5 luoghi geniali dove la terra parla

Un viaggio tutto italiano nella memoria del nostro pianeta, dove gli elementi si rigenerano e celebrano la propria bellezza

Durante la lunga avventura che mi ha portato a scrivere il mio ultimo libro, “Guida ai luoghi geniali” (Ediciclo Editore), tutto dedicato all’Italia della scienza e della tecnologia raccontata a bambini e non, più volte sono incappato in luoghi straordinari per chi voglia comprendere, o anche solo godere, della storia del nostro pianeta; in altre parole, dei veri libri di geologia a cielo aperto. Siti primordiali e deserti, dove la terra si denuda e racconta le proprie memorie, concedendoci di guardare in profondità, fisicamente e nel tempo, e di riempirci gli occhi con l’incanto dei colori.

Il mio bambino più piccolo ha una vera passione per i minerali (e per gli insetti, le stelle, la geografia, i vulcani, il Dr. House, etc) e questo mi ha spinto ancora di più a cercare e valorizzare le destinazioni del nostro Paese in cui trionfano il nero vetroso dell’ossidiana, il grigiore plumbeo dei calanchi, la luccicanza (oddio! Shining!) delle piriti, la polvere rossa dell’ossido di ferro, il candore delle pomici, il giallo dello zolfo. Oggi ve ne racconto alcuni, rimandandovi al libro – e soprattutto a una gita fuori porta! – per tutti gli altri. Ne ho raccolti e descritti a decine.

1. L’argilla dei calanchi

Mi ha sempre colpito il fascino doloroso di un paesaggio segnato dai calanchi, così comune in Italia eppure così bello in ogni stagione. Sarà che io nei calanchi – aree collinari ricche di argille, segnate da fenomeni di erosione per effetto delle acque – ci sono cresciuto in mezzo. Quando ero bambino, quelli lungo la fondovalle del fiume Panaro, vicino a casa mia, erano teatro di avventure, giochi, scalate, immaginando improbabili fughe da qualche nemico. Una volta, in piena guerra del Golfo, piantai pure una grande bandiera rossa sulla cima di un calanco, che richiamò l’attenzione di una pattuglia di carabinieri solerti. Poi non successe nulla e la bandiera è rimasta là fino a che non è marcita.

Dove trovare i calanchi più belli, magari disseminati di fossili a celebrare un tempo lontanissimo in cui tanta Italia era sotto il mare? Consiglio, in particolare agli appassionati di fotografia, di andare a vedere quelli che circondano Canossa, nell’Appennino Reggiano, dove troverete le vestigia di antichi manieri legati alla mitica figura della contessa Matilde (la bella foto di copertina di questo pezzo, opera di Giorgio Galeotti / commons.wikipedia.org, ben rende il fascino dei calanchi di Canossa); c’è poi il bel Parco regionale dei Gessi Bolognesi e dei Calanchi dell’Abbadessa, sulle colline bolognesi. Infine, i più belli di tutti, a mio avviso: i Calanchi Lucani, nella zona sud-orientale della Basilicata, che lo scrittore Carlo Levi così descrive:  “argilla bianca senz’alberi e senza erba e da ogni parte non c’erano che precipizi d’argilla bianca, su cui le case stavano come liberate nell’aria”.

2. Parco tecnologico e archeologico delle Colline Metallifere grossetane

Siamo nella zona più meridionale dell’Antiappennino toscano, tra rilievi plasmati nei secoli dalle mani dell’uomo, che dai tempi degli Etruschi ha cercato di mettere le mani sulle considerevoli ricchezze – in termini minerari, s’intende – celate nel sottosuolo. Pirite, blenda, lignite, allume, galena… Uno scrigno di tesori alle porte della Maremma, per cui si è sviluppata una complessa rete di siti industriali, oggi dismessi, le cui fascinose vestigia segnano il territorio: pozzi, teleferiche, linee ferroviarie, depositi di scorie abbandonati e silenziose miniere, calate in un’atmosfera di grande bellezza paesaggistica. Andateci e non ve ne pentirete. I comuni coinvolti nel Parco sono sette: Montieri, Follonica, Roccastrada, Massa Marittima, Scarlino, Monterotondo Marittimo e Gavorrano. Sempre in zona, c’è tutta l’area toscana legata alla geotermia, misteriosa e un po’ spettrale, con la centrale di Larderello (Pisa) – la prima al mondo – il Museo della Geotermia e tutta una serie di siti da non perdere, tra cui il Parco naturalistico delle Biancane, con soffioni, fumarole e sbocchi di vapore coronati da cristallizzazioni di zolfo.

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Foto: commons.wikipedia.org

3. Grotte di Castellana

L’Italia in quanto a grotte non è seconda a nessuno. Pensiamo a quelle friulane o alle Grotte di Frasassi, in provincia di Ancona. Oggi però vorrei citarvi le altrettanto famose Grotte di Castellana, nel territorio del comune omonimo in provincia di Bari. Sono tra le più spettacolari del nostro Paese. La visita si snoda su un percorso di alcuni chilometri tra canyon, laghetti scintillanti, stalattiti e stalagmiti che paiono opera di un artista. La caverna finale, detta “Grotta bianca”, è uno splendore di candide concrezioni, che ne fanno una delle più belle al mondo. Se avete dei bambini con voi, usciti dalle grotte porteli al Parco dei Dinosauri, dove potranno ammirare diverse riproduzioni dei grandi rettili estinti.

Grotte_Castellana_(5) Foto: commons.wikipedia.org

4. Piramidi di roccia del Renon

Gli Altoatesini le chiamano Lahntürme, ovvero le torri delle frane. Sono delle curiosità geologiche uniche nel loro genere, che ricordano in piccolo i camini delle fate in Cappadocia, e derivano dall’erosione di depositi di origine glaciale, con presenza di ghiaia e massi immersi in sedimenti fini ricchi di limo. L’erosione causata dal passaggio delle acque scava via via solchi più profondi, separati gli uni dagli altri da creste aguzze, che lentamente vengono erose. In Alto Adige trovate le piramidi di terra in varie località, ma le più famose sono vicino a Bolzano, sull’altopiano del Renon. Il colpo d’occhio su queste formazioni grigiastro-dorate, che si stagliano nell’azzurro del cielo fra gli abeti, è ovviamente notevole.

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Foto: K. Weise / commons.wikipedia.org

5. Gran cratere della Fossa – isola di Vulcano

Non voglio andare per il sottile: al di là delle amenità di natura geologica, quello che si ammira dal cratere dell’isola di Vulcano, nell’arcipelago delle Eolie, è uno dei panorami più belli del mondo (vi assicuro che ho avuto la fortuna di vedere un po’ di posti). Tra l’altro, questo cratere è probabilmente tra i più accessibili in assoluto: con una bella passeggiata di un’oretta vi trovate sulla cima e potrete percorrerne tutta la circonferenza, godendo di uno scenario “da giù di testa”, come diciamo qui in Emilia. Immaginate un mare color cobalto, puntellato di isole, con Stromboli sullo sfondo e, da parte opposta, la mole dell’Etna di solito incorniciata da qualche nuvola di passaggio. A parte questo, per modo di dire, il Gran cratere della Fossa è celebre per i suoi campi di fumarole, circondanti da bellissimi cristalli di zolfo. Peccato non poterne portare a casa un frammento per ricordo: al di là del fatto che non si può, ci lascereste la mano, data la temperatura dei vapori mefitici. E visto che siamo in tema vulcani e geologia, sull’isola vi aspetta una suggestiva spiaggia di sabbia nera, delle pozze di fango termale tiepidine al punto giusto insieme alla “valle dei mostri”, dove la lava di una vecchia eruzione ha generato strabilianti formazioni di basalto.

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La foto di copertina è di Giorgio Galeotti / commons.wikipedia.org

5 “luoghi geniali” sottoterra

Tutti giù per Terra, alla scoperta delle meraviglie nel sottosuolo

Chi l’ha detto che le cose più belle si trovano alla luce del sole? Per scrivere il mio ultimo libro, “Guida ai luoghi geniali”, uscito di recente per i tipi di Ediciclo, ho trascorso l’ultimo anno a scandagliare l’Italia in cerca dei luoghi più curiosi tra scienza, tecnologia e natura; quelli che, quando li visitiamo, ci viene da dire: «Accidenti, che fortunati i geologi, i biologi marini, gli astronomi, i vulcanologi, i fisici, etc, che dedicano il loro tempo a comprendere meglio, e a raccontarci, simili meraviglie». E tutti ci ritroviamo a immaginare una vita da esploratori.

L’Italia che non si vede è stata per me una grande scoperta. Quella sotto ai nostri piedi, per intenderci. Subito si pensa alle grotte – e a ragione – ma lo spettacolo celato nel sottosuolo non si ferma qui. Ad esempio, io non avrei mai creduto che il nostro Paese fosse così ricco in termini di miniere (visitabili), parchi minerari, curiosità geologiche fino a interi laboratori di ricerca sepolti nelle viscere della terra. Ecco un assaggio di questo mondo sommerso dove imparare la geologia, la fisica e la storia del nostro pianeta. Se vi appassionate, nel libro ci sono tanti altri siti.

Museo Provinciale delle Miniere – Bolzano

Se da bambini vi è piaciuto “Viaggio al centro della Terra” di Jules Verne venite a Predoi, in Valle Aurina, uno degli angoli più selvaggi dell’Alto Adige. Qui si trova un’antica miniera di rame, citata per la prima volta nel Quattrocento. Oggi questo mondo, accessibile con un comodo trenino, è avvolto nel silenzio, ma fino agli anni ’70 avreste visto i minatori impegnati nell’estrazione del metallo. Il Museo delle Miniere di Bolzano ha anche altre sedi: a Ridanna (un impianto industriale per la lavorazione del minerale), a Cadipietra (un’esposizione permanente) e soprattutto a Monteneve, dove vi aspetta un villaggio fantasma in passato abitato dai minatori. Quest’ultimo si raggiunge solo a piedi, quindi è meglio aspettare la bella stagione visto che si trova a oltre 2300 metri di quota.

Miniera di Gambatesa – Genova

Ci troviamo in Val Graveglia, nell’entroterra di Lavagna, celebre località sul mar Ligure. Quella di Gambatesa, aperta nel 1876, è stata la più grande miniera di braunite d’Europa; la braunite è un minerale da cui si estrae manganese, impiegato in ambito siderurgico. Chiuse nel 2011 ed era già visitabile alla fine degli anni Novanta, quando un trenino in uso ai minatori venne attrezzato per i turisti. Anche oggi si accede grazie a un piccolo convoglio che conduce nel cuore della montagna, quindi si prosegue a piedi. Pensate che le gallerie si diramano per quasi 25 km, disposti su sette livelli principali comunicanti fra loro grazie a una rete di pozzi, discenderie e rimonte.

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L’ingresso alla galleria Cadorin della miniera Gambatesa (foto: Wormcast – Opera propria, CC BY-SA 3.0)

Grotta del Vento – Lucca

Ci troviamo nelle viscere delle Alpi Apuane, sotto il monte Pania a Vergemoli (Lucca). La Grotta del Vento è una delle più importanti grotte turistiche d’Europa, così chiamata per il forte vento che la caratterizza, dovuto alla differenza di temperatura tra l’esterno e l’interno. Le prime esplorazioni della grotta risalgono agli anni ’30 e si arrestarono davanti a un laghetto sotterraneo; solo negli anni ’60 vennero scoperte nuove gallerie per uno sviluppo di quasi 5 km. All’interno della grotta sono stati scoperti numerosi reperti fossili, tra cui le ossa dell’orso delle caverne. A disposizione dei turisti ci sono tre itinerari di visita.

Parco Geominerario Storico e Ambientale della Sardegna

Da un punto di vista geologico la Sardegna è una fra le terre più ricche e varie d’Italia. Una bella fetta dell’isola è costellata di miniere, ferrovie corrose dalla salsedine e impianti abbandonati, che faranno la gioia dei patiti di archeologia industriale. I vari siti sono racchiusi in questo Parco, uno dei più grandi d’Italia: pensate che si estende su ben 3800 km quadrati che interessano 81 comuni. Armatevi di cartina, cioè navigatore satellitare, macchina fotografica (o smartphone) e via. Uno dei luoghi più suggestivi è la valle che conduce alle Dune di Piscinas, segnata da ruderi romantici e un po’ tetri.

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La Laveria Brassey nel Parco Geominerario di Sardegna (Foto: wikipedia.com)

Distretto Turistico delle Miniere – Sicilia centrale

Ci troviamo nelle province di Caltanissetta, Enna e Agrigento. Avete presente la famosa novella di Pirandello “Ciàula scopre la luna”, che racconta l’inferno delle miniere di zolfo – le solfare – simili a formicai dall’atmosfera venefica? È ambientata in queste zone, in un passato neanche così lontano. Questa rete di siti racchiude diverse destinazioni da non perdere se amate la natura, la geologia e l’archeologia industriale.

Immagine di copertina: le Grotte di Frasassi” a Genga – Ancona, un altro sito straordinario descritto nella “Guida ai luoghi geniali” (foto di Kessiye – Flickr CC BY 2.0).

 

 

 

 

 

 

 

10 luoghi dell’Emilia Romagna che devi assolutamente conoscere

Una delle regioni più belle d’Italia in dieci mosse fuori dagli schemi

Come dice il nome, prima di tutto Emilia Romagna significa due mondi in uno. Da un lato le terre celebri per l’eccellenza della gastronomia e le aziende automobilistiche – non per niente parliamo di “Motor Valley” – dall’altro le città di mare, con lo splendore dell’arte paleocristiana a Ravenna e i borghi medievali nel Montefeltro. Al centro, la dotta Bologna, che poi è anche detta la grassa, la goliardica o addirittura “la città delle tre T”: tette, torri e tortellini. Un’anima scapigliata dove nessuno ha mai messo in discussione quel tanto di gola e di lussuria.

Oggi voglio presentarvi 10 luoghi di questa splendida regione che forse ignorate, giusto per darvi qualche motivo in più per venire a conoscerla.

Cipressi e grappoli d'uva, Campiglio. Ottobre 2016 Rid.
Autunno, Vignola – Modena

1) Le colline del Lambrusco

Siamo in provincia di Modena, in quell’unione di Comuni chiamata “Terre di Castelli”. Il paesaggio collinare è dolce e sofferto allo stesso tempo a causa del calanchi che, come cicatrici argentate, irrompono nel verde. Durante il periodo autunnale la zona tra Castelvetro e Savignano sul Panaro si veste dei colori caldi delle vigne, tra rocche medievali e torri. Una meraviglia.

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2) Il borgo dipinto di Dozza

Siamo nel Bolognese. Dozza è un piccolo tesoro d’arte a cielo aperto, uno dei borghi dipinti più belli d’Italia. Passeggiando tra i suoi vicoli acciottolati, si possono ammirare decine di murales e disegni sui muri delle case, risultato di una kermesse biennale di artisti nata negli ’60 e che si tiene tuttora. Un tripudio di fantasia. Non dimenticate di fare un salto nella Rocca Sforzesca, sede dell’Enoteca Regionale dell’Emilia Romagna.

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3) Bobbio

Varrebbe la pena di venire a Bobbio, nel Piacentino, anche solo per vedere il suo ponte vecchio – o ponte Gobbo – sul fiume Trebbia: un’opera che fin dal Medioevo destava l’ammirazione dei tanti pellegrini che si trovavano a passare di qui. Bobbio sorgeva infatti sulla Via degli Abati, o Via Francigena di montagna, un cammino che già in epoca longobarda la collegava con Pavia e Pontremoli.

San Pellegrino in Alpe di Devis Bellucci Rid
Santuario di San Pellegrino e San Bianco – Modena/Lucca

4) San Pellegrino in Alpe

Ci troviamo a oltre 1500 metri di quota e infatti il borgo di San Pellegrino è tra quelli più alti dell’Appennino. Pensate che la zona è divisa in due dalle provincie di Modena e Lucca: il confine taglia proprio il paese, così per metà si trova in Toscana e per metà in Emilia. Il santuario è da sempre frequentato dai pellegrini, che si recano qui per chiedere grazie a San Pellegrino e San Bianco e toccare la croce di faggio, che guarda come una sentinella le Alpi Apuane.

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Torrechiara – Parma

5) Il Castello di Torrechiara

Si trova in posizione panoramica sui primi rilievi dell’Appennino parmense ed è uno dei castelli più scenografici e meglio conservati d’Italia.  All’interno le sue sale presentano splendide decorazioni rinascimentali. L’ambiente più celebre della rocca è la Camera d’Oro, affrescata da Benedetto Bembo nel 1462 con un ciclo di dipinti che sono un inno all’amor cortese. A proposito di amore, pensate che questo castello fu voluto dal conte Pier Maria de’ Rossi come nido d’amore per sé e l’amante Bianca Pellegrini. Quando si dice perdere la testa per una donna…

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6) Il parco del Delta del Po

Gli appassionati di natura e birdwatching devono assolutamente trascorrere un weekend nella Camargue d’Italia, dove il Po si divide in mille rivoli e canali per raggiungere l’Adriatico. Un buon punto di partenza per visitare il parco è la località di Goro, nel Ferrarese, da dove è possibile raggiungere uno degli ultimi ponti di barche rimasti in zona. Oltre ai tanti sentieri, percorribili a piedi o in mountain bike, non perdetevi una gita in barca e la visita dell’Abbazia di Pomposa, risalente al IX secolo, una delle più importanti del nord d’Italia.

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7) La pista ciclabile che collega Ravenna e Cervia

Eccoci nel cuore della Romagna. Fra i segreti più custoditi della zona c’è il percorso ciclabile (perfetto da fare anche a piedi) che collega l’antica capitale dell’Impero Romano d’Occidente con la località di Cervia. Il tragitto tocca il borgo di Classe, dove si trovava il porto romano, e attraversa la pineta omonima, citata anche da Dante Alighieri nella Divina Commedia. Lo scenario è di una bellezza commovente, con campi di girasole, canali e capanne su palafitte per la pesca. Sembra di essere lontani migliaia di km dal caos della riviera.

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Monteveglio – Bologna

8) L’Abbazia di Monteveglio

Altro tesoro poco noto è questa abbazia nel Bolognese, in Valsamoggia, che domina da un colle la pianura Padana. Dedicata a Santa Maria Assunta ed eretta in stile romanico, fu edificata per volontà di Matilde di Canossa in segno di ringraziamento per la vittoria avuta sull’imperatore Enrico IV. Tutta l’area è inclusa in un parco regionale coperto di boschi, vigneti e prati. Anche qui il paesaggio è segnato dalla presenza dei calanchi.

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Castello di Rossena – Reggio Emilia

9) Il castello di Rossena

Ci troviamo nel comune di Canossa, sull’appennino Reggiano, in una zona ricca di vestigia medievali. La rocca risale probabilmente al 950 ed è stata edificata attorno a una torre più antica, simile a quella vicina di Rossenella. Non lontano si trova anche il castello di Canossa, i cui ruderi, purtroppo, non rendono affatto  l’idea di come doveva essere ai tempi della contessa Matilde. Oggi la rocca di Rossena è visitabile grazie ai volontari di un’associazione del posto, una miniera di informazioni e storie sul luogo (c’è pure la leggenda di un fantasma, ovviamente).

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Spiagga della Bassona – Ravenna

10) La selvaggia spiaggia della Bassona

A tutti quelli che non amano la riviera romagnola, giudicandola cementificata e senz’anima, io dico: Venite alla spiaggia della Bassona, rimasta praticamente come Dio l’ha fatta. Un po’ lo dobbiamo anche agli amici naturisti che in passato l’hanno frequentata con una certa assiduità, allontanando le fauci dell’edilizia. Chi vorrebbe mai una villetta con vista sui nudi fricchettoni? O un albergo, che poi i bambini si scandalizzano? Oggi la Bassona è un ampio tratto di litorale incontaminato che ci parla – con un po’ di tristezza, questo sì – di com’era la costa 50 o 60 anni fa. La trovate vicino a Lido di Dante, in frazione Fosso Ghiaia, una trentina di km da Ravenna. Ci si può arrivare ovviamente, anche da Sud, partendo in questo caso da Lido di Classe.

10 luoghi del Modenese che devi assolutamente conoscere

La provincia di Modena: non solo Terra di Motori e della buona tavola, ma anche uno scrigno di meraviglie tutte da scoprire

Dalle montagne più belle e maestose dell’Appennino Tosco-Emiliano fino al cuore della Pianura Padana, la provincia modenese abbraccia una moltitudine di scenari. Nota in tutto il mondo per una miriade di eccellenze, dalla cucina (mi limito a citare Bottura e ho detto tutto), le sue industrie (dalla Ferrari alla Maserati fino alla celebre “Ceramic Valley”), l’architettura romanica (Duomo, campanile e Piazza Grande di Modena sono parte del Patrimonio dell’Umanità UNESCO) e la musica nei suoi più vari aspetti (sono Modenesi tanto il Maestro Luciano Pavarotti quando Vasco Rossi),  la mia terra mi lascia sempre disorientato per la sua bellezza così variegata. Tutti noi Modenesi, con poca fatica, siamo quindi Modena Pride.

Oggi però voglio raccontarvi 10 mete un po’ meno conosciute, sparse sul territorio. L’estate è arrivata: i locali sono tutti aperti, i sentieri in montagna pronti, le tavole delle osterie apparecchiate e le ciclabili sgombre. Fate un salto di qualche giorno e non ve ne pentirete. E se avete dubbi, scrivetemi.

1) Le cascate del Doccione

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Cascate del Doccione – Modena

Hanno un’altezza di 120 metri, di cui 24 di salto verticale. Ammirarle è un’esperienza unica, sia in estate che in inverno, quando sono ghiacciate e assumono sfumature azzurre. Per raggiungerle dovete salire in auto fino al borgo di Fellicarolo da Fanano e da qui alla località “I Taburri”. Il breve sentiero che porta alle cascate è allestito anche per il transito di portatori di handicap.

2) Le Salse di Nirano

Il paesaggio delle salse – Nirano, Modena

Classico paesaggio lunare che rende felici i fotografi. Le salse sono emissioni di fango freddo insieme a idrocarburi che, risalendo in superficie, formano i classici coni. Quando ero bambino si poteva scorrazzare in mezzo ai vulcanetti, mentre oggi c’è un comodo percorso attrezzato con passerelle in legno (però è meno divertente, ne convengo). Trovate le Salse, parte di una Riserva Naturale, nel comune di Fiorano.

3) Il borgo di Fiumalbo

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Fiumalbo, che significa “fiume bianco”, sorge nell’Alto Appennino modenese, al confine con la Toscana, immerso in uno scenario selvaggio. Considerato uno dei borghi più belli d’Italia, ha un centro storico davvero incantevole. Le natura circostante può essere facilmente esplorata grazie a una rete di sentieri: ce n’è per tutte le gambe.

4) La Rocca di Vignola

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Scrupolosamente restaurato negli ultimi anni, il castello di tutti i Vignolesi è amato come uno di famiglia. Si tratta di una delle Rocche più celebri d’Emilia Romagna, raffigurata quando ero bambino pure su un francobollo (se ben ricordo, da 380 lire). Aperta per le visite tutti i giorni tranne il lunedì, vi incanterà con la vista panoramica che si gode dalle sue torri e con gli affreschi ai piani inferiori. Da non perdere la Cappella, con un ciclo di affreschi tardogotici commissionato da Uguccione Contrari.

5) La Pieve di Trebbio

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La trovate all’interno del Parco dei Sassi di Roccamalatina, in zona collinare. Già solo il panorama, che spazia dalla valle del Panaro fino al monte Cimone, vale il viaggio. Della graziosa chiesetta, dedicata a San Giovanni, si hanno notizie dal 1163, ma è databile al secolo precedente. La troverete aperta per lo più solo la domenica mattina, in occasione della Messa (direi verso le 10). Accanto ci sono un battistero e il piccolo cimitero.

6) I Sassi di Roccamalatina

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I Sassi di Rocca Malatina – Modena

Cuore dell’omonima Area Protetta, sono tre guglie di arenaria, formatesi in tempi antichissimi. Grazie alla loro elevazione sul paesaggio, i Sassi furono usati come elementi di un sistema di fortificazioni attorno alla zona della Pieve di Trebbio (vedi sopra). Intorno agli spettacolari picchi rocciosi nidifica anche il falco pellegrino, mentre tutta l’area è disseminata di borghi da visitare (citiamo ad esempio Castellino delle Formiche). Su uno dei sassi è possibile salire con un percorso attrezzato, accessibile più o meno a tutti.

7) Le cascate del Bucamante

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Ci troviamo nel comune di Serramazzoni, in località Granarolo, nel cuore di un bosco fatato. Le cascate sono raggiungibili grazie a due comodi sentieri, denominati Titiro e Odina, per via di una leggenda antica locale. Nelle quattro cascate grandi e nelle cascatelle si possono ammirare anche delle stalattiti, formate dal deposito di sali di calcio. Una delle cascate, detta “la Muschiosa”, è stata scoperta solo alcuni anni fa, perché nascosta dietro a un muro di fitta vegetazione.

8) Il borgo antico di Levizzano Rangone

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Affacciato sulla Pianura Padana, Levizzano Rangone è un gioiellino che chi non è del posto di solito trascura. Ci troviamo a pochi km dal ben più celebre borgo di Castelvetro (“carino da matti”, come dice il cartello all’ingresso della località), all’ombra di un altrettanto pregevole santuario, quello di Puianello. Da qui, se il cielo è limpido, si scorgono all’orizzonte le Prealpi. In zona non trascurate di dare un’occhiata anche all’Oratorio di San Michele. Naturalmente, fatevi un bicchiere di vino, visto che siete nel cuore della terra del Lambrusco.

9) Il Lago Santo

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Semplicemente uno dei laghi montani più belli d’Emilia Romagna (d’Italia?). Si trova a quota 1.501 m slm ed è raggiungibile in auto da Pievepelago attraversando la Valle delle Tagliole. Sedendo sulle sue sponde amene, lo sguardo è catturato dalla grandiosa parete orientale del monte Giovo, che precipita nel lago. Da qui si dipartono sentieri per salire appunto sul Giovo, sul monte Rondinaio e al piccolo lago Baccio. Nei rifugi della zona si mangia molto bene.

10) Il borgo antico di Savignano sul Panaro

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Savignano “alto”, ossia il borgo antico, raggiungibile dalla zona nuova ai piedi del colle, è un altro angolo incantevole; non perdetevolo la sera, quando dalla terrazza panoramica davanti alla chiesa si può ammirare lo scenario illuminato della pianura. Nel mese di settembre si tiene una famosa rievocazione storica – la “Lotta per la spada dei Contrari” – con spettacoli itineranti, giochi medievali e locande nelle quali gustare ottimi piatti.

Testo e foto di Devis Bellucci.

Il Museo del Cielo e della Terra

Un museo diffuso nel territorio di San Giovanni in Persiceto, Bologna, per andare alla scoperta dei misteri della natura e del cosmo

Il Museo del Cielo e della Terra di San Giovanni in Persiceto – provincia di Bologna – è una meta accattivante per accendere la curiosità dei piccoli esploratori (ma anche dei loro genitori, perché no) desiderosi di fare quattro passi nel variegato mondo delle scienze naturali. Si tratta di un campo d’indagine per definizione pluridisciplinare, attualmente piuttosto bistrattato a vantaggio di una tendenza, se non direttamente una corsa sfrenata, verso la specializzazione a tutti i costi, col rischio di smarrire per strada il prezioso colpo d’occhio sull’insieme.

Visitando questo originale Museo diffuso nel territorio persicetano, articolato in diversi poli didattici, ci si rende conto di come il naturalista debba saper guardare sia in alto, verso l’infinitamente lontano nel tempo e nello spazio, sia in basso, per studiare il micro-mondo armato di lente e microscopio, sia al di là dei fenomeni, con lo scopo di coglierne le leggi fondamentali che com’è noto sono scritte nel linguaggio della matematica. In fondo, per complicata che ci appaia la natura, tutto ciò che avviene è frutto di quattro forze: gravitazionale, elettromagnetica, nucleare ed elettrodebole.

Alla comprensione di quest’ultimo punto, forse il più ostico, è proprio dedicata una delle cinque sezioni del Museo del Cielo e della Terra: l’intrigante laboratorio di storia e didattica della fisica “Tecnoscienza-Fisiclab”, realizzato in collaborazione col Museo di Fisica dell’Università di Bologna. Qui, come realmente accade in ogni esperimento che si rispetti, guardare e non toccare è una cosa da dimenticare. I materiali e i giochi a disposizione, così come le macchine e gli strumenti in mostra vanno invece toccati e messi all’opera, sotto la guida di un docente che pone domande, propone esperimenti e ne discute coi ragazzi le possibili interpretazioni, secondo quella logica del “provando e riprovando” galileiano che condusse alle ben note scoperte.

Le altre sezioni del Museo comprendono l’orto botanico “Ulisse Aldrovandi”, con una vasta collezione di piante, alberi e arbusti della Pianura Padana insieme a specifiche ricostruzioni di ambienti (il bosco, la siepe, la zona umida, etc.); l’Area di Riequilibrio Ecologico “La Bora”, che abbraccia il bacino allagato di un’ex cava di argilla per osservare vegetazione e alberi autoctoni, piante acquatiche, rettili (come la testuggine palustre) e anfibi (rospi, tritoni, etc.), e il Laboratorio dell’Insetto, un vero museo vivente dedicato all’entomologia. Infine, la sezione astronomica, fiore all’occhiello del polo museale, che comprende un osservatorio astronomico, il planetario, la stazione meteorologica e la collezione di meteoriti più importante d’Italia.

Dove, come, quando: durante tutto l’anno, il Museo propone numerosi laboratori e incontri rivolti a bambini e adulti, corsi di approfondimento per studenti e ragazzi e di aggiornamento per docenti. Ogni Sezione ha i propri prezzi e orari di apertura. Tel. 051.827067 e-mail: info@museocieloeterra.org web: http://www.museocieloeterra.org. Le aree naturali e l’orto botanico sono sempre aperte e a ingresso libero.

Foto di copertina: Deep Space Climate Observatory

 

Il Parco Naturale del Monte San Bartolo

Natura incontaminata, antichi borghi e spiagge dorate in quest’angolo di paradiso nella regione Marche

Partendo da Trieste e scendendo verso sud, il San Bartolo è il primo monte che si alza sulla riviera adriatica, precedendo il più celebre Monte Conero in provincia di Ancona. I colli del San Bartolo si susseguono da Gabicce Mare fino a Pesaro e regalano scenari inusuali rispetto alle coste piatte e sabbiose, tipiche dell’Emilia Romagna. Tutta l’area, circa 1600 ettari, è tutelata dall’omonimo Parco che venne istituito nel 1994.

Di recente ho avuto modo di esplorare il San Bartolo percorrendo a piedi la splendida strada panoramica (SP44) che l’attraversa, molto amata dai ciclisti. Si tratta di circa 25 km, immersi in un paesaggio naturale che dona una grande pace, tra campi dorati, filari di alberi e siepi, qualche raro casale. Il panorama abbraccia le colline ondulate dell’entroterra romagnolo e marchigiano, col Montefeltro, il castello di Gradara che ti accompagna per un lungo tratto, la rupe di San Leo – lontana nella foschia – e il massiccio del monte Titano, brulicante di abitazioni, che fa parte della Repubblica di San Marino.

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Nel Parco si incontrano alcuni minuscoli borghi, tra cui l’imperdibile Fiorenzuola di Focara, che conserva intatte, nelle sue romantiche piazzette e nei vicoli, la memorie del passato. Anche Dante Alighieri passò di qui e, sulla porta attraverso cui si accede al borgo, una targa reca inciso un verso del Canto XXVIII dell’Inferno: “Poi farà sì ch’al vento di Focara, non farà lor mestier voto né preco”.

Il Castello di Fiorenzuola di Focara, chiamata forse così per la presenza di fuochi di segnalazione per i naviganti o per la presenza di fornaci per la cottura dei laterizi, sorge su uno sperone roccioso a strapiombo nel mare. Da qui è possibile ammirare le falesie che emergono dalle acque basse, nonché la stretta spiaggia di ciottoli e ghiaia, selvaggia e lontana anni luce dai lidi frequentati dal turismo di massa. Un stradina tutta tornanti, percorribile in estate in navetta, conduce alla base della rube, in un silenzio rotto solo dai canti delle cicale. Il mare ha uno straordinario colore verde smeraldo, con sfumature turchesi e opalescenti a ridosso della riva, che contribuiscono a fare del San Bartolo un luogo bello da non credere, a due passi dalle nostre abituali destinazioni.

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Purtroppo, proprio nei dintorni di Focara, un’ampia area del San Bartolo porta i segni del devastante incendio che colpì la zona, nella notte tra il 4 e il 5 agosto del 2017. Tra l’erba, che intanto è ricresciuta, si alzano i tronchi anneriti degli alberi, in un malinconico contrasto. Il primo gesto che possiamo fare per aiutare il Parco a rifiorire è dunque andare a conoscerlo, sicuri di innamorarcene.

Come arrivare

Il Parco è ben segnalato e comodamente raggiungibile da Pesaro e Gabicce, entrambe servite dalla A14 Adriatica. Per esplorarlo seguite la SP44 che appunto va da Gabicce Monte a Pesaro, e non la statale Adriatica, che corre invece esterna al Parco.

Le Bardenas Reales: una piccola Arizona in Spagna

Canyon, dirupi e deserti: un angolo di far west in Navarra

Se passate per Saragozza o Pamplona e avete una mezza giornata libera, nonché un’auto al seguito, vi consiglio di visitare questo affascinante Parco Naturale, poco noto al di fuori della Spagna. Parliamo delle Bardenas Reales, un territorio semidesertico di oltre 40.000 ettari, dichiarato Riserva della Biosfera dall’UNESCO. Fate qualche selfie e potrete tranquillamente bullarvi con gli amici dicendo di essere in Nord America, dalle parti dell’Arizona.

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Il sorprendente paesaggio delle Bardenas è un susseguirsi di canyon, depressioni sabbiose, dirupi, altopiani e alture solitarie, chiamate cabezos. La vegetazione è scarsa, sbiadita, e dei rari corsi d’acqua rimangono spesso soltanto i letti asciutti, come vecchie mulattiere senza più destinazione. Inutile precisare che qui non abita nessuno.

Questo meraviglioso scenario è un dono del vento e dell’erosione, che nel tempo ha plasmato il suolo ricco di arenaria, argilla e gesso, intagliando dalla terra un teatro di forme bizzarre. Le Bardenas, grazie al loro aspetto lunare, hanno fatto da set a tanti videoclip e pellicole cinematografiche, tra cui le avventure di James Bond ne “Il mondo non basta” e la sesta stagione della popolare serie «Il Trono di Spade». In passato questa era una zona in cui si rifugiavano latitanti e banditi, tra cui il celebre (in Spagna) Sanchicorrota; vistosi braccato dai cavalieri del re, il malvivente si tolse la vita in una caverna che si trova nel cabezo che oggi porta il suo nome.

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Il Parco è attraversato da diversi sentieri, ma si può visitare anche in auto, lungo percorsi ad anello che variano dai 20 km ai 40 km. Nell’area convivono 24 specie di uccelli rapaci e, con un po’ di fortuna, potrete ammirare il volo dell’aquila reale o del grifone. Ad aggiungere fascino a questo luogo fuori dal tempo, il grande silenzio che l’avvolge – tranne quando è rotto dal passaggio di un aereo militare, che fa molto AREA51 – e lo splendore del cielo stellato, se vi capita di passarci di sera. Oppure, al tramonto, con le rocce che paiono infuocate.

Come arrivare

Il Parco è aperto tutti i giorni, così come il piccolo Centro Visitatori. Si trova vicino alla cittadina di Tudela. Qui trovate tutte le informazioni.

 

 

Allo Chalet Alpenrose, per raccogliere storie di boschi e antichi masi, nel cuore del Parco Nazionale dello Stelvio

Ecco l’incantevole Val di Peio, in Trentino, raccontata dalla gente che la ama

Il signor Tiziano ci aspetta alle 5.30. Quando ci siamo salutati, la notte prima, il cielo scintillava in un silenzio rotto soltanto dallo scorrere del fiume, poco lontano dallo Chalet. Attorno, l’oscurità buona e rigenerante della natura, senza luci in lotta con le stelle. Poi è iniziato a piovere. Uno scroscio, racconta Tiziano, che avrà aperto torrenti dove non ce n’erano, e cascate. Quando arriviamo noi mentre fa giorno, rimangono i segni dell’acqua che ha divelto la terra in più punti, nel bosco, con una forza che a fatica riesco a immaginare.

Tiziano ci guida nell’anima di questa valle piccola e sconosciuta ai più, ramo intatto della blasonata Val di Sole che passa da Peio (o Pejo). Quella dell’acqua minerale, per intenderci. Nei tre giorni che passerò con lui, lo vedrò in abiti da montanaro come adesso, poi nelle vesti orgogliose del collezionista di arredi provenienti dalle stube, quindi lindo e serio con la sua divisa da chef. Gestisce lo Chalet Alpenrose da vent’anni insieme alla moglie Martina e alla figlia Stefanie, e raccontando di sé si definisce un tirolese di lingua italiana. Ne parla buttando lo sguardo lontano, come di un ricordo d’infanzia, con una vena di malinconia.

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La valle si sveglia e intravediamo le ombre dei cervi che corrono fra i boschi. Ce ne sono centinaia, spiega la nostra preziosa guida. Di notte scendono nei prati attorno alle case, senza timore. Basta una torcia puntata e i loro occhi si accendono come fuochi. Ma più che di cervi, mi incanta sentire Tiziano che parla di stube, i tipici soggiorni alpini, alcove di vita, luce e calore; soprattutto calore, quando come qui l’inverno è lungo e la stube era l’unico luogo riscaldato della casa. La vita conviviale della famiglia si svolgeva tra queste pareti di legno, intrise di odori e saggezza. Tiziano ha battuto a tappeto il Trentino in cerca di questi luoghi della memoria. “Gli elementi chiave della stube tradizionale sono tre”, dice. E io butto lì: la stufa, il tavolo e le sedie.

Sbaglio, ma non so chi ci avrebbe azzeccato. Perché nelle stanze icona del Trentino la stufa è data per scontata, mentre i tre elementi che non devono mai mancare sono l’orologio, il crocefisso e una piccola acquasantiera: il buio oltre la finestra, infatti, era popolato da leggende, streghe e lupi voraci. Allora, ecco la necessità di quel po’ di fede per sostenere la vita e allontanare il male; il resto, in qualche modo, si mette insieme con un po’ di sacrificio. Ripenso alla mia vecchia nonna che più o meno raccontava le stesse cose. Tiziano, qualche ora dopo, ci mostra i pezzi della sua collezione – mobilio, piccoli arazzi, attrezzi da lavoro – che oggi rivivono sulle pareti dello Chalet, regalando un’atmosfera di calda autenticità. Pochi immaginano che tutti quei Cristi in giro, austeri e dolenti, provengano da case che forse non esistono più, testimoniando la storia di un’intera comunità.

“Venite, tocca a me adesso”. Martina, la moglie di Tiziano, ha l’accento tedesco e si presenta portando un cestino di vimini. Non per i funghi o i frutti di bosco: quelli sono capaci tutti. Per le erbe. Quelle commestibili e quelle officinali. “Solo un istante che ho dimenticato il libro”, dice, “Perché di tante erbe conosco il nome tedesco e voglio dirvelo anche in italiano. O almeno in latino”. È bello che dopo le storie rapprese tra le pareti dei masi, sia il momento di quelle alle falde degli alberi, in mezzo a questa natura incredibile. Saliamo fino a 1.800 metri alla diga del Palù, dove ci accoglie un lago color giada. Guidati da Martina, assaggiamo fiori il cui nome non saprei ripetere, ed erbe, in un’aria rigenerante.

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Camminando all’ombra dei monti striati di neve, Martina racconta le vite degli alberi come fossero amici di vecchia data e confidenti; alcuni danno ombra, altri frutti, ma altri ancora bisognerebbe essere così umili da abbracciarli, rimanendo lì in silenzio per alcuni istanti, viso e pelle sulla corteccia, a fare nostra la loro misteriosa energia. Quando chiedo a Martina se porta tutti gli ospiti qui, lei scoppia a ridere: “Magari! Io lo propongo a tutti, ma alcuni preferiscono rimanere a rilassarsi giù, nella SPA”. Peccato, perché io è da tempo che non sono così rilassato, in corpo e spirito.

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I fiori e le erbe raccolte finiscono sul piano della cucina. Tiziano è in veste di chef, adesso, e provo come sempre un senso di riverenza. Prepariamo un piatto dal nome lungo lungo: gnocchi di ricotta, erbe e fiori di bosco farciti al Casolét, su letto di pere a carpaccio, dadolata di kiwi e una spruzzatina di noce moscata. Semplice, rapido e squisito, ma quando scrivo la nomea del piatto alla mia bimba a casa lei risponde di preferire i Teneroni.

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Fino a qualche ora prima non sapevo neanche che cosa fosse il Casolét, formaggio tradizionalmente prodotto in Val di Sole e presidio Slow Food. Me ne hanno parlato al Caseificio “Turnario” di Pejo, l’ultimo del Trentino ancora in funzione. Turnario perché ogni socio del caseificio, in proporzione alla quantità di latte consegnata, ha diritto a un certo numero di caserade, l’insieme dei prodotti lavorati in un giorno. E qui, conosciuto naturalmente da tutti, lavora Mattia, un ragazzone di 23 anni. Mentre taglia la cagliata candida che affiora nella caldaia, senza distogliere lo sguardo dal lavoro, racconta il perché e il percome di una scelta così antica alla sua età, in un mondo folle sempre in corsa. Ma come si dice, questa è un’altra storia.

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Come arrivare allo Chalet Alpenrose

Lo Chalet Alpenrose Bio Wellness Naturhotel si trova a Cogolo di Peio (Trento), nel cuore del Parco Nazionale dello Stelvio. Tel. +39 0463 754088; e-mail: info@chaletalpenrose.it. Col suo centro benessere, l’ottimo ristorante e l’ampio ventaglio di proposte – che comprendono escursioni, DEEAR-WATCHING (osservazione del cervi all’alba), FORAGING (raccolta erbe naturali), cene sotto le stelle e passeggiate con le lanterne nel bosco – l’Alpenrose di Tiziano, Martina e Stefanie è perfetto sia per chi cerca relax e buona cucina, sia per chi aspira a qualche giorno in mezzo alla natura, nel cuore delle Alpi più belle.

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Andare al Polo Nord o al Polo Sud? Ecco come

Un sogno neanche troppo difficile da realizzare, a parte il prezzo

Qualche tempo fa è uscito un libro molto carino, che ogni viaggiatore (o sognatore) dovrebbe avere in casa. Si chiama “Atlante delle isole remote. Cinquanta isole dove non sono mai stata e mai andrò”, di una certa Judith Schalansky, appassionata di carte geografiche. Potrei iniziare nello stesso modo: ecco due luoghi dove non sono mai stato né mai andrò, presumibilmente. Trattasi del Polo Nord e soprattutto del Polo Sud. A dire la verità, almeno l’80-90% delle isole sperdute citate dalla Schalansky sono più facilmente raggiungibili rispetto ai poli geografici del Pianeta: servono solo un po’ di soldi e un sacco di tempo.

Il lato positivo dell’andare ai Poli è che non occorre un sacco di tempo e che, almeno sulla carta, arrivare in queste due esotiche destinazioni non è poi un’impresa tanto ardua. Basta coprirsi bene con la maglia della salute, amare la neve, avere un po’ di spirito di adattamento, essere preparati alla sconfitta – visto che se fa brutto tempo la missione salta – possedere qualche nozione base di campeggio e sapere sciare. È sufficiente lo sci di fondo, dato che i tragitti sono pressoché pianeggianti. Ah, un’ultima cosa: purtroppo è necessario avere un discreto conto in banca.

Partiamo dal Polo Nord, che è più vicino a casa e costa meno. Intanto, alcuni dati. Siamo nel Mar Glaciale Artico, in mezzo a una landa abbacinante martoriata da venti pazzeschi. L’esploratore statunitense Robert Edwin Peary, nel 1909, sostenne di averlo raggiunto per primo, insieme a 4 eschimesi e 40 cani da slitta. Oggi una spedizione tipo al Polo Nord parte dalle Isole Svalbard, in Norvegia, raggiungibili dall’Italia con qualche scalo. Parentesi: se non avete mai visitato le Svalbard, fermatevi qui e rimandate il Polo. Chiusa la parentesi. Dopo due o tre giorni per preparare la logistica e prendere confidenza con le attrezzature (slitte, tende, etc.), si parte in aereo per la base scientifica russa di Barneo, che si trova sul ghiaccio alla deriva a 89° di latitudine nord. È l’unico rifugio nel Mar Glaciale Artico e già arrivarci è una bella emozione. Dalla base, clima e condizioni del ghiaccio permettendo, il Polo Nord geografico si trova (più o meno) a portata di mano: otto-dieci giorni di attraversata con sci e slitte, pernottando in tende da spedizione. Arrivati dove si incontrano i meridiani, ci aspetta qualche ora di meritata sosta per le foto e una telefonata di due minuti col telefono satellitare per bullarsi con mogli, amanti e amici del bar. Il rientro alla base di Barneo avviene in elicottero e da qui dritti alle Svalbard. Durata prevista del viaggio AR: circa 16 giorni, tratte da e per l’Italia escluse.

Vediamo adesso il Polo Sud, ossia il sogno del sottoscritto (il Polo Nord è ormai troppo inflazionato…). La meta si trova a quasi 3.000 metri di quota, 2.700 dei quali di purissimo ghiaccio, su un altopiano che definire gelido è riduttivo. In queste zone vengono abitualmente registrate le temperature più basse del pianeta: il mare, con la sia azione mitigante, è infatti lontanissimo e la luce solare viene riflessa dallo strato di neve. Tutto ciò premesso, noi ci vogliamo andare lo stesso. Il punto di partenza è Punta Arenas, in Cile, che i partecipanti possono raggiungere con mezzi propri, ossia un volo da Santiago. Da qui, con 4-5 ore di volo si arriva al Campo Base di Union Glacier, da cui partono tutte le spedizioni al Polo Sud. Durante il volo, sempre clima permettendo, è possibile ammirare la Terra del Fuoco, gli iceberg e la banchisa antartica. Segue qualche giorno di acclimatamento all’Antartide, anche per prendere confidenza con le attrezzature. L’89° di latitudine, nel cuore del “plateau” polare, verrà raggiunto da Union Glacier ancora in aereo. Adesso la parte più emozionante del viaggio: 6 giorni di impegnativa marcia sugli sci per rivivere le sensazioni provate da Amundsen e Scott cento anni fa, fino alla mitica asticella metallica da cui si dipartono tutti i meridiani (foto di copertina). Il ritorno a Union Glacier è in aereo, quindi rotta verso Punta Arenas e ognuno a casa propria.

Veniamo al lato economico. Quanto costa la partita? Ci sono varie agenzie che organizzano la spedizione. In Italia, ad esempio, potete dare un’occhiata sul sito di Terre Polari, dove troverete un ampio carnet di proposte per esperienze into the wild, dall’Alaska alla Groenladia. Per il Polo Sud si spendono almeno 60.000 $, cifra che non comprende i voli AR per Punta Arenas. Il Polo Nord è più popolare, con itinerari che prevedono anche nave rompighiaccio o solo elicottero; quest’ultima opzione è chiaramente molto più rapida ed economica. Il viaggio che vi ho descritto sopra parte da 33.000 Euro.

Che dire? Ne vale la pena? Avendo quei soldi, io penso proprio di sì.

Foto di copertina: Kuno Lechner  GFDL (http://www.gnu.org/copyleft/fdl.html), CC-BY-SA-3.0 (http://creativecommons.org/licenses/by-sa/3.0/) or CC BY-SA 2.5 (https://creativecommons.org/licenses/by-sa/2.5 via Wikimedia Commons

Le Grotte di Frasassi a Genga: un paradiso nel sottosuolo

La prima volta che le visitai avevo 10 anni ed ero in gita scolastica in quinta elementare, negli anni ’80. Allora le fantasmagoriche – e non esagero – Grotte di Frasassi, a Genga in provincia di Ancona, erano ancora una relativa novità. Sono state scoperte infatti solo nel 1971, a opera del Gruppo Speleologico Marchigiano CAI del capoluogo marchigiano. Devo dirvi che da allora ho avuto la fortuna di ammirare le più belle grotte d’Europa, da quelle di Castellana in Puglia alle blasonate grotte di Postumia, passando per le meno note (ma devo dire stupefacenti) grotte di San Canziano, sempre in Slovenia. Tuttavia, il primo amore non si scorda mai e tutt’oggi, se devo portare qualcuno a visitare una fra le meraviglie sotterranee del nostro Paese, lo conduco in questo selvaggio angolo delle Marche, tra gole di dolorosa bellezza ed eremi inaccessibili che sono una gioia per lo spirito.

Ripeterò qui la stracitata metafora con cui si attizza lo stupore di chi entra a Frasassi. Dovete sapere che la prima sala ha dimensioni vertiginose: non per niente l’hanno battezzata “Abisso Ancona”. Ebbene, vi diranno che può contenere comodamente il Duomo di Milano (ci sono stato cinque volte in trent’anni, sono cambiate le guide, ma la frase di benvenuto è ancora questa). Ti ritrovi in un mondo immenso, splendidamente illuminato. Adesso come quando ero bambino, fa effetto non riuscire a rendersi conto delle distanze, mancando i punti di riferimento abituali. Stalagmiti alte quanto palazzi di cinque piani ti appaiono colonnine di una pieve romanica. Stessa eleganza, tra l’altro. Così come si stenta a credere alla storia degli intrepidi speleologi che si calarono dall’alto nel famigerato Abisso, incuranti del buio e del vuoto, per oltre cento metri. Alcuni degli scopritori erano poco più che ragazzini.

Vi riporto uno stralcio del comunicato stampa di allora, giustamente pieno di entusiasmo: «Il gruppo speleologico anconetano ha individuato l’apertura di una grandissima grotta […] le dimensioni della grotta sono talmente grandi che occorreranno numerose ispezioni per stabilirne l’ampiezza. Secondo le prime indicazioni sembra che sia una delle più grandi finora scoperte nel nostro paese e comunque fra le prime in una ipotetica classifica mondiale. Il gruppo ha ora in animo di effettuare una ispezione con permanenza in loco di almeno una settimana» (Dal Corriere Adriatico del 6 ottobre 1971).

Oggi la visita si svolge su un sentiero attrezzato, accessibile a tutti ma con la presenza di diverse rampe di scale. Astenersi, ovviamente, chi soffrisse di claustrofobia più per l’idea ansiogena di essere dentro a una montagna che altro, visto che non esistono passaggi angusti. Si cammina tra concrezioni spettacolari, frutto del tempo e dell’erosione, a cui sono stati dati nomi di fantasia: i Giganti, l’Orsa, la candida Madonnina e la Spada di Damocle, una stalagmite alta più di sette metri che penzola sulla testa dei visitatori ma non si staccherà prima di migliaia di anni. Ancora, laghetti di un azzurro caraibico, pareti coperte di calcite che scintillano come diamanti e sale che, per eleganza, paiono decorate da un artista. Una fra tutte, quella detta “delle Candeline”, dove una serie di stalattiti bianchissime si alza da uno specchio d’acqua magistralmente illuminato.

Quando vidi le Grotte per la prima volta, in quella gita di cui parlavo prima, ricordo che la guida ci indicò alcune tende da campeggio, perse in un angolo remoto dell’Abisso Ancona. La spiegazione mi affascinò da matti. Dentro c’era infatti uno scienziato solo, dissero, che stava facendo un esperimento di isolamento; studi come questi sono fondamentali nel campo della cronobiologia, della sociologia e della farmacologia. Se ho ben ricostruito a posteriori i tasselli della vicenda, quell’uomo era Maurizio Montalbini, uno dei più importanti speleologi italiani. L’esperimento si chiamava 210 giorni fuori dal tempo. Immaginai con terrore l’atmosfera che doveva avere quel luogo dopo gli orari di visita, quando si spegnevano le luci e moriva l’eco della minuscola serpentina di visitatori – noi – giù in basso. Lì dove la natura stava creando i propri capolavori, in una sinfonia di gocce d’acqua che piovono dalla terra. Senza stelle, senza nuvole, sotto un cielo di roccia. E per qualche giorno ho sognato di incontrare quello scienziato e ascoltare i suoi racconti sulla solitudine assoluta.

Come arrivare alle Grotte di Frasassi

Da Ancona, tenete le indicazioni per Genga. C’è un grande parcheggio gratuito prima delle Grotte, dove lasciare l’auto ed eventualmente pranzare (a disposizione chioschi, bar e bagni). Qui c’è la biglietteria dove comunicano l’orario della prima visita disponibile. Si sale in navetta, ogni dieci minuti – un quarto d’ora. Per chi ha il camper – io appunto avevo il camper – potete parcheggiarlo tranquillamente perché l’area è immensa e qualcuno si ferma pure a dormire. La visita turistica delle Grotte, in quanto a difficoltà, è paragonabile a una passeggiatina in montagna. Avevo con me i miei figli di 4 e 6 anni che hanno partecipato senza problemi. Tutte le info qui.

Testo di Devis Bellucci
Foto: Superchilum (Opera propria) [ CC BY-SA 4.0 (https://creativecommons.org/licenses/by-sa/4.0) ] tramite Wikimedia Commons