ho guardato distrattamente, ma non ho trovato nulla. Sarebbe un modo per andare avanti a camminare sui colli. Il piccolo tarlo mi accompagna tra un passo e l’altro. E ancora, ripenso a una testimonianza preziosa, conosciuta solo qualche giorno fa. Parlo della storia di David Buggi. Non ve la voglio anticipare, ma davvero, se volete rendere preziosi undici minuti di quel tempo che non ci appartiene, guardate questo video.
Arrivati a Monteveglio, comincia la salita. C’è un sentiero che si inerpica sulla collina, regalando di nuovo un bel colpo d’occhio su calanchi fioriti e montagne. Il sentiero ricalca la strada vecchia, l’unica a salire al borgo prima degli anni ’40, quando venne realizzata una via asfaltata. A un certo punto, ecco una cappella. Io che di solito arrivo in auto appunto con la via asfaltata, è la prima volta che la vedo. Una cappella dedicata, guarda caso, alla Madonna di San Luca. Ripenso alla possibilità di allungare il pellegrinaggio, un giorno, con più tempo a disposizione. Ma come ho detto, non conosco stradine secondarie e poi forse vorrei cambiare zona e poi… Intanto mi tornano in testa le parole di David, che chi vorrà potrà ascoltare nel video di cui sopra, quando dice: “[C’è a portata di tutti] una felicità che dura, che non viene meno. Basta non remare contro”.
Siamo arrivati alla chiesa verso le due del pomeriggio, stanchi e sereni. I messaggi continuano a piovere su Facebook. “Se sono ancora in tempo…”. Una vecchia amica mi dice: “L’altra volta che ti ho visto camminare non ne ho avuto il coraggio, ma stavolta devo chiederti di pregare per…”
Così entro nell’Abbazia. Davanti a me – proprio me lo sento sbattuto in faccia – un cartello. Dice: “Pellegrinaggio a piedi dall’Abbazia di Monteveglio al Santuario di San Luca, Bologna”. Con tutte le tappe, una ad una. Quelle che cercavo. Le risposte alle domande, a un desiderio buono che mi era stato suggerito. Se non è questo un segno!
Però poi mi merito di raccontarvi quel che spesso accade nelle nostre vite. Come direbbe David, i desideri buoni ci vengono suggeriti, ma noi siamo molto scaltri a remare contro. Per inerzia, forse. Quel pellegrinaggio si sarebbe tenuto oggi. Sarei partito col gruppo alle 7 del mattino e rientrato la sera. Avrei trascorso una bella settimana al pensiero di farlo, invece della settimana neruccia che mi è toccata in eredità (piccole sciocchezze come per tutti, ma un po’ la stanchezza, un po’ lo sconforto, un po’ il cattivo umore hanno reso i giorni trascorsi alquanto sfigati). Solo, quel programma non l’avevo deciso io e mi sarei dovuto adattare a tempi e modi altrui. E poi metti che coi figli si fosse pensato a una giornata al mare, o in montagna, o a Parigi; metti che poi piove; metti che mi venga la sciatica, la borsite rotulea, l’ernia fulminante. Metti che…
Invece sto in ottima salute e alla fine non siamo andati a Parigi né a Roma, così su due piedi (Sally docet). Anzi, non ho fatto nulla di questo tempo, a parte la cosa buona – spero – di buttar le parole che state leggendo. Insomma, era la giornata ideale per continuare il cammino nei modi che mi erano stati suggeriti, senza troppe domande a riguardo.
C’è che il prezzo da pagare per farsi del bene è irrisorio, in fin dei conti, nonostante si tratti, ahimé il più delle volte, di quel che ti costa dare, come diceva Madre Teresa di Calcutta. Ad esempio un’inversione di marcia. Una sosta ai box. Un pugno di scuse a un tizio che non sopporti. Non voglio che diate del vostro superfluo, ma di ciò che vi costa, spiegava la Santa.
In altri termini, quel minuscolo sì gettato nel nulla per rispondere a un segno, dove i nostri occhi non vedono che nebbia e magari imbarazzo, vergogna, follia. Ogni vero viaggio inizia così. Se no, forse, è solo turismo dell’anima.