5 Luoghi Geniali dove ammirare i fossili

Un viaggio all’indietro nel tempo a caccia di conchiglie, foreste pietrificate e dinosauri, per la gioia dei più piccoli e non solo

Si sa, la preistoria, col suo esercito di dinosauri inghiottiti dal tempo, esercita un fascino incredibile sui bambini (e su tanti adulti). Da questo punto di vista in Italia siamo molto fortunati, dato che esistono un’infinità di luoghi dove scoprire le vestigia di quel lontano passato, quando l’uomo doveva ancora muovere i primi passi sulla Terra. Per scrivere il mio ultimo libro “Guida ai luoghi geniali” (Ediciclo Editore), ho avuto la fortuna di visitarne tantissimi da nord a sud, naturalmente insieme ai miei figli di 9 e 7 anni. Vi riporto qui sotto un elenco di questi luoghi, rimandando al libro chi desidera saperne di più.

Il giacimento fossilifero del fiume Panaro – Vignola (Modena)

Questo sito è vicinissimo a casa mia e si tratta di uno dei giacimenti più accessibili d’Italia. Non lontano dalla Rocca di Vignola, sulla riva del fiume c’è un affioramento di argille azzurre plio-pleistoceniche: granuli finissimi di sedimento color piombo che inglobano una fauna ricchissima, costituita per lo più da conchiglie. Le vedi sbucare, imbrigliate nella polvere, come perle luccicanti. Sono la suggestiva testimonianza di un antichissimo fondale sabbioso, quando gli Appennini non erano altro che anonimi rilievi montuosi in mezzo al mare

Il Museo dei Fossili e la Pesciara di Bolca – Vestenanova (Verona)

Questo è uno dei giacimenti fossiliferi più importanti del mondo per estensione. I fossili sono costituiti, per lo più, da pesci, compresi oltre 150 specie di squali. Nel parco attorno alla Pesciara, è possibile fare delle bellissime passeggiate paleontologiche coi bambini, guidati da alcuni operatori. Infine, si va tutti insieme al Museo.

Foresta fossile di Dunarobba Avigliano Umbro (Terni)

Pochi sanno che in Umbria c’è un’intera foresta fossile, che venne alla luce alla fine degli anni ’70 in una cava d’argilla. Potrete ammirare decine di trochi fossili, ossia quel che resta di un bosco di conifere del Pliocene, inghiottito da una palude qualche milione di anni fa, quando qui c’era un vasto lago.

Paleolab – Parco Geopaleontologico di Pietraroja (Benevento)

Forse non lo sapete, ma è italiano uno dei fossili di dinosauro più preziosi mai ritrovati. L’hanno battezzato “Ciro” ed è tornato alla luce nel 1998. Allora ne parlarono tutti i giornali perché il dinosauro Ciro, oltre alle ossa, presentava anche gli organi interni fossilizzati. Al Palolab, oltre a scoprire tutto su Ciro, si possono ammirare tanti fossili di notevole importanza.

Orme dei Dinosauri – Rovereto (Trento)

All’interno dell’area protetta dei Lavini di Marco, una grande distesa di roccia che è quanto resta di antichissime frane, nel 1990 sono state scoperte le tracce di un mondo perduto: centinaia di impronte di forme e dimensioni differenti, che gli scienziati hanno identificato come orme di dinosauri. Parliamo di rettili di almeno tre tipi: carnivori come i ceratosauri, giganteschi erbivori (vulcanodontidi) e animali più piccoli come gli ornitischi. Per saperne di più si può visitare il Museo Civico di Rovereto (Trento).

5 luoghi geniali dove la terra parla

Un viaggio tutto italiano nella memoria del nostro pianeta, dove gli elementi si rigenerano e celebrano la propria bellezza

Durante la lunga avventura che mi ha portato a scrivere il mio ultimo libro, “Guida ai luoghi geniali” (Ediciclo Editore), tutto dedicato all’Italia della scienza e della tecnologia raccontata a bambini e non, più volte sono incappato in luoghi straordinari per chi voglia comprendere, o anche solo godere, della storia del nostro pianeta; in altre parole, dei veri libri di geologia a cielo aperto. Siti primordiali e deserti, dove la terra si denuda e racconta le proprie memorie, concedendoci di guardare in profondità, fisicamente e nel tempo, e di riempirci gli occhi con l’incanto dei colori.

Il mio bambino più piccolo ha una vera passione per i minerali (e per gli insetti, le stelle, la geografia, i vulcani, il Dr. House, etc) e questo mi ha spinto ancora di più a cercare e valorizzare le destinazioni del nostro Paese in cui trionfano il nero vetroso dell’ossidiana, il grigiore plumbeo dei calanchi, la luccicanza (oddio! Shining!) delle piriti, la polvere rossa dell’ossido di ferro, il candore delle pomici, il giallo dello zolfo. Oggi ve ne racconto alcuni, rimandandovi al libro – e soprattutto a una gita fuori porta! – per tutti gli altri. Ne ho raccolti e descritti a decine.

1. L’argilla dei calanchi

Mi ha sempre colpito il fascino doloroso di un paesaggio segnato dai calanchi, così comune in Italia eppure così bello in ogni stagione. Sarà che io nei calanchi – aree collinari ricche di argille, segnate da fenomeni di erosione per effetto delle acque – ci sono cresciuto in mezzo. Quando ero bambino, quelli lungo la fondovalle del fiume Panaro, vicino a casa mia, erano teatro di avventure, giochi, scalate, immaginando improbabili fughe da qualche nemico. Una volta, in piena guerra del Golfo, piantai pure una grande bandiera rossa sulla cima di un calanco, che richiamò l’attenzione di una pattuglia di carabinieri solerti. Poi non successe nulla e la bandiera è rimasta là fino a che non è marcita.

Dove trovare i calanchi più belli, magari disseminati di fossili a celebrare un tempo lontanissimo in cui tanta Italia era sotto il mare? Consiglio, in particolare agli appassionati di fotografia, di andare a vedere quelli che circondano Canossa, nell’Appennino Reggiano, dove troverete le vestigia di antichi manieri legati alla mitica figura della contessa Matilde (la bella foto di copertina di questo pezzo, opera di Giorgio Galeotti / commons.wikipedia.org, ben rende il fascino dei calanchi di Canossa); c’è poi il bel Parco regionale dei Gessi Bolognesi e dei Calanchi dell’Abbadessa, sulle colline bolognesi. Infine, i più belli di tutti, a mio avviso: i Calanchi Lucani, nella zona sud-orientale della Basilicata, che lo scrittore Carlo Levi così descrive:  “argilla bianca senz’alberi e senza erba e da ogni parte non c’erano che precipizi d’argilla bianca, su cui le case stavano come liberate nell’aria”.

2. Parco tecnologico e archeologico delle Colline Metallifere grossetane

Siamo nella zona più meridionale dell’Antiappennino toscano, tra rilievi plasmati nei secoli dalle mani dell’uomo, che dai tempi degli Etruschi ha cercato di mettere le mani sulle considerevoli ricchezze – in termini minerari, s’intende – celate nel sottosuolo. Pirite, blenda, lignite, allume, galena… Uno scrigno di tesori alle porte della Maremma, per cui si è sviluppata una complessa rete di siti industriali, oggi dismessi, le cui fascinose vestigia segnano il territorio: pozzi, teleferiche, linee ferroviarie, depositi di scorie abbandonati e silenziose miniere, calate in un’atmosfera di grande bellezza paesaggistica. Andateci e non ve ne pentirete. I comuni coinvolti nel Parco sono sette: Montieri, Follonica, Roccastrada, Massa Marittima, Scarlino, Monterotondo Marittimo e Gavorrano. Sempre in zona, c’è tutta l’area toscana legata alla geotermia, misteriosa e un po’ spettrale, con la centrale di Larderello (Pisa) – la prima al mondo – il Museo della Geotermia e tutta una serie di siti da non perdere, tra cui il Parco naturalistico delle Biancane, con soffioni, fumarole e sbocchi di vapore coronati da cristallizzazioni di zolfo.

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Foto: commons.wikipedia.org

3. Grotte di Castellana

L’Italia in quanto a grotte non è seconda a nessuno. Pensiamo a quelle friulane o alle Grotte di Frasassi, in provincia di Ancona. Oggi però vorrei citarvi le altrettanto famose Grotte di Castellana, nel territorio del comune omonimo in provincia di Bari. Sono tra le più spettacolari del nostro Paese. La visita si snoda su un percorso di alcuni chilometri tra canyon, laghetti scintillanti, stalattiti e stalagmiti che paiono opera di un artista. La caverna finale, detta “Grotta bianca”, è uno splendore di candide concrezioni, che ne fanno una delle più belle al mondo. Se avete dei bambini con voi, usciti dalle grotte porteli al Parco dei Dinosauri, dove potranno ammirare diverse riproduzioni dei grandi rettili estinti.

Grotte_Castellana_(5) Foto: commons.wikipedia.org

4. Piramidi di roccia del Renon

Gli Altoatesini le chiamano Lahntürme, ovvero le torri delle frane. Sono delle curiosità geologiche uniche nel loro genere, che ricordano in piccolo i camini delle fate in Cappadocia, e derivano dall’erosione di depositi di origine glaciale, con presenza di ghiaia e massi immersi in sedimenti fini ricchi di limo. L’erosione causata dal passaggio delle acque scava via via solchi più profondi, separati gli uni dagli altri da creste aguzze, che lentamente vengono erose. In Alto Adige trovate le piramidi di terra in varie località, ma le più famose sono vicino a Bolzano, sull’altopiano del Renon. Il colpo d’occhio su queste formazioni grigiastro-dorate, che si stagliano nell’azzurro del cielo fra gli abeti, è ovviamente notevole.

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Foto: K. Weise / commons.wikipedia.org

5. Gran cratere della Fossa – isola di Vulcano

Non voglio andare per il sottile: al di là delle amenità di natura geologica, quello che si ammira dal cratere dell’isola di Vulcano, nell’arcipelago delle Eolie, è uno dei panorami più belli del mondo (vi assicuro che ho avuto la fortuna di vedere un po’ di posti). Tra l’altro, questo cratere è probabilmente tra i più accessibili in assoluto: con una bella passeggiata di un’oretta vi trovate sulla cima e potrete percorrerne tutta la circonferenza, godendo di uno scenario “da giù di testa”, come diciamo qui in Emilia. Immaginate un mare color cobalto, puntellato di isole, con Stromboli sullo sfondo e, da parte opposta, la mole dell’Etna di solito incorniciata da qualche nuvola di passaggio. A parte questo, per modo di dire, il Gran cratere della Fossa è celebre per i suoi campi di fumarole, circondanti da bellissimi cristalli di zolfo. Peccato non poterne portare a casa un frammento per ricordo: al di là del fatto che non si può, ci lascereste la mano, data la temperatura dei vapori mefitici. E visto che siamo in tema vulcani e geologia, sull’isola vi aspetta una suggestiva spiaggia di sabbia nera, delle pozze di fango termale tiepidine al punto giusto insieme alla “valle dei mostri”, dove la lava di una vecchia eruzione ha generato strabilianti formazioni di basalto.

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La foto di copertina è di Giorgio Galeotti / commons.wikipedia.org

Italia coast to coast

In cammino dal Tirreno all’Adriatico, nel cuore del Bel paese

È un annetto che ho riscoperto la bellezza di camminare. Da bambini questa è una delle grandi conquiste insieme al linguaggio, poi accadono un sacco di distrazioni che ti portano a dimenticare l’arte di stare in piedi, nella sua versione più dinamica.

Oggi faccio decine di chilometri alla settimana, semplicemente evitando di usare l’auto. Mentre cammino – per andare in centro, in biblioteca, a fare piccole spese, etc – osservo, leggo, penso, prego, dormo, mangio. Si può essere tranquillamente multitasking, senza il rischio di ammazzare qualcuno. Non esiste stress, anche se il sole ti picchia sulla fronte o le moto sfrecciano sulla strada, lacerando il silenzio.

Sto ritrovando, proprio come i bambini, la gioia di rivedere un certo papavero sulla scarpata ferroviaria, quella di salutare il cane che non ti vuole tra i piedi, lo stupore nel riconoscere una cicala sull’albero, panciuta e mostruosa. Siccome chi cammina viaggia con tutto il corpo, non è necessario andare lontano: la dimensione è assai più profonda e dilata di suo le distanze.

Ho comprato da subito molti libri su cammini, spulciando in giro e chiedendomi quale fosse il più bello in Italia. Va detto che il nostro paese non è a misura di camminatore, nonostante sia stato fin dall’antichità terra di pellegrinaggi. Il fatto è che camminare in Italia diventa presto costoso: il problema fondamentale è l’alloggio, visto che non esistono ostelli diffusi e a prezzi popolari, a differenza che in Spagna o in Francia. È un peccato, date le potenzialità del territorio. Pensiamo alla via Francigena, alla via degli Abati, al Cammino di Assisi o alla più recente via degli Dei, tra Bologna e Firenze. In tutti questi casi dormire a prezzi accettabili (non 40 Euro a testa!), soprattutto in estate, è un’utopia. Teniamo conto che sul Cammino di Santiago con 30-40 Euro al giorno fai tutto (anche mangiare). Inoltre, non puoi chiedere al pellegrino di prenotare in anticipo: il bello è proprio potersi fermare quando le gambe non ne hanno più. Rimane la tenda, ma non tutti se la sentono.

Premesso questo, ritengo che uno dei cammini più straordinari che si possano fare in Italia sia il Coast to Coast tracciato da Simone Frignani, grande scopritore e disegnatore di percorsi alla scoperta del bello e del buono. Tra l’altro Simone è un mio conterraneo, anche se non ho il piacere di conoscerlo.

Il Coast to Coast che ci propone è ben descritto nell’omonima Guida di cui è autore, edita da Terre di Mezzo, e a cui è associato un sito internet da cui si possono scaricare le tracce GPS (gratis). In breve tempo, grazie al passaparola e alla cura con cui Frignani ha delineato il percorso, si è creata una bella community di viandanti pronti ad attraversare l’Italia, chi a piedi e chi in bici, e a condividere l’esperienza sui social.

Riporto giusto alcune note sull’itinerario, invitando chi volesse saperne di più a consultare il sito web, la pagina Facebook dedicata o ancora meglio la Guida stessa. Si parte da Orbetello, in Toscana, per raggiungere Portonovo nelle Marche, ai piedi del monte Conero. Ovviamente il tragitto è fattibile pure in direzione opposta. Sono 18 tappe a piedi o 9 in bicicletta, su mulattiere, sentieri e stradine, per un totale circa 400 km.

Il Coast to Coast regala una panoramica su alcuni degli scenari più affascinanti e celebri del nostro paese: dall’Italia etrusca, coi borghi del tufo di Sorano, Pitigliano, Sovana e Orvieto, all’attraversata del cuore verde della Penisola – l’Umbria – per poi fare un tuffo nella spiritualità, col tratto da Assisi a Portonovo. Non lontano dal capolinea, infatti, si trova Loreto, in cui sorge la Basilica della Santa Casa di Maria.

Se pertanto avete 3 settimane e la voglia di immergervi anima e corpo nella bellezza che fa bene allo spirito, mettete lo zaino in spalla e incamminatevi lungo un percorso dal nome capace di evocare suggestioni tutte americane. Vi aspettano la Maremma toscana, i monti Sibillini, l’azzurro di due mari e il meglio dell’arte medievale. Oltre, naturalmente, a un silenzio terapeutico.

La spada nella roccia? È in Toscana, a Chiusdino

Soltanto un prodigio poté salvar / il regno da guerre e distruzion: / fu una spada nella roccia, che un bel dì / laggiù, comparì. Qualcuno ricorda i versi di questa canzoncina? Sono tratti dal prologo de “La spada nella roccia”, uno dei classici della Disney, che racconta l’ingarbugliato quanto comico percorso seguito da un bambinetto, Semola, per diventare nientemeno che re d’Inghilterra. E che re! Parliamo del mitico Artù, quello della Tavola Rotonda, di Lancillotto e Ginevra. Una storia portata sugli schermi da un altrettanto celebre film, “Il primo cavaliere”, interpretato da Sean Connery e Richard Gere (quello bello, nei panni di Lancillotto). La leggenda è nota a tutti: in un tenebroso medioevo il sovrano di turno è venuto a mancare senza lasciare eredi, ma in cambio è comparsa una spada infilata in una pietra, con allegate le istruzioni. Chiunque estrarrà questa spada da questa roccia e da questo incudine sarà di diritto re d’Inghilterra.

Vorreste cimentarvi nell’impresa, soffiando il posto al futuro re (Carlo)? Impossibile per due motivi: primo, che la spada nella roccia non si trova in Inghilterra bensì – rullo di tamburi – in Italia; secondo, perché è protetta da una teca proprio per evitare – è capitato – che qualcuno privo delle dovute virtù cerchi di estrarla, magari forzando fino a romperla.

Per ammirare il misterioso gladio dobbiamo inoltrarci nelle campagne toscane, in uno dei luoghi che ritengo tra i più suggestivi del nostro Paese. Ci troviamo a Chiusdino, a trenta km da Siena, nella Val di Merse, ricca di borghi medievali e antiche pievi circondate dagli ulivi. Qui riposano i ruderi dell’Abbazia di San Galgano, senza più tetto né campanile, regalando uno scenario simile a quelli è possibile incontrare in Irlanda o appunto in Inghilterra. All’interno si cammina su un soffice manto erboso, ammirando i costoloni che salgono direttamente al cielo. Proprio accanto all’abbazia c’è una piccola chiesetta, la Rotonda di Montesiepi, che di suo passerebbe inosservata al cospetto della grandiosa vicina, non fosse per il tesoro che custodisce. La spada nella roccia è qui, al centro della Cappella, venerata come una reliquia. Apparterrebbe a San Galgano, un cavaliere vissuto in Toscana nel XII secolo. Una visione lo condusse a Montesiepi dove si convertì, lasciò le armi e iniziò a vivere come un eremita. Leggenda vuole che, non avendo una croce per pregare, se la fece infilando miracolosamente la propria spada in una pietra, dov’è rimasta fino a oggi.

Non si sa molto di più, né del santo né della spada. Lo stile dell’elsa e dell’impugnatura sono compatibili col periodo storico, mentre alcuni studi recenti, condotti grazie a una sonda, hanno confermato che il manufatto sarebbe realizzato con un metallo medievale. Indagini più approfondite richiederebbero di estrarla a forza dalla roccia, rischiando di romperla. Ci provarono alcuni ragazzi negli anni ’90 e infatti, guarda caso, la spezzarono. Da allora l’arma di San Galgano è protetta da una teca, nella penombra della chiesetta. In attesa di una mano prodigiosa che, se sarà destinata a estrarla, nondimeno saprà attraversare il plexiglass senza romperlo e far suonare l’allarme.

Se volete andarci

L’Abbazia di San Galgano è a una mezz’ora di auto da Siena. Tenete le indicazioni per Chiusdino: i ruderi della chiesa sono ben segnalati. Potendo, andate il Lunedì di Pasqua, quando si svolge la tradizionale Passeggiata a San Galgano, a piedi, partendo da Monticiano

Quando giravo l’Italia come uomo sandwich

È passato ormai un po’ di tempo da quel 2010, quando uscì il mio romanzo L’inverno dell’alveare (A&B Editrice). Amavo moltissimo quella favola sull’esplorazione che aveva come protagonista una piccola ape terrorizzata dall’eventualità di non riuscire a superare l’inverno, come di solito accade per tutti gli insetti della sua specie. Fu una gioia scrivere quella storia e ancora più bello era raccontarla, magari ai bambini delle scuole. Così decisi, senza troppo pensarci sopra, di unire le mie due grandi passioni: la scrittura – appunto – e il viaggio. Ci voleva un modo garbato e originale per portare in giro il libro; insieme a mia moglie, la giocammo un po’ sull’ironia. Così nacque l’uomo sandwich.

Non è forse vero che ogni storia è biografica? Che dentro alle pagine di un libro pulsano, in controluce, la vita e l’esperienza dell’autore? Racchiudermi “fisicamente” tra la copertina e la quarta del mio romanzo mi sembrò una metafora azzeccata. Costruire il sandwich costò pochi Euro. Mi era rimasto infatti un curioso costume di carnevale dall’anno prima, quando sempre con mia moglie interpretavamo Alice nel paese delle meraviglie. Lei faceva Alice, io la carta da gioco (neanche l’asso di briscola: se ricordo bene ero tipo un quattro di quadri). Riciclai il costume, attaccandoci sopra copertina e quarta de L’inverno dell’alveare stampati in formato poster, e voilà.

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L’idea era di passeggiare come uomo sandwich un po’ per tutta Italia, immortalando l’impresa con le foto per realizzare un book, sperando che la gente mi notasse e corresse a comprare il libro, mossa a compassione. Allora non c’erano (cioè, forse c’erano ma non li usavo) twitter e instagram, quindi le foto venivano pubblicate via via su facebook. Dedicammo al progetto “L’Italia con gli occhi un uomo sandwich” tutti i fine settimana, le ferie, i ponti e il tempo libero per un anno e mezzo.

Non rompevo l’anima a nessuno, proprio come fanno i libri sugli scaffali: tacciono e aspettano di essere avvicinati da una mano (e da una mente) curiosa. Allo stesso modo, camminavo, portandomi addosso il sandwich. Mia moglie passeggiava con me e faceva le foto. Attorno, gli scenari più belli d’Italia, dal Piemonte al Lazio alla Puglia. Montagne, laghi, cavalcavia, piazze, spiagge. Nei luoghi più affollati mi venne un’idea altamente simbolica. Toglievo il sandwich e lo posavo a terra, mettendoci sopra una candela accesa. Chi accenderebbe una candela di giorno, all’aperto? Nessuno. Fa poca luce, è inutile e se va bene sta accesa cinque secondi. Proprio come la poesia e la letteratura: deboli spunti di meraviglia che vanno notati, protetti, sollevati dal rumore di fondo che può travolgerli da un momento all’altro. Ok: è una pippa mentale e non ebbe molto successo. Ricordo una reazione simpatica a Roma. Stavo in Piazza Navona, lì a fotografare la mia candela accesa sul sandwich. Passa una tizia con una bimba per mano, mi guarda e commenta: “Ma guarda questo! Con tante cose belle da vede’ sta a fa’ ‘na foto a ‘na candela”.

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L’esperienza come uomo sandwich fu prima di tutto un bellissimo (e lungo e faticoso) viaggio nel nostro Paese, attraverso borghetti e meravigliosi scorci che diversamente non avrei mai conosciuto. Come giornalista, “campo” ancora un pochetto (per modo di dire) sul patrimonio di luoghi scoperti durante quell’anno e mezzo, catalogati nell’archivio dei miei pensieri. Trovai anche lo spunto per un successivo romanzo passando da Sirolo, nelle Marche, e Goro, sul delta del Po, ma questa è un’altra storia. In più, fu un interessante e silenzioso esperimento antropologico. Indovinate quante persone mi hanno fermato, importunato, interrogato?

Nessuno. Zero. Tanto a Milano quanto a Napoli sono stato trattato come a Craco, un paese fantasma vicino a Matera. Poi dicono che siamo un popolo curioso! Il bello succedeva invece on-line, nella realtà virtuale (quella reale era appunto di calma piatta). Quando pubblicavo le foto e raccontavo il mio pellegrinaggio letterario, la gente mi contattava entusiasta e prodiga di complimenti. Sono nate tante amicizie e conoscenze e mi hanno intervistato decine di radio e giornali, dai bollettini parrocchiali alle grandi testate nazionali. Fiumi di domande, davvero. Ma quanto ti costa? E qual è stato il posto più bello? Ma per mangiare te lo togli il sandwich? E per fare… Insomma, hai capito per che cosa… Come fai?

Ebbene, secondo voi, in tutto questo effluvio di interviste che mi facevano sentire anche bello, quante volte mi è stato chiesto di che cosa parlasse quel benedetto libercolo per cui mi stavo riempiendo i piedi di vesciche?

Una manciata. Solo che spesso questo pezzo veniva poi tagliato in fase di pubblicazione, per comprensibile mancanza di spazio. Quelli più curiosi del libro che del mio camminare erano i bimbi nelle scuole. Forse un bambino non ci trova niente di strano a fare il vagabondo tra due cartoni pubblicitari. Fu una gioia leggere per loro, far capire che una storia può essere davvero così importante da volerle donare un paio di gambe per farla arrivare lontano.

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Otranto (Lecce)

Ultima domanda e chiudo. Secondo voi, tutto questo cinema fece vendere un sacco di copie? Ovviamente no: è infatti molto difficile che uno vada a cercare un libro, uscito diversi mesi prima, solo perché ha letto dell’autore che fa l’uomo sandwich. Ti devi segnare il titolo, manca la recensione (per carenza di spazio, vedi sopra) e le grandi librerie tengono solo le novità e i classici, ma non le vie di mezzo. Soprattutto se l’autore è un benemerito sconosciuto.

Ne è valsa la pena? Altro che sì. Anzi, è una delle cose di cui vado più fiero. Fosse solo perché abbiamo iniziato in due e alla fine del viaggio eravamo in tre. Ho visto crescere la panciotta di mia moglie sullo sfondo delle Cinque Terre, della Torre di Pisa, dei ghiacciai dell’Adamello fino a Santa Maria di Leuca. Un gravidanza on the road, cullata da quanto di più bello ci sia nel mondo.

A questo punto: di che cosa parla il romanzo “L’inverno dell’alveare”?

Assunto che, probabilmente, il mio editore è più contento se leggete l’ultimo romanzo “La cura” (A&B Editrice), potete trovare qui diverse recensioni sul libro che mi portò a girare l’Italia come uomo sandwich e a scegliere di occuparmi (anche) di viaggi.