Val di Funes, il fascino segreto dell’Alto Adige

Tutto l’incanto dei colori autunnali in una valle incantevole, considerata tra le più belle del mondo

Quando ho bisogno di riposare lo sguardo, liberandolo da tutta la polvere, le ansie, il rumore di fondo della nostra vita, io ripenso e sogno la Val di Funes. La vedo così, a occhi chiusi, scintillante coi suoi prati che sembrano tele al sole, il cielo puro, quel silenzio terapeutico che appiana i pensieri.

Siamo stati capaci di ammorbare il fascino di molti luoghi delle nostre Alpi, ma non la Val di Funes che è sempre uguale a se stessa, appartata, in un angolino dell’Alto Adige ai piedi delle Odle. Si dirama tra Bressanone e Chiusa fino all’ultimo centro abitato, Santa Maddalena (1.339 m s.l.m.), porta d’accesso al Parco Naturale Puez-Odle. Se ci andate adesso, in autunno, non troverete nessuno, a parte qualche fortunato camperista che può dormire sotto le stelle.

Prati in Val di Funes – Alto Adige

Tra le immense abetaie brillano come fiaccole i pini dorati, mentre il verde tutto attorno è ancora carico di luce, prima dei geli invernali. Non perdetevi i borghi della valle: Funes, appunto, perla della Alpi, e poi San Valentino, San Giacomo e Tiso, tappa perfetta se avete con voi dei bambini perché potranno visitare il Museo Mineralogico (Mineralienmuseum Teis), nato dalla passione di due collezionisti.

Il gruppo delle Odle – Alto Adige

Non stupisce, infine, che tanta bellezza abbia nutrito lo spirito della gente di qui, levando il loro sguardo verso l’alto; questa valle, infatti, è celebre per le sue chiesette e le pievi, autentiche meraviglie architettoniche e preziose espressione di devozione popolare. Andate alla chiesa di San Giacomo, a quella di San Pietro e Paolo, alla cappella che domina il colle del Santo Sepolcro. Soprattutto, fermatevi un poco a contemplare la chiesetta di San Giovanni, icona fotografica della Valle. Colorata e misteriosa, domina come una principessa un vasto prato dove capita di vedere bambini intenti a far volare gli aquiloni.

Come arrivare: sulla A22 del Brennero, uscita Chiusa – Val Gardena, poi indicazioni per Funes (SP141)

10 luoghi geniali per le nostre vacanze

Alcune proposte per piccoli e grandi esploratori a casa da scuola

Natale è alle porte e insieme alle feste, finalmente, sono in arrivo anche le vacanze. Se fino al primo di gennaio, più o meno, tra un regalo da scartare e un pranzo da smaltire il tempo di solito è impegnato, prima che l’Epifania “tutte le feste si porti via” rimangono alcuni giorni un po’ più tranquilli, dove magari progettare una gita in famiglia. Chi ha dei bambini, perché non portarli da qualche parte dove possano divertirsi e imparare qualcosa? Il problema è che le giornate sono corte e fa freddo, ma ci sono molte destinazioni al chiuso per trascorrere una bella giornata. Vi riporto alcuni spunti su dove andare, tratti dalla mia “Guida ai luoghi geniali” appena pubblicata da Ediciclo. Se avete dubbi o domande, scrivetemi.

Volandia – Parco e Museo del Volo
(Somma Lombardo – Varese)

Si tratta di uno dei più importanti musei italiani dedicati alla storia del volo, dai primi velivoli a elica ai moderni aerei dotati di motore a reazione, per finire con le missioni alla scoperta del sistema solare. Sono decine i velivoli esposti, tra elicotteri, aerei militari e velivoli storici. C’è anche una ricostruzione del modulo di comando dell’Apollo 16 a grandezza naturale. Insomma: una destinazione perfetta per piloti in erba. Di recente il museo si è arricchito con la collezione di locomotive, tram e funicolari della famiglia Ogliari.  Info: Volandia.

Museo dell’Aeronautica Gianni Caproni
(Trento)

Rimaniamo con gli occhi all’insù, ma spostiamoci in Trentino. Magari in tanti saranno già in zona a sciare. Prendetevi un paio d’ore per un viaggio indietro nel tempo all’inizio del ‘900, quando per la prima volta si realizzò il sogno di mettere le ali all’uomo. La straordinaria collezione di questo museo comprende diversi aeroplani storici originali di rilievo mondiale, che ripercorrono insieme a documenti e cimeli le storie dei pionieri dell’aviazione e quelle dei piloti durante gli anni della Grande Guerra e fino al secondo conflitto mondiale. Info qui.

MUSME – Museo di Storia della Medicina
(Padova)

Questo meraviglioso museo è dedicato alla storia della medicina nel corso dei secoli. Non aspettatevi niente di macabro – ad esempio i classici feti deformi – o peggio ancora noioso, dato che si tratta di un’esposizione fortemente interattiva, ricca di avvincenti postazioni multimediali con appositi percorsi per i bambini. Si viene accompagnati nella visita da alcune guide d’eccezione, tra cui Galileo Galilei. Voi direte: com’è possibile? Eh, grazie alla tecnologia se ne fanno di cose! Ma non vi rivelo niente. Info qui.

Science Center Immaginario Scientifico
Trieste, Pordenone e Tavagnacco (Udine)

Questo è il principale museo della scienza friulano. Istituito con lo scopo di diffondere la cultura tecnologica e scientifica, è un bell’esempio di museo di nuova generazione, totalmente diverso dai musei tradizionali. Non parliamo infatti di luoghi, magari un po’ tristi e antiquati, progettati per conservare reperti e cimeli, bensì di spazi vivi, multimediali e interattivi, all’insegna della sperimentazione diretta. In parole povere, qui si sperimenta mettendo le mani in pasta, per imparare davvero. Provare per credere. Ecco come.

Museo All About Apple
(Savona)

Sapete dove si trova il più importante museo del mondo dedicato ad Apple? Negli Stati Uniti? No: in Liguria. Ed è nato grazie all’intraprendenza e alla passione di un gruppo di amici che per anni hanno raccolto hardware ovunque, mettendo insieme un patrimonio sterminato. Una destinazione perfetta per amanti del bello digitale, futuri ingegneri e… ragazzi un po’ nerd. Info qui.

Musei Ferrari Experience: Museo Ferrari Maranello & MEF – Museo Enzo Ferrari Modena
Maranello (MO) e Modena

Se amate le rosse di Maranello, prima o poi dovete farvi l’accoppiata dei due musei dedicati alla Ferrari, che trovate naturalmente nel Modenese, cuore della “Motor Valley”: uno in centro a Modena e l’altro attiguo all’azienda del Cavallino a Maranello. La distanza tra i due siti è ridotta e si può fare tutto in una sola giornata. Oltre ad ammirare le divine monoposto da F1 insieme a modelli iconici del marchio, quali la Dino 206 GT del 1967 e la F40 del 1987, ci sono a disposizione diverse esperienze, compresa la possibilità di salire su un simulatore semiprofessionale. Date un’occhiata qui.

Museo di Scienze Planetarie
Prato

Prima di dire che le stelle e i pianeti non vi interessano, fate un salto in questo piccolo ma curatissimo museo dedicato all’astronomia, alla mineralogia e alla geologia. I bambini di soliti rimangono entusiasti! Le collezioni principali sono due: quella dei minerali e quella dei meteoriti e delle rocce da impatto. C’è anche il meteorite di Nantan, che pesa ben 270 chili ed è uno dei più grossi in Italia. Info qui.

Centrale Montemartini
(Roma)

Quello dell’ex Centrale Termoelettrica Montemartini è uno dei musei più particolari al mondo, anche se di solito viene un po’ trascurato dai turisti che visitano Roma, circondati da tanta meraviglia. Negli spazi di questa ex-centrale, il primo impianto pubblico per la produzione di elettricità a Roma, è ospitata parte delle collezioni dei Musei Capitolini. In pratica, accanto a gigantesche caladaie a vapore e marchingegni che paiono mostri, sono esposte varie antichità romane, tra cui statue, epigrafi e mosaici. Un’originale sinergia tra arte e tecnologia. Info qui.

Museo Nazionale Ferroviario di Pietrarsa
(Napoli)

Se vi piacciono i treni e siete in giro per Napoli in occasione delle feste, pigliate l’autobus e venite a visitare uno dei più importanti musei italiani dedicati alla strada ferrata. Parentesi: il treno, in Italia, ha iniziato qui la sua epopea, con l’inaugurazione della ferrovia Napoli-Portici il 3 ottobre 1839. Chiusa la parentesi. Dicevamo… Pietrarsa. La collezione occupa sette padiglioni con una superficie espositiva di 36.000 metri quadrati. Troverete tante locomotive a vapore, vagoni, cimeli, macchinari da officina e persino la Carrozza reale S10, realizzata per le nozze tra il principe Umberto di Savoia e la principessa Maria Josè del Belgio. Sembra la stanza di un castello. Info qui.

Planetario Giovan Battista Amico
(Cosenza)

Inaugurato nell’aprile 2019, il planetario di Cosenza è tra i più imponenti e innovativi d’Europa. Si tratta di un gioiello non solo da un punto di vista tecnologico, ma anche di un’elegante opera architettonica. Il planetario è il secondo in Italia, per dimensioni, dopo quello di Milano, e sotto la sua cupola semisferica possono trovare posto 113 persone. Tutti pronti, allora, ad ammirare il cielo in una stanza? Per informazioni sulla visita scrivere a planetario@comune.cosenza.it.

 

Il miracolo del Campo di Lamb Holm

Isole Orcadi, anni ’40. Era grazie ai prigionieri italiani che la guerra sembrava un po’ più lontana. Quel pugno di uomini catturati in Africa…

Isole Orcadi, Regno Unito

Era grazie ai prigionieri italiani che la guerra sembrava un po’ più lontana. Quel pugno di uomini catturati in Africa stava trasformando il Campo 60 in un quartiere residenziale: aiuole, siepi, viottoli pavimentati col cemento fra le baracche color cenere, lì dove prima affondavi nel fango fino alle caviglie. Avevano addirittura allestito un teatrino, per dimenticare il Continente in macerie e la pioggia incessante di Lamb Holm. Non avrebbe mai creduto di arrivare a pensarlo, ma era in debito verso quei nemici minori. Un po’ di leggerezza attorno addolciva la nostalgia e si poteva essere tristi come in tempo di pace. Il comandante del Campo, Maggiore T.P. Buckland, sorrideva ammirando l’ultima creazione dei prigionieri: una statua di San Giorgio che ammazza il drago, impastata ad arte attorno a un’anima di filo di ferro; ciò che è buono e santo che trionfa sull’abisso. Era ancora opera di Chiocchetti. Un Italiano di montagna, pare, che aveva respirato l’aria buona di Leonardo e Michelangelo. E proprio il Chiocchetti gli si presentò davanti, dicendo: «Mi lasci costruire una Cappella». «Con che cosa, se è dato sapere?» fece lui. «Con quello che trovo. Nel tempo libero». Ci sarebbero voluti mille anni di tempo libero per tirare su una chiesa, pensò il comandante. Dunque una guerra lunga altrettanto. Allora sospirò in silenzio, cercando un appiglio da qualche parte. Accanto a Chiocchetti c’era il cappellano militare, chiaramente d’accordo. Quel giorno successero tre cose: l’Italiano ebbe la sua autorizzazione, al Maggiore T.P. Buckland venne voglia di scrivere una lettera a casa e la notte stessa, che nonostante tutto fu di pioggia, scrisse e riscrisse più volte prima di trovare le parole giuste, e infine saltò fuori che nel Campo 60 si nascondevano talentuosi artisti: stuccatori, pittori, fabbri e via dicendo. La notizia della Cappella in costruzione superò il filo spinato, arrivando alla gente delle isole vicine. In molti fornirono materiali e braccia. Qualcuno anche denaro. Cattolici, protestanti e anglicani, costretti dalla guerra a vivere su fronti contrapposti, si ritrovarono così a lavorare l’uno accanto all’altro, tra i prati verdi di Lamb Holm. Poi finì la guerra. I prigionieri tornarono alle loro case e il Campo 60 venne smantellato pezzo per pezzo. Domenico Chiocchetti scelse però di restare per terminare la sua opera, quella Cappella Italiana che gli abitanti delle Orcadi non esitavano a definire un capolavoro. Di tutte le baracche del Campo ne rimanevano soltanto due, unite assieme e ormai indistinguibili, a formare il cuore e la struttura portante della Cappella. Delle altre, qualche cicatrice giallastra sul terreno lì dove l’erba, nonostante tutto, si ostinava a crescere.

Italian_Chapel_Orcadi


Domenico Chiocchetti, originario di Moena in provincia di Trento, è morto nel ’99, a 89 anni. Diceva di avere lasciato il proprio cuore alle isole Orcadi, dove l’orrore della guerra l’aveva portato a realizzare la cosa più importante della sua vita. La Cappella Italiana è aperta al culto ed è tuttora meta di pellegrinaggio. Eletta a simbolo di riconciliazione e ingegno che trionfa sulle avversità, scintilla tra una pioggia e l’altra sui prati di Lamb Holm, a dimostrazione che la fede può essere terreno d’incontro e non di sopraffazione.

TESTO di DEVIS BELLUCCI
Foto di Copertina: Gregory J Kingsley – commond.wikipedia.com

In interrail coi miei bimbi (5 e 7 anni)

Pronti con lo zaino in spalla per riassaporare tutto il fascino del treno

Quello che vedete nella foto sono io. Zaino Gold Cup 80 blu, Adidas Gazelle ai piedi, una notte insonne alle spalle insieme alla celebre segnaletica di Narvik, in Norvegia. Dimentico qualcosa? Ah, sì, un dettaglio. L’età. Avevo 22 anni, perché era il 1999. Da allora ho cambiato le scarpe, che mi servono un po’ più solide per compiere lunghi cammini senza rimetterci schiena e talloni, e mio malgrado pure lo zaino. Cioè, mi sono arreso a comprarne uno nuovo – odio la roba nuova – solo l’altro giorno, quando passando in rassegna tela e cuciture del fido compagno di viaggio ho trovato l’ennesimo strappo e la cerniera mi è rimasta in mano. Lo usavo appena dal 1995 e mi non aspettavo che sarebbe durato così poco.

Quel giorno di agosto a Narvik stavo nel mezzo di un interrail. Per noi che siamo diventati maggiorenni negli anni ’90, l’interrail era tra le esperienze più eccitanti che si potessero sognare (rimanendo nelle cose legali e che non lasciano incinta, ovviamente). Con un bel biglietto unico ti giravi l’Europa per un mese, salendo a tuo piacimento su ogni treno di seconda classe nonché sui traghetti. Se ben ricordo, il mitico ticket che mi regalarono per la maturità costava 256.000 lire. Nella mia vita ne ho fatti quattro, attraversando gran parte dei paesi europei, tra gente strampalata che ha riempito i miei ricordi di nostalgie.

Ognuno ha il modo di viaggiare che gli somiglia. Per me il viaggio è via terra coi mezzi pubblici oppure a piedi, se c’è più tempo. Odio l’automobile, tranne negli Stati Uniti dove sembra di guidare in paradiso, e mi stanno sulle scatole anche l’aereo, la barca perché non so nuotare (ma la nave va da Dio) e la bici perché mi sa fatica. Da quando sono diventato papà, per un po’ di anni mi sono dovuto arrendere all’automobile, visto la mole di bagaglio necessaria a garantire un seppur minimo confort a neonati e pargoli che stanno a malapena in piedi. È infatti complicato far stare in treno o nell’autobus per la Turchia due passeggini, due lettini da viaggio, un borsone di omogeneizzati, la piastra elettrica per preparare i pasti, il Parmigiano, l’olio d’oliva, i farmaci, un paccone di pannolini, Elmo, la Pimpa, Orsino, il T-Rex e il suo micidiale avversario: il diplodoco. Quindi: o vai a Cesenatico in hotel/campeggio/appartamento, oppure in Turchia ci arrivi in auto, soprattutto se te la vuoi girare. E non parlatemi di imbarcare in aereo tutta ‘sta roba e noleggiare una macchina là.

Una settimana fa io e mia moglie, guardando i nostri bimbi, abbiamo avuto come una rivelazione. Sono diventati grandi. Indipendenti. Sicuri di sé. Hanno ben 5 e 7 anni. Gli abbiamo provato a mettere sulle spalle uno zaino, poi uno un po’ più piccolo, poi uno medio… Finché… Ecco, ci siamo. Lo riuscivano a portare, a parte la pesantezza del loro muso tutt’altro che entusiasta, ma è sempre un’espressione temporanea. Ognuno ha così preparato il proprio bagaglio. Chi con Elmo, chi con Orsino. Colori, macchinine, bolle di sapone. E gli abbiamo detto: “Siate essenziali”. Hanno capito e sono andati in salotto a vedere i Simpson.

Quindi partiamo per un bel interrail in direzione Europa dell’Est, poi si vedrà a seconda del tiraggio. Questa sì che è libertà. Sapete? Sono felice. Non per l’interrail, figuriamoci: è un viaggetto come un altro. Il motivo è più sostanzioso. Ricordo che proprio durante quel viaggio in Scandinavia, quando avevo 22 anni, mi ritrovai a parlare del futuro con gli amici, come tutti abbiamo fatto diventando adulti. E si diceva, con malinconia, che queste cose vanno fatte adesso, perché poi quando hai dei figli te le scordi.

Paragrafo figli.

Allora erano per me lontani come la galassia di Andromeda, che comunque nel cielo la distingui a occhio nudo, se la serata è abbastanza limpida. Io e mia moglie siamo diventati una famiglia 7 anni fa, con la prima bimba. Coi figli ho fatto tra i viaggi più belli della mia vita, spendendo poco, divertendomi moltissimo e stancandomi come una bestia, cosa che tuttavia eleva spiritualmente.

Si dice che i figli ti tolgono qualcosa. Non è vero. I bambini invece rendono liberi, perché portano mamma e papà davanti a uno specchio che svela loro ciò che sono realmente e quello che davvero li lega l’uno all’altra. Sono come un setaccio per la coppia, quei terribili marmocchi. Dalle maglie del setaccio scivolano via la sabbia, la polvere, le piccolezze, mentre restano in bella vista le pietre preziose. Te le ritrovi ogni giorno lì davanti, grazie a loro, e scintillano alla luce del sole. Così passando da coppia a famiglia siamo diventati più leggeri, senza tutta quella sabbia addosso che si infila nelle cuciture e brucia, soprattutto d’estate. E in uno zaino a testa di dimensioni adeguate, finalmente, ci sta tutto quel che serve.

Benvenuti al Nord (della Francia)

Scogliere bianchissime, borghi medievali e tante testimonianze dei due conflitti mondiali

Qualcuno ricorderà lo spassoso film Giù al Nord, uscito ormai dieci anni fa. La storia racconta di un certo Philippe Abrams, direttore delle poste francesi in una cittadina della Provenza, che viene spedito per punizione nel profondo nord del Paese, in un luogo di nome Bergues. Pare di capire che per un Francese medio, soprattutto uno di quelli che vivono a due passi dal caldo Mediterraneo, finire là sopra sia come essere mandati in esilio sul Mar Caspio ai tempi dell’Impero Romano. Già durante il viaggio, tutti quelli a cui Abrams confida la sua destinazione mostrano visi trasudanti cristiana pietà.

Io ci sono stato in questa sconosciuta Bergues. C’era un bel sole, ma forse perché si parla di agosto. Mi è sembrata graziosa, col suo tratto di mura, un campanile alto un chilometro, tanto verde e i suggestivi resti di un’abbazia, devastata durante la Rivoluzione. Sicuramente un luogo tranquillo in una Regione altrettanto pacifica, che tuttavia mi sento di consigliare a tutti i viaggiatori in cerca di destinazioni poco battute e a caccia di sorprese.

Siamo in quella che si chiama Nord-Pas-de-Calais-Picardie. A sinistra trovate la Normandia, a destra il Belgio. Dovrebbero venire in questa zona, in primis, gli appassionati di storia e turismo “bellico”. Che di solito vanno appunto di fianco, in Normandia, a visitare le spiagge del D-day. In realtà rimangono altrettanti cimeli di guerra lungo i campi di questa Regione, per certi versi ancora più suggestivi perché lasciati al loro destino, lì a sciogliersi senza fretta sotto le intemperie.  Non si contano i vecchi bunker, con le loro interiora metalliche rivolte al cielo. Attorno pascolano tranquille le vacche, su prati color smeraldo dove fioccano i papaveri.

C’è tanto vento, in questa terra che si affaccia sul Regno Unito. Dalla costa pare di sfiorare con un dito la grande isola. Tutti conoscono le bianche scogliere di Dover. In effetti si vedono bene, appena oltre il mare, che scintillano candide. Pochi sanno che le scogliere dal lato francese, qui in Nord-Pas-de-Calais-Picardie, sono praticamente identiche. Stesso colore, stessa altezza vertiginosa. Avvicinandosi al confine con la Normandia, il litorale prende il nome di Costa di Alabastro. Le spiagge sono immense, dorate, con basse maree impressionanti.

Sempre parlando di guerra, questa Regione è nota anche per la città di Dunkerque, teatro dell’Operazione Dynamo, quando tra il 27 maggio e il 4 giugno 1940 vennero evacuate le forze britanniche e francesi, incalzate dai Tedeschi. Il tutto è raccontato nel recente film di Christopher Nolan, che si intitola proprio Dunkerque.

Ciò che più rimane nel cuore, oltre al colore dei prati, al mare e alle scogliere, sono i piccoli cimiteri dove riposano migliaia di soldati deceduti nel primo conflitto mondiale. Non hanno l’aspetto maestoso di quelli in Normandia, ma l’aria raccolta di un camposanto di campagna, senza nessuno. Eppure sono curatissimi, pieni di fiori, con le lapidi color alabastro che riportano i nomi di tanti giovani morti 100 anni fa. Le loro storie si perdono, ormai. Eppure capita, in qualcuno di questi cimiteri, di trovare una piccola edicola all’ingresso, con un raccoglitore pieno di fogli. C’è qualcuno che per ogni militare, dov’è stato possibile, ha messo insieme qualche riga. Com’è morto. Dov’era nato. Se aveva figli. Il nome della moglie. Ogni tanto un dettaglio ancora più personale: una nota del carattere, quel che amava fare, il suo mestiere.

Un po’ per ricordare, a 100 anni dalla fine della guerra, l’entità del sacrificio che è stato chiesto a questi giovani. Sacrificio che non è stato domandato alla nostra generazione. Anche per questo, oltre che per assaporare un po’ di silenziosa bellezza, vi invito a salire su, nel Nord della Francia.