5 Luoghi Geniali dove ammirare i fossili

Un viaggio all’indietro nel tempo a caccia di conchiglie, foreste pietrificate e dinosauri, per la gioia dei più piccoli e non solo

Si sa, la preistoria, col suo esercito di dinosauri inghiottiti dal tempo, esercita un fascino incredibile sui bambini (e su tanti adulti). Da questo punto di vista in Italia siamo molto fortunati, dato che esistono un’infinità di luoghi dove scoprire le vestigia di quel lontano passato, quando l’uomo doveva ancora muovere i primi passi sulla Terra. Per scrivere il mio ultimo libro “Guida ai luoghi geniali” (Ediciclo Editore), ho avuto la fortuna di visitarne tantissimi da nord a sud, naturalmente insieme ai miei figli di 9 e 7 anni. Vi riporto qui sotto un elenco di questi luoghi, rimandando al libro chi desidera saperne di più.

Il giacimento fossilifero del fiume Panaro – Vignola (Modena)

Questo sito è vicinissimo a casa mia e si tratta di uno dei giacimenti più accessibili d’Italia. Non lontano dalla Rocca di Vignola, sulla riva del fiume c’è un affioramento di argille azzurre plio-pleistoceniche: granuli finissimi di sedimento color piombo che inglobano una fauna ricchissima, costituita per lo più da conchiglie. Le vedi sbucare, imbrigliate nella polvere, come perle luccicanti. Sono la suggestiva testimonianza di un antichissimo fondale sabbioso, quando gli Appennini non erano altro che anonimi rilievi montuosi in mezzo al mare

Il Museo dei Fossili e la Pesciara di Bolca – Vestenanova (Verona)

Questo è uno dei giacimenti fossiliferi più importanti del mondo per estensione. I fossili sono costituiti, per lo più, da pesci, compresi oltre 150 specie di squali. Nel parco attorno alla Pesciara, è possibile fare delle bellissime passeggiate paleontologiche coi bambini, guidati da alcuni operatori. Infine, si va tutti insieme al Museo.

Foresta fossile di Dunarobba Avigliano Umbro (Terni)

Pochi sanno che in Umbria c’è un’intera foresta fossile, che venne alla luce alla fine degli anni ’70 in una cava d’argilla. Potrete ammirare decine di trochi fossili, ossia quel che resta di un bosco di conifere del Pliocene, inghiottito da una palude qualche milione di anni fa, quando qui c’era un vasto lago.

Paleolab – Parco Geopaleontologico di Pietraroja (Benevento)

Forse non lo sapete, ma è italiano uno dei fossili di dinosauro più preziosi mai ritrovati. L’hanno battezzato “Ciro” ed è tornato alla luce nel 1998. Allora ne parlarono tutti i giornali perché il dinosauro Ciro, oltre alle ossa, presentava anche gli organi interni fossilizzati. Al Palolab, oltre a scoprire tutto su Ciro, si possono ammirare tanti fossili di notevole importanza.

Orme dei Dinosauri – Rovereto (Trento)

All’interno dell’area protetta dei Lavini di Marco, una grande distesa di roccia che è quanto resta di antichissime frane, nel 1990 sono state scoperte le tracce di un mondo perduto: centinaia di impronte di forme e dimensioni differenti, che gli scienziati hanno identificato come orme di dinosauri. Parliamo di rettili di almeno tre tipi: carnivori come i ceratosauri, giganteschi erbivori (vulcanodontidi) e animali più piccoli come gli ornitischi. Per saperne di più si può visitare il Museo Civico di Rovereto (Trento).

Le piramidi di roccia più belle del mondo

Ammirando l’incanto delle Tre Cime di Lavaredo

Sono lì, sospese tra terra e cielo, allineate come sentinelle al confine tra Veneto e Trentino Alto Adige. Secondo molti, sono le vette più spettacolari tra le montagne più spettacolari del mondo: le Dolomiti. Parliamo delle Tre Cime di Lavaredo, facilmente raggiungibili in auto attraverso la strada panoramica a pedaggio di ingresso al parcheggio, che sale da Misurina, ma che si apprezzano in tutta la loro magnificenza solo grazie a uno dei tanti trekking che si snodano tutto attorno. La prima volta che le ho viste, in autunno come adesso, mi hanno lasciato disorientato per la loro maestosità, per quel senso di trascendenza che le avvolge, lì, armoniosamente allineate da millenni. E mi colpiva pensare, mentre ammiravo un paio di rocciatori appesi nel vuoto, che questo prodigio della natura abbia fatto da sfondo alle battaglie della prima guerra mondiale: tra il 1915 e il 1917 il fronte passava di qui. Nel vicino monte Paterno, rimangono tuttora gallerie, trincee, baraccamenti, che si possono esplorare.

Gli escursionisti vanno e vengono, la giornata è ideale, ma l’inverno è alle porte. Tra poco una coltre candida sommergerà i sentieri, i bivacchi, la chiesetta degli Alpini, cristallizzando tutto come se il tempo si fermasse in uno scenario che riporta tutti noi alle dolcezze dell’infanzia. Invidio i camperisti, gli escursionisti in tenda o quelli che, pernottando in qualche rifugio ancora aperto, tufferanno lo sguardo fra le stelle, stasera, e guardaranno l’Orsa Minore crepitare nel silenzio, mentre domina i pinnacoli di pietra.

Questa è la nostra Italia. Quando ne cogli il suo lato più selvaggio e inaccessibile, nella luce dorata del sole, non può che salire al cielo una preghiera di ringraziamento per tanta meraviglia che ci è stata donata; se manca la fede, non importa, perché la voce di queste piramidi di roccia che racconta di antichi oceani, dono del tempo e dell’erosione, riempie il cuore di pace. Mai come oggi, col mondo alle strette, abbiamo bisogno di un po’ di serenità che ci scaldi l’anima ed è consolante trovarla nella gratuità del creato.

5 luoghi geniali dove la terra parla

Un viaggio tutto italiano nella memoria del nostro pianeta, dove gli elementi si rigenerano e celebrano la propria bellezza

Durante la lunga avventura che mi ha portato a scrivere il mio ultimo libro, “Guida ai luoghi geniali” (Ediciclo Editore), tutto dedicato all’Italia della scienza e della tecnologia raccontata a bambini e non, più volte sono incappato in luoghi straordinari per chi voglia comprendere, o anche solo godere, della storia del nostro pianeta; in altre parole, dei veri libri di geologia a cielo aperto. Siti primordiali e deserti, dove la terra si denuda e racconta le proprie memorie, concedendoci di guardare in profondità, fisicamente e nel tempo, e di riempirci gli occhi con l’incanto dei colori.

Il mio bambino più piccolo ha una vera passione per i minerali (e per gli insetti, le stelle, la geografia, i vulcani, il Dr. House, etc) e questo mi ha spinto ancora di più a cercare e valorizzare le destinazioni del nostro Paese in cui trionfano il nero vetroso dell’ossidiana, il grigiore plumbeo dei calanchi, la luccicanza (oddio! Shining!) delle piriti, la polvere rossa dell’ossido di ferro, il candore delle pomici, il giallo dello zolfo. Oggi ve ne racconto alcuni, rimandandovi al libro – e soprattutto a una gita fuori porta! – per tutti gli altri. Ne ho raccolti e descritti a decine.

1. L’argilla dei calanchi

Mi ha sempre colpito il fascino doloroso di un paesaggio segnato dai calanchi, così comune in Italia eppure così bello in ogni stagione. Sarà che io nei calanchi – aree collinari ricche di argille, segnate da fenomeni di erosione per effetto delle acque – ci sono cresciuto in mezzo. Quando ero bambino, quelli lungo la fondovalle del fiume Panaro, vicino a casa mia, erano teatro di avventure, giochi, scalate, immaginando improbabili fughe da qualche nemico. Una volta, in piena guerra del Golfo, piantai pure una grande bandiera rossa sulla cima di un calanco, che richiamò l’attenzione di una pattuglia di carabinieri solerti. Poi non successe nulla e la bandiera è rimasta là fino a che non è marcita.

Dove trovare i calanchi più belli, magari disseminati di fossili a celebrare un tempo lontanissimo in cui tanta Italia era sotto il mare? Consiglio, in particolare agli appassionati di fotografia, di andare a vedere quelli che circondano Canossa, nell’Appennino Reggiano, dove troverete le vestigia di antichi manieri legati alla mitica figura della contessa Matilde (la bella foto di copertina di questo pezzo, opera di Giorgio Galeotti / commons.wikipedia.org, ben rende il fascino dei calanchi di Canossa); c’è poi il bel Parco regionale dei Gessi Bolognesi e dei Calanchi dell’Abbadessa, sulle colline bolognesi. Infine, i più belli di tutti, a mio avviso: i Calanchi Lucani, nella zona sud-orientale della Basilicata, che lo scrittore Carlo Levi così descrive:  “argilla bianca senz’alberi e senza erba e da ogni parte non c’erano che precipizi d’argilla bianca, su cui le case stavano come liberate nell’aria”.

2. Parco tecnologico e archeologico delle Colline Metallifere grossetane

Siamo nella zona più meridionale dell’Antiappennino toscano, tra rilievi plasmati nei secoli dalle mani dell’uomo, che dai tempi degli Etruschi ha cercato di mettere le mani sulle considerevoli ricchezze – in termini minerari, s’intende – celate nel sottosuolo. Pirite, blenda, lignite, allume, galena… Uno scrigno di tesori alle porte della Maremma, per cui si è sviluppata una complessa rete di siti industriali, oggi dismessi, le cui fascinose vestigia segnano il territorio: pozzi, teleferiche, linee ferroviarie, depositi di scorie abbandonati e silenziose miniere, calate in un’atmosfera di grande bellezza paesaggistica. Andateci e non ve ne pentirete. I comuni coinvolti nel Parco sono sette: Montieri, Follonica, Roccastrada, Massa Marittima, Scarlino, Monterotondo Marittimo e Gavorrano. Sempre in zona, c’è tutta l’area toscana legata alla geotermia, misteriosa e un po’ spettrale, con la centrale di Larderello (Pisa) – la prima al mondo – il Museo della Geotermia e tutta una serie di siti da non perdere, tra cui il Parco naturalistico delle Biancane, con soffioni, fumarole e sbocchi di vapore coronati da cristallizzazioni di zolfo.

DCF 1.0
Foto: commons.wikipedia.org

3. Grotte di Castellana

L’Italia in quanto a grotte non è seconda a nessuno. Pensiamo a quelle friulane o alle Grotte di Frasassi, in provincia di Ancona. Oggi però vorrei citarvi le altrettanto famose Grotte di Castellana, nel territorio del comune omonimo in provincia di Bari. Sono tra le più spettacolari del nostro Paese. La visita si snoda su un percorso di alcuni chilometri tra canyon, laghetti scintillanti, stalattiti e stalagmiti che paiono opera di un artista. La caverna finale, detta “Grotta bianca”, è uno splendore di candide concrezioni, che ne fanno una delle più belle al mondo. Se avete dei bambini con voi, usciti dalle grotte porteli al Parco dei Dinosauri, dove potranno ammirare diverse riproduzioni dei grandi rettili estinti.

Grotte_Castellana_(5) Foto: commons.wikipedia.org

4. Piramidi di roccia del Renon

Gli Altoatesini le chiamano Lahntürme, ovvero le torri delle frane. Sono delle curiosità geologiche uniche nel loro genere, che ricordano in piccolo i camini delle fate in Cappadocia, e derivano dall’erosione di depositi di origine glaciale, con presenza di ghiaia e massi immersi in sedimenti fini ricchi di limo. L’erosione causata dal passaggio delle acque scava via via solchi più profondi, separati gli uni dagli altri da creste aguzze, che lentamente vengono erose. In Alto Adige trovate le piramidi di terra in varie località, ma le più famose sono vicino a Bolzano, sull’altopiano del Renon. Il colpo d’occhio su queste formazioni grigiastro-dorate, che si stagliano nell’azzurro del cielo fra gli abeti, è ovviamente notevole.

1620px-2018-PiramidRenon4

Foto: K. Weise / commons.wikipedia.org

5. Gran cratere della Fossa – isola di Vulcano

Non voglio andare per il sottile: al di là delle amenità di natura geologica, quello che si ammira dal cratere dell’isola di Vulcano, nell’arcipelago delle Eolie, è uno dei panorami più belli del mondo (vi assicuro che ho avuto la fortuna di vedere un po’ di posti). Tra l’altro, questo cratere è probabilmente tra i più accessibili in assoluto: con una bella passeggiata di un’oretta vi trovate sulla cima e potrete percorrerne tutta la circonferenza, godendo di uno scenario “da giù di testa”, come diciamo qui in Emilia. Immaginate un mare color cobalto, puntellato di isole, con Stromboli sullo sfondo e, da parte opposta, la mole dell’Etna di solito incorniciata da qualche nuvola di passaggio. A parte questo, per modo di dire, il Gran cratere della Fossa è celebre per i suoi campi di fumarole, circondanti da bellissimi cristalli di zolfo. Peccato non poterne portare a casa un frammento per ricordo: al di là del fatto che non si può, ci lascereste la mano, data la temperatura dei vapori mefitici. E visto che siamo in tema vulcani e geologia, sull’isola vi aspetta una suggestiva spiaggia di sabbia nera, delle pozze di fango termale tiepidine al punto giusto insieme alla “valle dei mostri”, dove la lava di una vecchia eruzione ha generato strabilianti formazioni di basalto.

Fianco

La foto di copertina è di Giorgio Galeotti / commons.wikipedia.org

5 “luoghi geniali” sottoterra

Tutti giù per Terra, alla scoperta delle meraviglie nel sottosuolo

Chi l’ha detto che le cose più belle si trovano alla luce del sole? Per scrivere il mio ultimo libro, “Guida ai luoghi geniali”, uscito di recente per i tipi di Ediciclo, ho trascorso l’ultimo anno a scandagliare l’Italia in cerca dei luoghi più curiosi tra scienza, tecnologia e natura; quelli che, quando li visitiamo, ci viene da dire: «Accidenti, che fortunati i geologi, i biologi marini, gli astronomi, i vulcanologi, i fisici, etc, che dedicano il loro tempo a comprendere meglio, e a raccontarci, simili meraviglie». E tutti ci ritroviamo a immaginare una vita da esploratori.

L’Italia che non si vede è stata per me una grande scoperta. Quella sotto ai nostri piedi, per intenderci. Subito si pensa alle grotte – e a ragione – ma lo spettacolo celato nel sottosuolo non si ferma qui. Ad esempio, io non avrei mai creduto che il nostro Paese fosse così ricco in termini di miniere (visitabili), parchi minerari, curiosità geologiche fino a interi laboratori di ricerca sepolti nelle viscere della terra. Ecco un assaggio di questo mondo sommerso dove imparare la geologia, la fisica e la storia del nostro pianeta. Se vi appassionate, nel libro ci sono tanti altri siti.

Museo Provinciale delle Miniere – Bolzano

Se da bambini vi è piaciuto “Viaggio al centro della Terra” di Jules Verne venite a Predoi, in Valle Aurina, uno degli angoli più selvaggi dell’Alto Adige. Qui si trova un’antica miniera di rame, citata per la prima volta nel Quattrocento. Oggi questo mondo, accessibile con un comodo trenino, è avvolto nel silenzio, ma fino agli anni ’70 avreste visto i minatori impegnati nell’estrazione del metallo. Il Museo delle Miniere di Bolzano ha anche altre sedi: a Ridanna (un impianto industriale per la lavorazione del minerale), a Cadipietra (un’esposizione permanente) e soprattutto a Monteneve, dove vi aspetta un villaggio fantasma in passato abitato dai minatori. Quest’ultimo si raggiunge solo a piedi, quindi è meglio aspettare la bella stagione visto che si trova a oltre 2300 metri di quota.

Miniera di Gambatesa – Genova

Ci troviamo in Val Graveglia, nell’entroterra di Lavagna, celebre località sul mar Ligure. Quella di Gambatesa, aperta nel 1876, è stata la più grande miniera di braunite d’Europa; la braunite è un minerale da cui si estrae manganese, impiegato in ambito siderurgico. Chiuse nel 2011 ed era già visitabile alla fine degli anni Novanta, quando un trenino in uso ai minatori venne attrezzato per i turisti. Anche oggi si accede grazie a un piccolo convoglio che conduce nel cuore della montagna, quindi si prosegue a piedi. Pensate che le gallerie si diramano per quasi 25 km, disposti su sette livelli principali comunicanti fra loro grazie a una rete di pozzi, discenderie e rimonte.

1440px-Gambatesa_Mine

L’ingresso alla galleria Cadorin della miniera Gambatesa (foto: Wormcast – Opera propria, CC BY-SA 3.0)

Grotta del Vento – Lucca

Ci troviamo nelle viscere delle Alpi Apuane, sotto il monte Pania a Vergemoli (Lucca). La Grotta del Vento è una delle più importanti grotte turistiche d’Europa, così chiamata per il forte vento che la caratterizza, dovuto alla differenza di temperatura tra l’esterno e l’interno. Le prime esplorazioni della grotta risalgono agli anni ’30 e si arrestarono davanti a un laghetto sotterraneo; solo negli anni ’60 vennero scoperte nuove gallerie per uno sviluppo di quasi 5 km. All’interno della grotta sono stati scoperti numerosi reperti fossili, tra cui le ossa dell’orso delle caverne. A disposizione dei turisti ci sono tre itinerari di visita.

Parco Geominerario Storico e Ambientale della Sardegna

Da un punto di vista geologico la Sardegna è una fra le terre più ricche e varie d’Italia. Una bella fetta dell’isola è costellata di miniere, ferrovie corrose dalla salsedine e impianti abbandonati, che faranno la gioia dei patiti di archeologia industriale. I vari siti sono racchiusi in questo Parco, uno dei più grandi d’Italia: pensate che si estende su ben 3800 km quadrati che interessano 81 comuni. Armatevi di cartina, cioè navigatore satellitare, macchina fotografica (o smartphone) e via. Uno dei luoghi più suggestivi è la valle che conduce alle Dune di Piscinas, segnata da ruderi romantici e un po’ tetri.

1202px-Laveria_Brassey

La Laveria Brassey nel Parco Geominerario di Sardegna (Foto: wikipedia.com)

Distretto Turistico delle Miniere – Sicilia centrale

Ci troviamo nelle province di Caltanissetta, Enna e Agrigento. Avete presente la famosa novella di Pirandello “Ciàula scopre la luna”, che racconta l’inferno delle miniere di zolfo – le solfare – simili a formicai dall’atmosfera venefica? È ambientata in queste zone, in un passato neanche così lontano. Questa rete di siti racchiude diverse destinazioni da non perdere se amate la natura, la geologia e l’archeologia industriale.

Immagine di copertina: le Grotte di Frasassi” a Genga – Ancona, un altro sito straordinario descritto nella “Guida ai luoghi geniali” (foto di Kessiye – Flickr CC BY 2.0).

 

 

 

 

 

 

 

10 luoghi dell’Emilia Romagna che devi assolutamente conoscere

Una delle regioni più belle d’Italia in dieci mosse fuori dagli schemi

Come dice il nome, prima di tutto Emilia Romagna significa due mondi in uno. Da un lato le terre celebri per l’eccellenza della gastronomia e le aziende automobilistiche – non per niente parliamo di “Motor Valley” – dall’altro le città di mare, con lo splendore dell’arte paleocristiana a Ravenna e i borghi medievali nel Montefeltro. Al centro, la dotta Bologna, che poi è anche detta la grassa, la goliardica o addirittura “la città delle tre T”: tette, torri e tortellini. Un’anima scapigliata dove nessuno ha mai messo in discussione quel tanto di gola e di lussuria.

Oggi voglio presentarvi 10 luoghi di questa splendida regione che forse ignorate, giusto per darvi qualche motivo in più per venire a conoscerla.

Cipressi e grappoli d'uva, Campiglio. Ottobre 2016 Rid.
Autunno, Vignola – Modena

1) Le colline del Lambrusco

Siamo in provincia di Modena, in quell’unione di Comuni chiamata “Terre di Castelli”. Il paesaggio collinare è dolce e sofferto allo stesso tempo a causa del calanchi che, come cicatrici argentate, irrompono nel verde. Durante il periodo autunnale la zona tra Castelvetro e Savignano sul Panaro si veste dei colori caldi delle vigne, tra rocche medievali e torri. Una meraviglia.

DSC_1016

2) Il borgo dipinto di Dozza

Siamo nel Bolognese. Dozza è un piccolo tesoro d’arte a cielo aperto, uno dei borghi dipinti più belli d’Italia. Passeggiando tra i suoi vicoli acciottolati, si possono ammirare decine di murales e disegni sui muri delle case, risultato di una kermesse biennale di artisti nata negli ’60 e che si tiene tuttora. Un tripudio di fantasia. Non dimenticate di fare un salto nella Rocca Sforzesca, sede dell’Enoteca Regionale dell’Emilia Romagna.

DSC_5426

3) Bobbio

Varrebbe la pena di venire a Bobbio, nel Piacentino, anche solo per vedere il suo ponte vecchio – o ponte Gobbo – sul fiume Trebbia: un’opera che fin dal Medioevo destava l’ammirazione dei tanti pellegrini che si trovavano a passare di qui. Bobbio sorgeva infatti sulla Via degli Abati, o Via Francigena di montagna, un cammino che già in epoca longobarda la collegava con Pavia e Pontremoli.

San Pellegrino in Alpe di Devis Bellucci Rid
Santuario di San Pellegrino e San Bianco – Modena/Lucca

4) San Pellegrino in Alpe

Ci troviamo a oltre 1500 metri di quota e infatti il borgo di San Pellegrino è tra quelli più alti dell’Appennino. Pensate che la zona è divisa in due dalle provincie di Modena e Lucca: il confine taglia proprio il paese, così per metà si trova in Toscana e per metà in Emilia. Il santuario è da sempre frequentato dai pellegrini, che si recano qui per chiedere grazie a San Pellegrino e San Bianco e toccare la croce di faggio, che guarda come una sentinella le Alpi Apuane.

DSC_8073
Torrechiara – Parma

5) Il Castello di Torrechiara

Si trova in posizione panoramica sui primi rilievi dell’Appennino parmense ed è uno dei castelli più scenografici e meglio conservati d’Italia.  All’interno le sue sale presentano splendide decorazioni rinascimentali. L’ambiente più celebre della rocca è la Camera d’Oro, affrescata da Benedetto Bembo nel 1462 con un ciclo di dipinti che sono un inno all’amor cortese. A proposito di amore, pensate che questo castello fu voluto dal conte Pier Maria de’ Rossi come nido d’amore per sé e l’amante Bianca Pellegrini. Quando si dice perdere la testa per una donna…

IMG_1587

6) Il parco del Delta del Po

Gli appassionati di natura e birdwatching devono assolutamente trascorrere un weekend nella Camargue d’Italia, dove il Po si divide in mille rivoli e canali per raggiungere l’Adriatico. Un buon punto di partenza per visitare il parco è la località di Goro, nel Ferrarese, da dove è possibile raggiungere uno degli ultimi ponti di barche rimasti in zona. Oltre ai tanti sentieri, percorribili a piedi o in mountain bike, non perdetevi una gita in barca e la visita dell’Abbazia di Pomposa, risalente al IX secolo, una delle più importanti del nord d’Italia.

dav

7) La pista ciclabile che collega Ravenna e Cervia

Eccoci nel cuore della Romagna. Fra i segreti più custoditi della zona c’è il percorso ciclabile (perfetto da fare anche a piedi) che collega l’antica capitale dell’Impero Romano d’Occidente con la località di Cervia. Il tragitto tocca il borgo di Classe, dove si trovava il porto romano, e attraversa la pineta omonima, citata anche da Dante Alighieri nella Divina Commedia. Lo scenario è di una bellezza commovente, con campi di girasole, canali e capanne su palafitte per la pesca. Sembra di essere lontani migliaia di km dal caos della riviera.

DSC_8151 low
Monteveglio – Bologna

8) L’Abbazia di Monteveglio

Altro tesoro poco noto è questa abbazia nel Bolognese, in Valsamoggia, che domina da un colle la pianura Padana. Dedicata a Santa Maria Assunta ed eretta in stile romanico, fu edificata per volontà di Matilde di Canossa in segno di ringraziamento per la vittoria avuta sull’imperatore Enrico IV. Tutta l’area è inclusa in un parco regionale coperto di boschi, vigneti e prati. Anche qui il paesaggio è segnato dalla presenza dei calanchi.

Rossana - Panorama - Reggio Emilia 2018 - Studio 4 - DSC 8108
Castello di Rossena – Reggio Emilia

9) Il castello di Rossena

Ci troviamo nel comune di Canossa, sull’appennino Reggiano, in una zona ricca di vestigia medievali. La rocca risale probabilmente al 950 ed è stata edificata attorno a una torre più antica, simile a quella vicina di Rossenella. Non lontano si trova anche il castello di Canossa, i cui ruderi, purtroppo, non rendono affatto  l’idea di come doveva essere ai tempi della contessa Matilde. Oggi la rocca di Rossena è visitabile grazie ai volontari di un’associazione del posto, una miniera di informazioni e storie sul luogo (c’è pure la leggenda di un fantasma, ovviamente).

Spiaggia Bassona Nov2016 DSC_4087
Spiagga della Bassona – Ravenna

10) La selvaggia spiaggia della Bassona

A tutti quelli che non amano la riviera romagnola, giudicandola cementificata e senz’anima, io dico: Venite alla spiaggia della Bassona, rimasta praticamente come Dio l’ha fatta. Un po’ lo dobbiamo anche agli amici naturisti che in passato l’hanno frequentata con una certa assiduità, allontanando le fauci dell’edilizia. Chi vorrebbe mai una villetta con vista sui nudi fricchettoni? O un albergo, che poi i bambini si scandalizzano? Oggi la Bassona è un ampio tratto di litorale incontaminato che ci parla – con un po’ di tristezza, questo sì – di com’era la costa 50 o 60 anni fa. La trovate vicino a Lido di Dante, in frazione Fosso Ghiaia, una trentina di km da Ravenna. Ci si può arrivare ovviamente, anche da Sud, partendo in questo caso da Lido di Classe.

10 luoghi del Modenese che devi assolutamente conoscere

La provincia di Modena: non solo Terra di Motori e della buona tavola, ma anche uno scrigno di meraviglie tutte da scoprire

Dalle montagne più belle e maestose dell’Appennino Tosco-Emiliano fino al cuore della Pianura Padana, la provincia modenese abbraccia una moltitudine di scenari. Nota in tutto il mondo per una miriade di eccellenze, dalla cucina (mi limito a citare Bottura e ho detto tutto), le sue industrie (dalla Ferrari alla Maserati fino alla celebre “Ceramic Valley”), l’architettura romanica (Duomo, campanile e Piazza Grande di Modena sono parte del Patrimonio dell’Umanità UNESCO) e la musica nei suoi più vari aspetti (sono Modenesi tanto il Maestro Luciano Pavarotti quando Vasco Rossi),  la mia terra mi lascia sempre disorientato per la sua bellezza così variegata. Tutti noi Modenesi, con poca fatica, siamo quindi Modena Pride.

Oggi però voglio raccontarvi 10 mete un po’ meno conosciute, sparse sul territorio. L’estate è arrivata: i locali sono tutti aperti, i sentieri in montagna pronti, le tavole delle osterie apparecchiate e le ciclabili sgombre. Fate un salto di qualche giorno e non ve ne pentirete. E se avete dubbi, scrivetemi.

1) Le cascate del Doccione

Cascata del Doccione - Modena
Cascate del Doccione – Modena

Hanno un’altezza di 120 metri, di cui 24 di salto verticale. Ammirarle è un’esperienza unica, sia in estate che in inverno, quando sono ghiacciate e assumono sfumature azzurre. Per raggiungerle dovete salire in auto fino al borgo di Fellicarolo da Fanano e da qui alla località “I Taburri”. Il breve sentiero che porta alle cascate è allestito anche per il transito di portatori di handicap.

2) Le Salse di Nirano

Il paesaggio delle salse – Nirano, Modena

Classico paesaggio lunare che rende felici i fotografi. Le salse sono emissioni di fango freddo insieme a idrocarburi che, risalendo in superficie, formano i classici coni. Quando ero bambino si poteva scorrazzare in mezzo ai vulcanetti, mentre oggi c’è un comodo percorso attrezzato con passerelle in legno (però è meno divertente, ne convengo). Trovate le Salse, parte di una Riserva Naturale, nel comune di Fiorano.

3) Il borgo di Fiumalbo

DSC_1005

Fiumalbo, che significa “fiume bianco”, sorge nell’Alto Appennino modenese, al confine con la Toscana, immerso in uno scenario selvaggio. Considerato uno dei borghi più belli d’Italia, ha un centro storico davvero incantevole. Le natura circostante può essere facilmente esplorata grazie a una rete di sentieri: ce n’è per tutte le gambe.

4) La Rocca di Vignola

DSC_1544

Scrupolosamente restaurato negli ultimi anni, il castello di tutti i Vignolesi è amato come uno di famiglia. Si tratta di una delle Rocche più celebri d’Emilia Romagna, raffigurata quando ero bambino pure su un francobollo (se ben ricordo, da 380 lire). Aperta per le visite tutti i giorni tranne il lunedì, vi incanterà con la vista panoramica che si gode dalle sue torri e con gli affreschi ai piani inferiori. Da non perdere la Cappella, con un ciclo di affreschi tardogotici commissionato da Uguccione Contrari.

5) La Pieve di Trebbio

DSC_4884

La trovate all’interno del Parco dei Sassi di Roccamalatina, in zona collinare. Già solo il panorama, che spazia dalla valle del Panaro fino al monte Cimone, vale il viaggio. Della graziosa chiesetta, dedicata a San Giovanni, si hanno notizie dal 1163, ma è databile al secolo precedente. La troverete aperta per lo più solo la domenica mattina, in occasione della Messa (direi verso le 10). Accanto ci sono un battistero e il piccolo cimitero.

6) I Sassi di Roccamalatina

I sassi, primavera, Studio1. Rocca Malatina, Aprile 2016 Rid
I Sassi di Rocca Malatina – Modena

Cuore dell’omonima Area Protetta, sono tre guglie di arenaria, formatesi in tempi antichissimi. Grazie alla loro elevazione sul paesaggio, i Sassi furono usati come elementi di un sistema di fortificazioni attorno alla zona della Pieve di Trebbio (vedi sopra). Intorno agli spettacolari picchi rocciosi nidifica anche il falco pellegrino, mentre tutta l’area è disseminata di borghi da visitare (citiamo ad esempio Castellino delle Formiche). Su uno dei sassi è possibile salire con un percorso attrezzato, accessibile più o meno a tutti.

7) Le cascate del Bucamante

dav

Ci troviamo nel comune di Serramazzoni, in località Granarolo, nel cuore di un bosco fatato. Le cascate sono raggiungibili grazie a due comodi sentieri, denominati Titiro e Odina, per via di una leggenda antica locale. Nelle quattro cascate grandi e nelle cascatelle si possono ammirare anche delle stalattiti, formate dal deposito di sali di calcio. Una delle cascate, detta “la Muschiosa”, è stata scoperta solo alcuni anni fa, perché nascosta dietro a un muro di fitta vegetazione.

8) Il borgo antico di Levizzano Rangone

Primavera 2018 - Levizzano - Studio 1 - DSC 7848

Affacciato sulla Pianura Padana, Levizzano Rangone è un gioiellino che chi non è del posto di solito trascura. Ci troviamo a pochi km dal ben più celebre borgo di Castelvetro (“carino da matti”, come dice il cartello all’ingresso della località), all’ombra di un altrettanto pregevole santuario, quello di Puianello. Da qui, se il cielo è limpido, si scorgono all’orizzonte le Prealpi. In zona non trascurate di dare un’occhiata anche all’Oratorio di San Michele. Naturalmente, fatevi un bicchiere di vino, visto che siete nel cuore della terra del Lambrusco.

9) Il Lago Santo

Riflessi, Lago Santo, Appennino Modenese. Maggio 2016

Semplicemente uno dei laghi montani più belli d’Emilia Romagna (d’Italia?). Si trova a quota 1.501 m slm ed è raggiungibile in auto da Pievepelago attraversando la Valle delle Tagliole. Sedendo sulle sue sponde amene, lo sguardo è catturato dalla grandiosa parete orientale del monte Giovo, che precipita nel lago. Da qui si dipartono sentieri per salire appunto sul Giovo, sul monte Rondinaio e al piccolo lago Baccio. Nei rifugi della zona si mangia molto bene.

10) Il borgo antico di Savignano sul Panaro

Savignano sul Panaro Autunno_1

Savignano “alto”, ossia il borgo antico, raggiungibile dalla zona nuova ai piedi del colle, è un altro angolo incantevole; non perdetevolo la sera, quando dalla terrazza panoramica davanti alla chiesa si può ammirare lo scenario illuminato della pianura. Nel mese di settembre si tiene una famosa rievocazione storica – la “Lotta per la spada dei Contrari” – con spettacoli itineranti, giochi medievali e locande nelle quali gustare ottimi piatti.

Testo e foto di Devis Bellucci.

A caccia di fossili sul greto del Panaro

A due passi dal centro di Vignola, nel Modenese, uno dei più accessibili giacimenti fossili d’Italia, vera gioia per i bambini!

Sarò stato in terza elementare o giù di lì. La maestra disse: “La prossima settimana andremo a fossili. Portate un cacciavite, scarpe vecchie e, chi ce l’ha, un pennello”. Mi aspettavo un viaggio lontano, con l’autobus, invece si trattò solo – per modo di dire – di un viaggio lontano nel tempo. Uscimmo da scuola, attraversammo il centro storico di Vignola in fila per due, mano nella mano come usava allora, per poi scendere sulla riva del nostro fiume Panaro. Solo che in quel punto, non lontano dalle rovine del vecchio ponte, lo scenario era assai diverso da quello che conoscevo: non la vasta distesa di sassi e ciottoli su cui, in estate, si assiepavano brandine e ombrelloni (la chiamavamo la Rimini dei poveri), bensì un affioramento grigiastro, duro come la pietra, che pareva una colata di sabbia fine rinsecchita. Lì ci aspettava un signore di cui non ricordo il nome, e che ahimè immagino sia morto da tempo, visto che era già vecchiotto allora. Era uno dei responsabili del museo civico locale, pronto a tenerci una lezione sull’aspetto che aveva il mondo milioni di anni fa, quando la Pianura Padana si trovava negli abissi di un mare scomparso.

Il giacimento fossilifero è ancora lì, sotto gli occhi di tutti, uno dei più accessibili d’Italia. Basta lasciare l’auto nel parcheggio sotto al castello di Vignola, al Lavabo, e incamminarsi a piedi verso il fiume. La spiaggia fossile è frequentata da gente che prende il sole, fa Yoga o porta a spasso il cane. Tecnicamente si tratta di affioramento di argille azzurre plio-pleistoceniche: granuli finissimi di sedimento color piombo che inglobano una fauna ricchissima, costituita per lo più da conchiglie. Le vedi sbucare, imbrigliate nella polvere, come perle luccicanti. Sono la suggestiva testimonianza di un antichissimo fondale sabbioso, quando gli Appennini non erano altro che anonimi rilievi montuosi in mezzo al mare. Simili affioramenti che pullulano di fossili si trovano anche altrove, nella porzione sub-appenninica di Marche, Toscana, Piemonte e naturalmente Emilia Romagna, ma di rado sono così accessibili come nel tratto del Panaro che va da Marano a Vignola, portati a galla proprio dall’erosione del fiume.

A questo punto non resta che armarsi delle celebre santa pazienza e di una buona dose di delicatezza. L’argilla, infatti, è piuttosto compatta e serve olio di gomito per spaccarne dei frammenti da passare al setaccio (in senso figurato), alla ricerca dei preziosi fossili. Il fatto che sia piovuto di recente può aiutare, ma aumenta anche il tasso di fango: se avete dei bambini si divertiranno da matti, ma alla fine servirà un po’ di calma zen per ripulirli. I piccoli paleontologi vivranno l’emozione di riportare alla luce cornetti e conchiglie bivalvi di ogni forma e dimensione (non sto a scrivervi i nomi scientifici, che tanto uno se li dimentica dopo tre secondi). Gli annali riportano ritrovamenti straordinari: granchi, la mandibola di un tapiro e pure un fossile di ungulato, ritrovato nel 1987. Potete vedere questi reperti nel Museo Civico di Vignola (Via Bellucci 1, aperto ogni domenica con ingresso libero dalle 9:30 alle 12:30). Alla fine tornerete a casa con l’immancabile scatoletta colma di frammenti fossili da spazzolare col pennello e sistemare nella cameretta dei figli. Magari qualcuno di loro, da grande, deciderà di fare il cacciatore di mondi perduti.

Le Raccolte Scientifiche del Collegio Alberoni di Piacenza, un tesoro sconosciuto

Era il 1732 quando papa Clemente XII Corsini emise la bolla di fondazione dell’Apostolico Collegio di San Lazzaro di Piacenza per l’educazione del clero. Quello stesso anno il cardinale Giulio Alberoni posò la prima pietra dell’edificio, che tuttavia vedrà l’ingresso dei primi seminaristi solo nel 1751. Le Raccolte Scientifiche del Collegio Alberoni nacquero proprio per conservare e valorizzare la vasta collezione di reperti naturalistici e scientifici del cardinale Giulio Alberoni (1664 – 1752). Il già ricco patrimonio si arricchì con successive donazioni anche a opera di docenti del Collegio stesso, che affiancò all’eccellenza nel campo degli studi scientifici una spiccata apertura ai contributi delle scienze moderne.

Il percorso espositivo si sviluppa in quattro sezioni e comprende un Museo di Storia Naturale, che affianca a un compendio del regno animale – con pesci, rettili, uccelli e mammiferi – una Collezione di Fossili e Minerali, la cui punta di diamante è la raccolta di reperti dell’Era Pliocenica, forte di oltre 2500 esemplari. Ci sono poi tre Osservatori (Meteorologico, Astronomico e Sismico), entrati in funzione tra l’800 e il ‘900, con attività di previsione meteorologica e climatologia, nonché sofisticate apparecchiature per fornire un quadro della sismicità locale, nazionale e internazionale. Infine, il Gabinetto di Fisica, dove ammirare una serie di sofisticati strumenti scientifici che raccontano la storia dell’elettricità. Tra i reperti esposti, una Pila di Volta coeva all’invenzione dello scienziato lombardo e un repertorio di macchine elettrostatiche. Per chi non lo sapesse, si tratta di dispositivi meccanici capaci di produrre tensioni molto elevate con correnti di intensità assai bassa: alcuni di questi strumenti erano in grado di produrre tensioni di centinaia di migliaia di volt, che si scaricavano generando scintille lunghe oltre mezzo metro (tra lo stupore degli astanti, letteralmente coi capelli dritti). Furono tra gli strumenti più importanti nei gabinetti scientifici dell’700 e dell’800.

Già che siete lì

Visitate anche l’attigua Galleria Alberoni, che custodisce la collezione di opere d’arte del cardinale Alberoni, uomo di cultura vasta e raffinata, insieme a una raccolta di arazzi, paramenti sacri, sculture e crocifissi. Le collezioni sono esposte in due luoghi del Collegio: l’Appartamento del cardinale, con i capolavori più preziosi e considerati più intimi, e la Galleria, allestita in un edificio degli anni ’60 ristrutturato di recente. Pezzo da novanta è l’Ecce Homo di Antonello da Messina, datato e firmato “1473 Antonellus messaneus me pinxit”. Abbondano i dipinti secenteschi e settecenteschi delle maggiori scuole pittoriche italiane.

DOVE, COME, QUANDO

Collegio Alberoni, Via Emilia Parmense 77, Piacenza
Tel: 0523 57701
mail: info@collegioalberoni.it
Web: http://www.collegioalberoni.it/scienze.php

Foto: commons.cathopedia.org

Il borgo dipinto di Dozza (Bologna)

Grazie alla Biennale del Muro Dipinto, questa deliziosa località nel Bolognese è diventata una galleria d’arte a cielo aperto

La prima notizia documentata del nome di questo borgo medievale, dalla forma che ricorda la carena di una barca, è del 1126. Dozza deriverebbe da “doccia”, riferito alla presenza nel luogo di un condotto per convogliare l’acqua in una cisterna per la popolazione. Oggi Dozza si mostra intatta nella sua veste medievale, con la massiccia Rocca Sforzesca, le stradine selciate, il Rivellino di accesso all’abitato e la chiesa di Santa Maria Assunta. Attorno, l’abbraccio delle prime colline che cingono la via Emilia, fra Bologna e Imola, coperte di vigneti.

Tutta questa zona, una sorta di baricentro tra Emilia e Romagna, ha un’antica e illustre tradizione vitivinicola. Dozza è infatti anche detta Città del Vino, nonché sede dell’Enoteca Regionale dell’Emilia Romagna, che coinvolge oltre 200 produttori di vino, aceto balsamico e distillati. La visita all’Enoteca per assaggiare un buon calice di Albana, Lambrusco, Sangiovese o Malvasia vale il viaggio. Proprio l’Albana è stato il primo, tra i bianchi italiani, ad avere ottenuto la Denominazione di Origine Controllata e Garantita (DOCG) nel 1987.

Il borgo di Dozza è reso unico dai numerosi dipinti sui muri delle case, che illuminano nel segno della bellezza il paesaggio urbano e regalano suggestioni improvvise. Una vera galleria d’arte contemporanea a cielo aperto, senza orari d’apertura né biglietto d’ingresso, dove ci perde lungo le ali della fantasia. I dipinti sono il lascito della Biennale del Muro Dipinto, una manifestazione nata negli anni sessanta che vede protagonisti artisti di tutto il mondo, le cui opere rimangono poi a patrimonio del borgo. Il risultato è un medioevo colorato proprio come nelle fiabe, dove creature malinconiche ti fissano da un’architrave e le nubi corrono lungo le pareti delle case, lontane, verso l’orizzonte fioco della grande pianura Padana.

DSC_1023

Cosa mangiare e dove mangiarlo

Qui sono ottimi tutti i salumi. Anche se siamo in Romagna da pochi km, troverete chi ve li serve con una piada romagnola preparata come Dio comanda. Da assaggiare i primi piatti con la sfoglia tirata a mano: tagliatelle al ragù di carne alla bolognese (un’istituzione), maccheroni al pettine e tortelli con ricotta e spinaci conditi con burro fuso aromatizzato alla salvia, non senza un’abbondante spolverata di Parmigiano Reggiano. Per assaggiare la cucina tipica del territorio potete andare, ad esempio, alla Piccola Osteria del Borgo o al ristorante La Scuderia.

Il Parco Naturale del Monte San Bartolo

Natura incontaminata, antichi borghi e spiagge dorate in quest’angolo di paradiso nella regione Marche

Partendo da Trieste e scendendo verso sud, il San Bartolo è il primo monte che si alza sulla riviera adriatica, precedendo il più celebre Monte Conero in provincia di Ancona. I colli del San Bartolo si susseguono da Gabicce Mare fino a Pesaro e regalano scenari inusuali rispetto alle coste piatte e sabbiose, tipiche dell’Emilia Romagna. Tutta l’area, circa 1600 ettari, è tutelata dall’omonimo Parco che venne istituito nel 1994.

Di recente ho avuto modo di esplorare il San Bartolo percorrendo a piedi la splendida strada panoramica (SP44) che l’attraversa, molto amata dai ciclisti. Si tratta di circa 25 km, immersi in un paesaggio naturale che dona una grande pace, tra campi dorati, filari di alberi e siepi, qualche raro casale. Il panorama abbraccia le colline ondulate dell’entroterra romagnolo e marchigiano, col Montefeltro, il castello di Gradara che ti accompagna per un lungo tratto, la rupe di San Leo – lontana nella foschia – e il massiccio del monte Titano, brulicante di abitazioni, che fa parte della Repubblica di San Marino.

dav

Nel Parco si incontrano alcuni minuscoli borghi, tra cui l’imperdibile Fiorenzuola di Focara, che conserva intatte, nelle sue romantiche piazzette e nei vicoli, la memorie del passato. Anche Dante Alighieri passò di qui e, sulla porta attraverso cui si accede al borgo, una targa reca inciso un verso del Canto XXVIII dell’Inferno: “Poi farà sì ch’al vento di Focara, non farà lor mestier voto né preco”.

Il Castello di Fiorenzuola di Focara, chiamata forse così per la presenza di fuochi di segnalazione per i naviganti o per la presenza di fornaci per la cottura dei laterizi, sorge su uno sperone roccioso a strapiombo nel mare. Da qui è possibile ammirare le falesie che emergono dalle acque basse, nonché la stretta spiaggia di ciottoli e ghiaia, selvaggia e lontana anni luce dai lidi frequentati dal turismo di massa. Un stradina tutta tornanti, percorribile in estate in navetta, conduce alla base della rube, in un silenzio rotto solo dai canti delle cicale. Il mare ha uno straordinario colore verde smeraldo, con sfumature turchesi e opalescenti a ridosso della riva, che contribuiscono a fare del San Bartolo un luogo bello da non credere, a due passi dalle nostre abituali destinazioni.

dav

Purtroppo, proprio nei dintorni di Focara, un’ampia area del San Bartolo porta i segni del devastante incendio che colpì la zona, nella notte tra il 4 e il 5 agosto del 2017. Tra l’erba, che intanto è ricresciuta, si alzano i tronchi anneriti degli alberi, in un malinconico contrasto. Il primo gesto che possiamo fare per aiutare il Parco a rifiorire è dunque andare a conoscerlo, sicuri di innamorarcene.

Come arrivare

Il Parco è ben segnalato e comodamente raggiungibile da Pesaro e Gabicce, entrambe servite dalla A14 Adriatica. Per esplorarlo seguite la SP44 che appunto va da Gabicce Monte a Pesaro, e non la statale Adriatica, che corre invece esterna al Parco.